Così la realtà virtuale svela i segreti del cervello dei topi
Un esperimento condotto dal neuroscienziato Aman Saleem indaga i meccanismi con cui i neuroni dei topi reagiscono agli stimoli esterni. Usando la realtà virtuale
Usare la realtà virtuale come strumento di laboratorio per indagare cosa accade nel cervello dei topi. E in particolare come i neuroni reagiscono agli stimoli esterni. A provarci – e riuscirci – è stato un neuroscienziato inglese, Aman Saleem, che con la sua équipe studia da tempo i meccanismi che regolano l’elaborazione delle informazioni visive da parte del cervello e la loro trasformazione in vere e proprie mappe spaziali. Gli studi di Saleem prendono le mosse dai risultati di John O’ Keefe, May-Britt Moser ed Edvard Moser, Nobel per la Medicina 2014 per le loro scoperte sulle cellule che costituiscono il sistema attraverso cui il cervello costruisce una mappa dello spazio che ci circonda.
Negli ultimi lavori di Saleem – tutti pubblicati su riviste di alto impatto e recentemente raccontati in uno speciale su Nature -, lo scienziato ha simulato, usando per l’appunto la realtà virtuale (in particolare degli schermi di proiezione a cupola), diversi scenari in cui dei topi di laboratorio erano lasciati liberi di correre. Osservando il comportamento dei roditori, e misurandone l’attività cerebrale, Saleem e i suoi si sono resi conto che i neuroni degli animali reagiscono in modo diverso a stimoli analoghi: in altre parole, la rappresentazione neurale di due scene identiche differisce a seconda di dove la si percepisce ed è influenzata dalle esperienze passate e dalla memoria. Secondo questo modello, queste rappresentazioni viaggerebbero poi verso le cosiddette “aree di associazione”, dove si combinerebbero con i ricordi e le aspettative per produrre le percezioni.
Il che, almeno parzialmente, rappresenta una novità rispetto alle teorie al momento più accreditate, secondo le quali almeno alcune aree del cervello – quelle che sono le prime a elaborare gli input provenienti dagli organi di senso – creano rappresentazioni relativamente fedeli del mondo esterno. Invece, a quanto sembra, anche queste sarebbero filtrate dall’esperienza. “Se me lo avessero detto cinque anni fa”, ha commentato in proposito lo stesso Saleem, “avrei pensato che non fosse possibile. A quanto pare, invece, lo è”. Resta da indagare se un meccanismo simile si verifichi anche nel cervello degli esseri umani.
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