Selman Waksman, il Nobel che sconfisse la tubercolosi
Insignito del premio Nobel nel 1952, il microbiologo Selman Waksman trovò la prima cura efficace contro la tubercolosi
Trent’anni passati tra piastre Petri, colture batteriche e alambicchi. Tanto – un’intera vita, quasi – impiegò il microbiologo Selman Waskman per raggiungere il risultato più ambito della sua carriera: l’antibiotico streptomicina. Prodotta dai microrganismi che vivono nel suolo, gli Streptomiceti (Classe: Actinobacteria, Famiglia: Streptomycetaceae), la streptomicina è in grado di inibire e indurre alla morte cellule batteriche patogene, combattendo così la tubercolosi (TB), una malattia infettiva che colpisce l’apparato respiratorio, presente fin dai tempi dei Faraoni e che ancora oggi ha un’incidenza di mortalità altissima. Oltre alla streptomicina, l’équipe di Waksman, alla Rutgers University, nel New Jersey, isolò anche altri diversi nuovi antibiotici, tra cui l’actinomicina (1940), e la neomicina (1948). E fu lo stesso Waksman a coniare il termine “antibiotico”, per indicare sostanze provenienti da forme viventi che inibiscono lo sviluppo della vita.
Nato nel 1888 a Priluka, vicino Kiev, Waksman si diploma a Odessa nel 1910. Parte subito dopo per l’America dove vince una borsa di studio alla Rutgers University e, diventato cittadino naturalizzato statunitense nel 1916, inizia una brillante carriera accademica che lo vede professore di biochimica e microbiologia nello stesso ateneo, dal quale si ritirerà solo nel 1958. I suoi campi di lavoro spaziano dallo studio dei batteri coinvolti nei processi biochimici del suolo a quelli coinvolti nei processi marini per dedicare, infine, gli ultimi studi sulla produzione e sulla natura degli antibiotici, con particolare focus sulla tassonomia, fisiologia e biochimica degli Actinobacteria, che gli vale il Nobel nel 1952.
Fin dalla sua scoperta nel 1943, la streptomicina ebbe enormi applicazioni cliniche, tanto che, in soli due anni, la comunità scientifica ne riconobbe il potenziale pratico per combattere efficacemente diverse malattie, tra cui, per l’appunto, la tubercolosi. Indispensabile per questo risultato fu la Mayo Clinic, dove William Feldman e Corwin Hinshaw collaborarono insieme a Waksman per eseguire test in vivo, prima su animali e poi su pazienti, con risultati eccezionali. La produzione di streptomicina crebbe così tanto che, solo negli Stati Uniti, mensilmente, ne venivano prodotti più di 25.000 Kg.
Nonostante un risultato di così vasta portata, vi sono ancora aspetti poco chiari sulla paternità della scoperta dell’antibiotico: la vittoria del Nobel, per di più, fu una miccia che innescò un attrito profondo e mai più sanato tra l’allora dottorando di Waksman, Albert Shutz, e il professore stesso. Shatz accusò il professore di non averlo menzionato nel Nobel come comprimario della scoperta, dato che fu lui a isolare la streptomicina dal batterio Streptomyces griseus. La commissione Nobel, di fronte alle prove presentate dal dottorando per contestare la vittoria, rispose categoricamente che egli «era solo un semplice assistente di laboratorio e lavorava, invece, sotto la guida di un eminente scienziato». Ci pensò poi A. Wallgren, docente allo Swedish Caroline Institute, a stroncare la polemica affermando che Waksman vinse il Nobel per «l’ingegnosità e la sistematica dei suoi studi sui microrganismi del suolo che lo portarono così a scoprire la streptomicina» e non, come si diceva nella motivazione originale, per la scoperta stessa dell’antibiotico. Con la comunità scientifica schierata dalla parte di Waksman, Shatz scomparì dall’ambito accademico e morì senza che la questione fosse risolta. Solo ad oggi, diverse carte e indagini sembrano conferire a Shatz la scoperta della streptomicina e a rivalutare il suo lavoro, sebbene con un ritardo di sessant’anni.
A prescindere da queste polemiche, i risultati raggiunti dal gruppo di Waksman nei laboratori della Rugers University rappresentarono un punto di svolta della medicina occidentale. Il Nobel infatti non onora solo S.A. Waksman ma anche «la scienza che rappresenta, la microbiologia», come dice nel suo discorso per il Nobel, che indaga gli invisibili compagni, patogeni e non, con i quali condividiamo la terra.
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