Trasposoni, indagati a sorpresa nel morbo di Alzheimer
Uno studio condotto presso la Duke University ipotizza che i trasposoni abbiano un ruolo importante nel processo neurodegenerativo che porta allo sviluppo dell’Alzheimer: una forma di demenza senile che colpisce circa 600.000 persone in Italia
I trasposoni, elementi mobili del genoma, sono al centro di una nuova pista di indagine riguardo la malattia di Alzheimer. Dopo il 1983, anno in cui Barbara McClintock vinse il Nobel per la medicina grazie alla loro scoperta, si torna a parlare dei trasposoni in un recente studio della Duke University.
Per venticinque anni si è pensato che una delle principali cause all’origine della malattia di Alzheimer fosse la formazione di placche senili nel cervello, accumuli di proteine amiloidi e detriti neuronali in particolare nell’ippocampo. Ma Peter Larsen, a capo dello studio pubblicato su Alzheimer’s & Dementia, si chiede “se così fosse, perché i farmaci anti-amiloidei hanno fallito?”. Probabilmente tali placche amiloidi non sono la causa della demenza di Alzheimer ma l’esito.
A partire da questa deduzione, gli scienziati della Duke University hanno formulato una nuova ipotesi per spiegare l’insorgenza dei sintomi di Alzheimer basata sul malfunzionamento dei mitocondri nelle cellule neurali. Quando questi organuli cellulari, fondamentali per il rifornimento dell’energia, smettono di svolgere il loro compito, i neuroni malnutriti muoiono lentamente. Per tale ragione i ricercatori hanno cominciato a indagare i geni responsabili del funzionamento dei mitocondri nei neuroni.
Nel 2009 Allen Roses, co-autrice dello studio in questione, ha individuato un gene chiamato TOMM40, implicato nella codifica delle proteine mitocondriali. Ma il dato più interessante consiste nell’aver trovato una regione non-codificante del gene la cui lunghezza sembra essere correlata direttamente con il rischio di sviluppare la demenza di Alzheimer. Un indizio in più che ci avvicina all’indagato principale: i trasposoni.
Ebbene, il gruppo di ricercatori guidato da Peter Larsen ha condotto degli studi su lemuri (Microcebo Murrino) noti per lo sviluppo di sintomi affini a quelli di Alzheimer. Gli scienziati hanno riscontrato che la regione non codificante del gene corrispondente a TOMM40, presenta dei prolungamenti noti come sequenza Alus, ovvero una copia di trasposoni (gruppo Alu). Si tratta di elementi mobili conosciuti anche come jumping genes , capaci di spostarsi in varie parti del genoma effettuando una sorta di copia e incolla di sé stessi e, talvolta, provocando effetti dannosi.
“I trasposoni hanno contribuito all’evoluzione delle funzioni cognitive superiori in noi umani” racconta Peter Larsen in un comunicato, “ma il prezzo da pagare è la vulnerabilità dei neuroni con l’avanzare dell’età”. Infatti lo scienziato ipotizza che la disfunzione mitocondriale all’origine della malattia di Alzheimer sia causata proprio dall’azione dei trasposoni che, inibendo l’espressione di geni come TOMM40, provoca la morte dei neuroni.
Michael Lutz, co-autore dello studio, sostiene che le sequenze Alus in altri geni mitocondriali possano spiegare l’insorgenza di ulteriori malattie neurodegenerative quali il morbo di Parkinson, la malattia di Huntington e la sclerosi laterale amiotrofica.
Dunque, la buona notizia è che l’individuazione di sequenze Alus nei geni mitocondriali consentirebbe di identificare i pazienti a rischio prima dello sviluppo dei sintomi. I ricercatori della Duke University sperano di riuscire a trovare al più presto degli approcci terapeutici volti a lenire lo stress dei mitocondri e delle cellule neurali nelle fasi iniziali della malattia di Alzheimer, in modo da frenare il progressivo declino neuronale e quindi la comparsa dei sintomi.
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