Il grafene va in sala operatoria
Il grafene, materiale scoperto dai Nobel Geim e Novoselov, sarà presto impiegato anche in campo medico
I possibili utilizzi del grafene vanno ormai oltre la fisica e l’elettronica. In due recenti ricerche, apparse rispettivamente su ACS Nano e Biophysical Journal, è stato dimostrato che il cosiddetto “materiale delle meraviglie” può essere sfruttato per applicazioni mediche di grande importanza, come la costruzione di particolari elettrodi per il cervello e di strumenti chirurgici antibatterici.
Le proprietà del grafene, un materiale sottilissimo costituito da uno strato di atomi di carbonio ordinati in una struttura a celle esagonali, sono straordinarie: conduce l’elettricità meglio del rame, è un eccezionale conduttore di calore ed è al tempo stesso flessibile ed estremamente robusto. Queste caratteristiche lo hanno reso da subito un materiale ideale per applicazioni nel campo dell’elettronica, ad esempio all’interno di transistor e circuiti integrati. Con un successo pressoché immediato, tanto che nel 2010, a soli sei anni dalla prima realizzazione sperimentale di uno strato di grafene, i suoi scopritori André Geim e Konstantin Novoselov ricevettero il premio Nobel per la fisica. Ma oggi si è ormai compreso come le potenzialità di questo materiale siano quasi illimitate.
Nel lavoro apparso su ACS Nano, frutto di una collaborazione tra la SISSA di Trieste e l’Università di Cambridge, i ricercatori hanno descritto i risultati di alcuni esperimenti in cui è stata studiata l’interazione tra elettrodi di grafene e neuroni. Tipicamente, l’impianto di elettrodi nel cervello umano serve a misurare impulsi elettrici, con l’obiettivo ad esempio di ristabilire alcune funzioni sensoriali in pazienti affetti da disturbi motori. Il problema principale è che spesso risulta difficile costruire elettrodi che rimangano perfettamente stabili all’interno del cervello, e la mancanza di stabilità si traduce in un alto rischio di alterare la funzionalità stessa dei neuroni. Il grafene, grazie alla sua elevata conduttività e stabilità, potrebbe essere il candidato ideale per garantire la trasmissione dei segnali elettrici senza causare danni alle cellule nervose. I risultati dei primi esperimenti, condotti su neuroni di topi, sembrano incoraggianti.
Un team di ricercatori dell’Università Cattolica del Sacro Cuore sta invece studiando le proprietà dell’ossido di grafene, una variante ottenuta incorporando in uno strato di grafene molecole di ossigeno. L’ossido di grafene, come viene spiegato nello studio pubblicato su Biophysical Journal, potrebbe diventare un materiale estremamente utile per proteggere dalle infezioni, perché in grado di distruggere i batteri. Quando l’ossido di grafene interagisce con un batterio, infatti, prima lo avvolge e poi rompe la sua membrana, rendendolo inoffensivo. «Una volta danneggiati, i batteri perdono la loro struttura complessa e muoiono», spiega Valentina Palmieri, leader del gruppo di ricerca. «Inoltre, mentre il grafene attacca le cellule batteriche, è molto meno invasivo nei confronti delle cellule umane, anche se il meccanismo alla base di questa specificità non è ancora chiaro».
Una possibile applicazione, già in fase di studio, è la realizzazione di strumenti chirurgici con un rivestimento di ossido di grafene, il cui utilizzo consentirebbe di ridurre al minimo il rischio di infezioni post-operatorie e la necessità a ricorrere ad antibiotici. Con indubbi vantaggi, quindi, sia nell’ottica della sicurezza dei pazienti che del possibile risparmio per la spesa sanitaria nazionale.
Credits immagine in evidenza: MIT
Commenti recenti