Sconfiggere l’anoressia grazie alla realtà virtuale
La realtà virtuale immersiva permetterà di studiare la componente emotiva dell’anoressia nervosa
Un team di ricercatori Sapienza insieme alla Fondazione Santa Lucia Irccs (Istituto di ricovero e cura a carattere scientifico) ha utilizzato la realtà virtuale immersiva per migliorare la percezione di sé delle persone che soffrono di anoressia nervosa. La ricerca, pubblicata sul Journal of Clinical Medicine e finanziata da un bando Giovani ricercatori del Ministero della Salute, ha mostrato che uno dei sintomi chiave dell’anoressia è l’alterata percezione del proprio corpo. Ma che è possibile lavorarci su grazie a speciali avatar, cioè rappresentazioni virtuali di sé stessi. La speranza dei ricercatori è quindi quella di ridurre il disagio emotivo che le persone anoressiche provano per il loro corpo, abituandole a vedersi bene in corpi sani.
Ma facciamo un passo indietro. Il termine “anoressia” si riferisce alla perdita di appetito, mentre “nervosa” indica la base emozionale dietro il disturbo. Sono tre i comportamenti che permettono agli psichiatri di diagnosticarla: la perdita di peso, l’intensa paura di ingrassare e la percezione distorta della propria immagine corporea. Tra i disturbi psichiatrici, l’anoressia è quello con la mortalità più alta. E nel 10-20% dei casi la persona che ne è affetta non guarisce. Nonostante i dati molto allarmanti, i trattamenti attualmente disponibili non risultano ancora del tutto efficaci. Le terapie odierne, infatti, riescono ad aiutare i pazienti ad aumentare il peso ed evitare complicanze mediche. Il riuscire a mantenere questo risultato sul lungo termine, però, è ancora una sfida aperta. La componente emozionale gioca un ruolo fondamentale su quella che dovrebbe essere la seconda fase del trattamento psichiatrico. E la percezione della propria immagine corporea è proprio legata agli aspetti emotivi della malattia.
Tornando allo studio condotto dai ricercatori Sapienza: le partecipanti erano tutte giovani donne (perché più soggette a soffrire di anoressia nervosa) alcune sane, altre affette dal disturbo. Durante l’esperimento, hanno indossato caschetti per la realtà virtuale attraverso i quali immedesimarsi con un proprio avatar. Per ognuna di loro ne sono stati ricreati tre: uno che riproduceva fedelmente il corpo della persona, uno che ne rappresentava una versione dimagrita e uno ingrassata. Gli scienziati hanno poi utilizzato la tecnica dell’embodiment, ovvero l’illusione di possedere un corpo diverso da quello reale attraverso una rappresentazione visuo-tattile sincronizzata: un tocco sul proprio corpo corrispondeva a un tocco su quello dell’avatar. Le pazienti affette dal disturbo mostravano un marcato disagio nell’incorporare virtualmente l’immagine ingrassata, mentre si sentivano attraenti in quella dimagrita. Le pazienti sane, invece, si sentivano a loro agio nel loro corpo normale, e consideravano non attraente quello dimagrito.
“I risultati mettono in luce l’importanza degli aspetti cognitivi ed emotivi del disturbo di rappresentazione corporea, ma si potrà anche utilizzare questo strumento nei futuri approcci terapeutici e di ricerca. Abituando le pazienti a un’immagine del corpo sana in un setting completamente controllato si favorirà l’interiorizzazione di un corpo normopeso e la riduzione dello stress emotivo legato all’aumento ponderale. Passaggi fondamentali nel processo terapeutico di guarigione dalla patologia”, ha spiegato Ilaria Bufalari, coordinatrice del team di scienziati. Insomma, i risultati mostrano che abbinare l’embodiment e avatar 3D sarà una preziosa risorsa non solo di indagine, ma anche per future applicazioni psicoterapeutiche.
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