Mammiferi

Mammiferi: gli esseri umani mettono a rischio molte specie

Se ci recassimo nel luogo in cui negli anni ’70 viveva una specie di mammiferi, oggi avremmo scarse possibilità di trovarla. Questo il risultato di uno studio di Sapienza Università di Roma

Il Rhineceros Unicornis (o rinoceronte indiano) è la più antica specie di rinoceronte, caratterizzata – come si evince dal nome – dall’avere un unico corno. Attualmente non si trova più nel 99% del territorio in cui era presente solo cinquant’anni fa. Le poche popolazioni sopravvissute vivono in aree protette dell’India nord-orientale, mentre negli anni ’70 l’areale di questi mammiferi andava dal Pakistan fino in Birmania, al Bangladesh e talvolta fino in Cina. I responsabili? Gli esseri umani, che hanno trasformato in terreno agricolo le praterie alluvionali dove vivevano questi animali, e che danno loro la caccia credendo che il corno abbia proprietà curative. Sebbene i rinoceronti indiani abbiano tra le storie più tragiche, non sono gli unici mammiferi a rischiare l’estinzione a causa dell’antropizzazione. Uno studio condotto dal dipartimento di Biologia e Biotecnologie Charles Darwin di Sapienza Università di Roma ha valutato l’impatto delle attività umane sull’estinzione locale dei mammiferi e ha scoperto che oggi circa il 75% delle specie analizzate è presente in un’area molto o parzialmente diversa rispetto a cinquant’anni fa. Dallo studio, pubblicato sulla rivista Nature Communication e a cui hanno partecipato anche diversi enti di ricerca australiani, risulta che una specie su cinque ha ridotto la sua presenza sul territorio globale di oltre il 50%. Questo vuol dire che, se ci recassimo nel luogo in cui negli anni ’70 viveva una determinata specie, oggi avremmo più possibilità di non trovarla che di trovarla.

Solo 44 delle 204 specie analizzate hanno espanso la loro area di distribuzione. In particolare, solo le specie generaliste in termini di dieta, quelle che si riproducono velocemente e quelle che hanno una massa corporea piccola sono riuscite ad adattarsi o eventualmente ad approfittare dei cambiamenti climatici”, spiega Michela Pacifici, coordinatrice del team di ricercatori. Il problema sussiste, infatti, principalmente per quei mammiferi che hanno avuto difficoltà a migrare per trovare territori più ospitali. Generalmente, le specie di grandi dimensioni hanno una maggiore capacità di dispersione, poiché la locomozione diventa energicamente più economica all’aumentare della massa corporea. Ma i grandi mammiferi hanno anche bisogno di più spazio e sono quindi i più colpiti dalla frammentazione di quest’ultimo. I mammiferi di piccole dimensioni, invece, si adattano più facilmente.

A facilitare la colonizzazione di nuove aree da parte dei mammiferi contribuiscono principalmente le caratteristiche biologiche delle specie. Ma il declino della loro distribuzione sembra sia dovuta all’incremento della temperatura globale, alla perdita di aree naturali e all’aumento di densità umana. Tutti fattori di origine antropica. “Le cause del declino dei mammiferi vanno comprese a fondo per cercare di invertire il trend. Spesso sono molteplici e concomitanti”, conclude Pacifici. “È essenziale agire in maniera proattiva in modo da diminuire il rischio di ulteriori perdite: ridurre il bracconaggio, limitare la distruzione degli habitat naturali e favorire gli spostamenti dei mammiferi verso aree idonee. Bisognerebbe anche espandere, dove possibile, le aree protette attuali, in modo da garantire una sufficiente disponibilità di ambienti per sostenere la vita delle numerose specie che, altrimenti, andranno scomparendo”.

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