Egas Moniz, lo strizzacervelli che piegò la morale
Lo psichiatra Antonio Egas Moniz, pioniere della lobotomia, vince il premio Nobel per la medicina. È il 1949: per “curare il diverso” viene intenzionalmente leso il cervello
Il contesto culturale era quello dell’Europa di fine ‘800. Gli anni in cui si pensava fosse possibile intuire l’indole degli individui dalla forma della testa, ma anche il periodo in cui si ponevano le basi per le moderne neuroscienze. Merito di personalità da premio Nobel come Camillo Golgi, Santiago Ramón y Cajal e Charles Scott Sherrington, che individuarono forma e funzioni dei primi circuiti neuronali. Questo fu l’ambiente intellettuale in cui crebbe il medico portoghese Antonio Egas Moniz (1874-1955), padre della controversa psicochirurgia e premio Nobel per “la scoperta del valore terapeutico della leucotomia in alcune psicosi”. Leucotomia e lobotomia, termini simili e con lo stesso significato: danneggiamento volontario dei lobi frontali del cervello del paziente allo scopo di diminuirne l’attività psicotica. La “pazzia”.
Egas Moniz stesso si meravigliò dei motivi dell’assegnazione una volta avuta notizia del riconoscimento nel 1949. Aveva brevettato l’angiografia cerebrale, un’innovativa tecnica diagnostica per l’epoca. Eppure dal Karolinska Instituet fu attribuito maggior valore scientifico all’introduzione della leucotomia.
La leucotomia persuase l’audience del Secondo Congresso Internazionale di Neurologia quando venne introdotta ai medici come una promettente terapia per i disturbi mentali. Era il 1935. Due medici ricercatori (John Fulton e Carlyle Jacobsen) illustrarono ai loro colleghi i “progressi” compiuti su due scimpanzé di nome Becky e Lucy. Precedentemente all’intervento i primati esibivano comportamenti sociali comuni ai mammiferi che vivono in gabbia, come irascibilità e atteggiamenti ripetuti in maniera ossessiva e continua. Gli animali erano quindi semplicemente frustrati per le condizioni di vita in cattività. I ricercatori intervennero chirurgicamente per correggere questo comportamento ritenuto «decisamente inadeguato» rimuovendo i lobi frontali del cervello dei due primati. In seguito all’operazione, gli scimpanzé si mostrarono docili in maniera insolita, quasi esagerata. Anche alla vista di una ghiotta ricompensa reagivano come se fossero privi di emotività alcuna. I medici lo considerarono un intervento di successo e si interrogarono subito se fosse possibile utilizzare questa procedura per i pazienti con disordini mentali. Egas Moniz, che era presente e già attribuiva la causa di alcune forme psicotiche a un malfunzionamento specifico di gruppi di fibre nervose, si convinse immediatamente a sperimentare una variante della tecnica sui suoi pazienti.
Insieme al collega Almeida Lima trattò i primi sette pazienti iniettando alcol etilico direttamente nei lobi frontali. In questo modo si otteneva l’uccisione immediata delle cellule nell’area interessata. In seguito perfezionarono la tecnica con una procedura puramente meccanica di resezione chirurgica appunto denominata leucotomia, dal greco leucos “bianco” e tomos “taglio”. «L’idea era di operare sui cervelli dei pazienti, non direttamente sui gruppi di cellule della corteccia o di altre regioni, ma piuttosto interrompendo le fibre connettive tra le cellule dell’area prefrontale e le altre regioni, cioè sezionando la materia bianca subcorticale» precisa Egas Moniz nel suo articolo Leucotomia prefrontale nel trattamento dei disordini mentali del 1937.
I risultati sui primi venti pazienti con diagnosi di ansia, depressione e schizofrenia, furono pubblicati nel 1936. Nell’articolo però venivano descritti miglioramenti delle condizioni psichiatriche da un punto di vista decisamente più soggettivo che scientifico. I pazienti operati non mostravano più i sintomi delle psicosi ma risultavano completamente apatici e spesso persino incapaci a comunicare semplici necessità fisiologiche. Egas Moniz attribuiva questi disordini a presunte condizioni già riscontrabili prima dell’intervento dei pazienti. Non era così.
L’uso della leucotomia per il trattamento dei disturbi psichiatrici (e non solo) ebbe un successo progressivamente crescente fino ai primi anni ’50, quando divenne celebre con il nome di lobotomia. Nei soli Stati Uniti negli anni ’40 si eseguirono più di cinquemila lobotomie all’anno. Qui il medico Walter Jackson Freeman II perfezionò e commercializzò la procedura chirurgica. A bordo del suo camioncino, soprannominato lobotomobile, in 10 minuti e per soli 25 dollari recideva le fibre nervose con un punteruolo da ghiaccio entrando dalle cavità oculari dei pazienti. In tutto il Nord America era pubblicizzata come una soluzione efficace, rapida, e soprattutto non invasiva per il paziente con disturbi mentali. Ne fu addirittura vittima Rosemary Kennedy, la sorella di JFK. Volevano curarne il temperamento sessualmente ambiguo.
Va però sottolineato che in quegli anni i farmaci antipsicotici come la Torazina non erano ancora stati commercializzati e spesso per trattare i sintomi delle malattie mentali si ricorreva a metodiche decisamente drastiche. Terapie come l’elettroshock, il sonno forzato con barbiturici, l’iniezione di siero infetto da malaria, o le convulsioni indotte farmacologicamente, erano una realtà quotidiana all’interno di alcuni ospedali psichiatrici.
Per un tragico destino Antonio Egas Moniz fu reso paraplegico da quattro colpi di arma da fuoco esplosi da un suo paziente (non leucotomizzato). Era il 1949, lo stesso anno del riconoscimento del Nobel. Morì sei anni dopo per cause naturali e con un proiettile beffardo ancora conficcato vicino alla colonna vertebrale.
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