Wisława Szymborska: una tabagista dal gusto kitsch
Dietro la riservatezza del premio Nobel del 1996 si nascondono un’artista ironica e una collezionista seriale di oggetti curiosi e cartoline-collage
Un piccolo appartamento soprannominato “il cassetto” fu la prima abitazione solitaria della poetessa Wisława Szymborska, trasferitasi nel 1931 (all’età di otto anni) a Cracovia, amata città nella quale visse fino alla morte, sopraggiunta nel 2012. Furono gli amici a chiamare così quella casa, non solo per le ridottissime dimensioni, ma anche perché per lei la cassettiera rappresentava, fra tutti i mobili, quello più affascinante. Un po’ come il suo stile, che, dietro l’apparente semplicità, nascondeva al suo interno l’ironica personalità di una straordinaria poetessa, introdotta all’ambiente letterario dal premio Nobel Czeslaw Milosz, conosciuto quando lavorava presso le ferrovie polacche (impiego che le fece evitare la deportazione in Germania nel 1943).
La sua passione più grande fu collezionare oggetti curiosi e di gusto kitsch, poi esposti a Cracovia, nel 2014, su quattro pannelli da quindici metri ciascuno. Il suo era un modo per sfuggire al grigiore della Polonia degli anni Sessanta e Settanta, quando il regime sovietico imponeva un’asettica austerità, ragione per cui la poetessa decise di lasciare il Partito Operaio Unito Polacco (a cui aveva aderito, confessò, per «un peccato di gioventù») e di passare all’opposizione nel sindacato clandestino Solidarność.
Organizzava addirittura delle lotterie casalinghe per riciclare gli oggetti più brutti, ricevuti dopo che la sua passione era divenuta di dominio pubblico: una suora caricata a molla, un accendino a forma di sommergibile, i contenitori di sale e pepe con la faccia di Goethe e Schiller. Leggendario resta il braccio finto regalatole dal suo segretario, Michał Rusinek (noto per il senso dell’umorismo), che lei addobbò con anelli e appese nel bagno.
Non contenta della qualità estetica delle cartoline stampate in Polonia, si mise a produrne lei stessa (le copie sono acquistabili ancora oggi presso la catena di oggettistica polacca Empik). Si fece addirittura mandare una colla speciale dalla Germania per poter realizzare collage con titoli di giornale, vecchie stampe e riviste di moda. Il più grande che confezionò fu per il compleanno di Woody Allen, tredici anni più piccolo di lei, con il quale intrattenne una lunga e ricca corrispondenza: non si conobbero mai di persona, ma Wisława adorava i suoi film per via dei dialoghi sempre ironici e della presenza costante di libri (l’ultimo film che vide al cinema fu Midnight in Paris), mentre Woody Allen trovava nelle sue opere una continua fonte di ispirazione (vicino al letto conserva ancora la poesia Vestiario che lo aiuta a superare l’ipocondria notturna).
Di ritorno dalla Svezia, dove nel 1996 aveva ricevuto il premio Nobel per la letteratura, la Szymborska realizzò la cartolina 12 scimmie finalmente a Cracovia, titolo col quale voleva descrivere il sollievo dopo quella che lei stessa definiva «la tragedia di Stoccolma»: da persona molto timida e riservata qual era, avrebbe preferito assumere un sosia pur di non dover parlare di fronte al pubblico, lei che non sapeva stare in una stanza con più di otto persone. E infatti era stato un vero inferno: interviste da rilasciare controvoglia, autografi da firmare per più di due ore, buffet con polmone marinato e pasta scotta, riunioni noiosissime con altri premi Nobel per parlare del rimboschimento della Groenlandia.
Seduta alla destra di re Carlo Gustavo durante la cena seguita all’assegnazione del Nobel, si alzò per sfogare il proprio imbarazzo in una sigaretta veloce; raggiunta dal sovrano, che gliene chiese una, venne immortalata con lui in una foto poi ritirata per evitare lo scandalo tra i sudditi svedesi. Wisława era infatti un’orgogliosa tabagista e si chiedeva come Umberto Eco potesse fumare sigarette elettroniche, visto che per lei tutte le grandi opere nascevano sotto l’effetto del tabacco. Secondo lei, un giorno senza nicotina rappresentava l’apice dello squallore.
Dodici anni dopo l’assegnazione del premio, la Szymborska si trovò, per caso, a soggiornare nello stesso albergo di Bologna del re Gustavo e della moglie Silvia. Invitata per ben due volte a incontrare la coppia reale, Wisława si nascose prima dietro un caffè (sorseggiato con particolare lentezza per evitare l’incontro) e poi in mezzo alla folla dei curiosi, tanta era la soggezione per le apparizioni pubbliche.
Anche le interviste le provocavano un certo disagio: le rilasciava con il contagocce e mai sul proprio privato. Quando un giornalista arrivava a casa sua, dopo averlo fatto accomodare sul divano con caffè e cognac, lo sottoponeva a un terzo grado. Solo quando vedeva lo sfinimento negli occhi dell’ospite, travolto dalle domande, gli lasciava fare il suo lavoro.
Prima dell’assegnazione del Nobel, la Szymborska in Italia era considerata una sconosciuta, sebbene già nel 1988, durante il primo Salone del libro di Torino, il poeta russo Iosif Brodskij l’avesse indicata come una delle grandi voci poetiche del Novecento. Dopo il successo internazionale, Wisława divenne un’autrice di culto anche nel nostro paese: il regista Ferzan Ozpetek è suo fervido lettore, i cantanti Roberto Vecchioni e Jovanotti hanno messo in musica i suoi versi, Roberto Saviano ha letto alcuni dei suoi componimenti durante la trasmissione televisiva Che tempo che fa, a quattro giorni dalla morte della poetessa (sopraggiunta nel sonno, all’età di ottantotto anni).
E pensare che lei reputava quella del poeta una figura noiosissima rispetto alle storie drammatiche degli scienziati o alle biografie spettacolari degli artisti: i poeti avevano da offrire solo il silenzio fissato per ore, seduti a un tavolo o sdraiati su un divano, in attesa dell’ispirazione. Non a caso, per non cadere vittima di questo cliché, Wisława si divertiva a guardare in tv i film dell’orrore e serie televisive come Il tenente Colombo (che amava per i «meravigliosi omicidi in famiglia»). Segno della leggerezza giocosa dietro la quale ha sempre nascosto, puntigliosamente, la sua profondità.
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