Cancro: il futuro è nella genetica
Il premio Nobel Harold Varmus e le nuove frontiere della ricerca sul cancro. Allo studio ci sono terapie personalizzate e un database per mappare i geni coinvolti nella malattia
«È più importante sapere quale gene causa il cancro che quale tessuto ne è affetto». È la secca dichiarazione di Harold Varmus, premio Nobel nel 1989 per la scoperta degli oncogeni retrovirali, rilasciata nel corso di una conferenza che si è tenuta lo scorso gennaio all’Indian Institute of Science. Secondo lo scienziato, la genetica applicata alla ricerca oncologica porterà in un prossimo futuro allo sviluppo di cure personalizzate e molto più precise nell’agire sulle cellule malate.
Varmus ha ammesso che i meccanismi genetici del cancro sono ancora piuttosto misteriosi. Tuttavia, oggi il problema più grande è la resistenza alla chemioterapia. «Non siamo ancora stati in grado di curare o controllare stabilmente il diffondersi della malattia nel corpo o di eliminare gli effetti collaterali della terapia», ha affermato il premio Nobel. Per questo motivo, il National Cancer Institute (NCI, di cui Varmus è direttore) sta testando nuovi farmaci che colpiscano in maniera selettiva le mutazioni genetiche associate al cancro.
Da oltre 30 anni la ricerca si è concentrata sulla genetica dei tumori, cioè lo studio delle modificazioni del DNA collegate allo sviluppo della malattia. Ma nonostante questo abbia portato a grandi progressi in campo diagnostico e preventivo, non ci sono ancora terapie genetiche efficaci.
Un passo decisivo verso la creazione di farmaci di nuova generazione è stato fatto nel 2006 con l’istituzione del Cancer Genome Atlas, un database per catalogare e confrontare tutte le mutazioni del DNA che compaiono in 20 diversi tipi di cancro. Varmus è convinto che il progetto possa rivoluzionare il trattamento della malattia, ma i dati raccolti sono ancora relativamente pochi. Un articolo pubblicato lo scorso gennaio su «Nature» ha infatti stimato che per avere un catalogo esaustivo occorrerà analizzare ancora decine di migliaia di campioni di tessuto tumorale.
Il lavoro da fare è ancora lungo: occorreranno dai 20 ai 30 anni di studi, la collaborazione degli scienziati di tutto il mondo e numerosi finanziamenti prima di ottenere i risultati sperati. Varmus però è ottimista e vede un futuro in cui «quando un paziente entrerà in un ospedale, sarà esaminato per individuare le mutazioni nel suo DNA e riceverà una diagnosi accurata. Questo porterà a terapie mirate che forniranno trattamenti molto migliori degli attuali».
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