Diagnosticare l’Alzheimer con una goccia di sangue
Da un gruppo di ricerca coordinato da Sapienza Università di Roma, la scoperta di un biomarker che potrebbe diagnosticare precocemente l’insorgenza della malattia di Alzheimer
Un gruppo di ricercatori ha scoperto un metodo per fare diagnosi di Alzheimer in fase precoce, e soprattutto solo con una goccia di sangue. Lo studio coordinato da Sapienza di Università di Roma e pubblicato sulla rivista Epigenetics è importante perché per la prima volta propone un metodo diagnostico che non richieda imaging o che non arrivi troppo tardi.
In Italia, il numero totale dei pazienti con demenza è stimato in oltre un milione (di cui circa 600 mila con demenza di Alzheimer) e circa 3 milioni sono le persone direttamente o indirettamente coinvolte nell’assistenza dei loro cari. Secondo un rapporto dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) i malati di Alzheimer sono destinati a raddoppiare nei prossimi 20 anni nel mondo.
Lo studio, condotto da un gruppo di ricerca internazionale coordinato dal team di ricercatori del Dipartimento di Medicina sperimentale della Sapienza in collaborazione con le università di Pisa, Barcellona, Amsterdam, Vienna e Gerusalemme, si è concentrato su un biomarcatore circolante che dà indicazioni su un particolare gene (il PSEN1) che era già stato associato alla malattia d’Alzheimer ma che non era stato investigato in tutte le sue parti. Il gruppo ha identificato una nuova regione (tecnicamente, non Cpg) che, più di ogni altra, sembra essere associata allo sviluppo della malattia e ha scoperto che la proteina per cui codifica può essere usata come biomarker perché si trova nel sangue in concentrazioni variabili. Queste infatti dipendono dalla metilazione del gene, cioè dalla trasformazione biochimica capace di accenderlo o spengerlo, avviandolo alla trascrizione o bloccandone la funzione. Il fatto che la proteina sia circolante e che sia stata riconosciuta la rende misurabile nel sangue. Le metilazioni sono di origine epigenetica, cioè sono correlate a fattori ambientali e non presenti nel corredo genetico.
Si è verificato che la sovraesposizione di PSEN1 dovuta a metilazione era presente sia su un modello murino di malattia di Alzheimer che su campioni di tessuto cerebrale umano.Successivamente sono stati paragonati 20 campioni di sangue di pazienti malati di Alzheimer ad esordio tardivo con quelli di pazienti sani per verificare che la metilazione evidenziata nei tessuti cerebrali fosse riscontrabile anche nel sangue. “L’analisi dei campioni di sangue”, spiega Andrea Fuso, uno degli autori del lavoro, “ci ha permesso di rilevare una minore metilazione del dna correlata alla espressione di PSEN1 nei pazienti con Alzheimer rispetto ai controlli: questo tipo di analisi potrebbe offrire un nuovo modo di diagnosticare precocemente e poco invasivamente l’Alzheimer”.
Ovviamente la ricerca non è che all’inizio e sarà necessario ampliare il campione di studio, ma questo possibile biomarker per diagnosticare tempestivamente l’Alzheimer, aprirà nuovi orizzonti nella terapia della malattia della memoria.
Immagine Giulio Carcani, CC Attribuzione – Non commerciale – Condividi allo stesso modo 3.0
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