Ralph Steinman, il biologo canadese scomparso tre giorni prima di sapere che aveva vinto il Nobel
L’incredibile storia di Ralph Steinman, unico Nobel “postumo”: il Comitato svedese deputato all’assegnazione del prestigioso riconoscimento rese nota la decisione ignaro della sua morte causata da un tumore al pancreas
Il destino “cinico e baro”: uno degli aforismi più famosi della politica italiana legato alla figura di Giuseppe Saragat, che lo pronunciò dopo la sconfitta del suo partito nelle elezioni del 1953. Fatte le dovute differenze, mai parole potrebbero rivelarsi più utili per raccontare la vicenda di Ralph Steinman, lo scienziato canadese di origini ebree morto il 30 settembre 2011, a 68 anni, tre giorni prima che sapesse di aver vinto il Nobel per la Medicina, assegnatogli per la scoperta delle cellule dendritiche e del loro ruolo nell’immunità adattativa. Nobel condiviso, quell’anno, con Bruce Beutler e Jules Hoffmann, premiati per i loro studi sui meccanismi di attivazione dell’immunità innata.
In effetti, tutto si giocò sul filo di lana di una manciata di ore. Niente rispetto all’ingresso di Steinman tra i protagonisti della scienza mondiale, ma insufficiente anche di fronte alla legge della vita che nei suoi confronti, almeno sotto questo aspetto, si dimostrò senza dubbio ingenerosa. O, appunto, cinica e bara. C’è di più. Il biologo di Montréal venne sopraffatto dopo quattro anni da un tumore al pancreas, la malattia con cui, confidando nei suoi studi sulle cellule dendritiche, ritenuti fondamentali per comprendere il funzionamento del sistema immunitario, era stato sempre convinto di poter ingaggiare un confronto alla pari o, magari, chissà, finanche di avere la meglio. Steinman, infatti, credendo nella loro efficacia terapeutica e nella possibilità che potessero essere utilizzate per curare il tumore, progettò immunoterapie basate sulle cellule dendritiche testandole su sé stesso.
Andò purtroppo come nessuno si sarebbe aspettato: il Comitato del Nobel ignaro della scomparsa di Steinman, e lo scienziato canadese mancato clamorosamente all’ultimo appuntamento, il più importante, della sua prestigiosa carriera di ricercatore. Alla fine prevalse il buon senso e quella volta, la prima dal 1901, il regolamento che prevede l’assegnazione della prestigiosa onorificenza solo a scienziati viventi, registrò un’eccezione. Così, non solo rendendo giustizia allo sfortunato ricercatore, ma dando effettiva sostanza alla valutazione che Steinman, grazie alle sue scoperte, avesse effettivamente impresso un’accelerazione allo sviluppo delle conoscenze sul sistema immunitario.
Il Comitato del Nobel, perciò, ebbe ben donde nel decidere di non sacrificare sull’altare di un astratto (benché concreto) impedimento regolamentare l’impatto rivoluzionario degli studi di Steinman, “for his discovery of the dendritic cell and its role in adaptive immunity”. Uno slancio di realismo scientifico al quale i familiari del biologo canadese, in linea con la filosofia di vita del loro congiunto, fecero seguire la donazione in beneficenza del consistente assegno legato al Nobel stabilendo, in particolare, la destinazione di 500 mila dollari alla Rockefeller University, dove Steinman, negli anni ’70, aveva iniziato il suo percorso scientifico, e di 250 mila dollari alla The Steinman Family Foundation con lo scopo di sostenere giovani ricercatori. Steinman, come si diceva, ottenne il Nobel per la Medicina a seguito degli straordinari risultati ottenuti nello studio dell’immunità adattiva.
In sostanza, il biologo canadese scoprì un particolare tipo di cellule, chiamate dendritiche per la loro struttura ramificata, che attraverso l’attivazione dei linfociti T svolgono una funzione sinapsica tra i segnali della risposta immunitaria innata e quelli della risposta immunitaria adattiva. Steinman dimostrò che, grazie alla specifica funzione di collegamento assicurata dalle cellule dendritiche, il sistema immunitario si attiva solo in presenza di sostanze estranee, ignorando le molecole prodotte dall’organismo sano.
Il cammino del biologo canadese verso il Nobel fu tutt’altro che semplice. Solo a partire dagli anni ’90, infatti, dopo quasi due decenni di sperimentazioni e davanti a risultati che non lasciavano ormai più dubbi sulla portata della sua scoperta, la comunità scientifica riconobbe l’importanza degli studi di Steinman sul sistema immunitario. Uno dopo l’altro gli furono conferiti i premi “Freidrich-Sasse” e “Emil von Berhing” (1996), “Rudolf Virchow” (1997), “Coley” (1998) “Robert Koch” (1999), “Gairdner Foundation international Award” (2003), “Albert Lasker Award for Basic Medical Research” (2007), “Albany Medical Prize” (2009) e “AH Heineken Prizes” (2010).
Diademi di un pregiatissimo puzzle scientifico ai quali, prima del gioiello finale, che lo avrebbe consacrato tra i grandi della medicina, si aggiunsero anche le lauree honoris causa assegnate a Steinman dalle università di Innsbruck e Brussels, Erlangen University e Mount Sinai School of Medicine. Un palmares al quale Steinman certamente avrebbe desiderato aggiungere di persona il Premio Nobel. Il traguardo più ambito per uno scienziato, ma che il destino “cinico e baro”, giocandogli un brutto scherzo, non permise a Steinman di raggiungere in vita. Disegnando un’insolita venatura di tristezza ed incredulità nel giorno della sua apoteosi scientifica. Una beffa, sia pure colorata di gloria.
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