Chi ha fatto la Sapienza?

Chi ha fatto la Sapienza?

con Isabeau Birindelli

1.         La struttura e la disposizione degli spazi interni sono rimaste invariate nel tempo, come voleva l’originario progetto di Gio Ponti, o sono avvenuti cambiamenti nel corso degli anni? Se sì, questi cambiamenti hanno rispettato l’intento iniziale del progetto?

In generale non sono avvenuti grandi cambiamenti rispetto al progetto originario. L’edificio ha forma di “capanno” con volumi distinti. Sono state aggiunte due aule da un lato e due dall’altro, che hanno completato il semicerchio collegandolo con la parte dritta della facciata. Quindi la sensazione di scorporamento che si poteva percepire prima dell’intervento (tra parte curva e parte dritta) oggi non si avverte più.

Ciò che ha modificato realmente l’aspetto dell’edificio è l’aggiunta, negli anni ‘80, delle tre scale antincendio al centro del cortile, di cui almeno una decisamente sovradimensionata rispetto allo scopo. Questo ha davvero cambiato l’aspetto dell’ambiente in modo invasivo sia dal punto di vista della percezione spaziale che visivo. In quel periodo l’architettura della Sapienza era poco considerata e quindi sono stati fatti tanti interventi che hanno quasi coperto la precedente struttura invece di esaltarla.

2.         Si parla della scuola di Ponti come espressione architettonica moderna, anche in quel periodo denso di innovazioni. Da che cosa lo si può intuire nell’edificio?

Un’innovazione che mi viene in mente, a cui di solito non ci si pensa, è l’uso del linoleum per i pavimenti, su cui camminiamo ancora oggi (i pavimenti sono stati sostituiti quasi tutti, a parte quello della biblioteca che è originale). A volte chi viene in visita dell’edificio si stupisce di trovare il linoleum in mezzo a tanto marmo e a tanta maestosità, ma in realtà questo materiale, per l’epoca, era una grande novità: fare un pavimento così perfetto, così duraturo e con un basso costo era davvero innovativo. Giudicare altre innovazioni prettamente architettoniche per me è difficile. Sicuramente un’altra novità è l’uso della luce: si tratta di un edificio con tantissime finestre, e quelle originali rimaste hanno dei meccanismi particolarissimi di apertura e chiusura. Dal punto di vista energetico non so quanto fosse conveniente, perché i materiali sono quelli che sono, ma sicuramente c’è un carattere innovativo nei meccanismi, che percepiamo ancora oggi.

3.         Nel realizzare l’edificio a cosa si è data la priorità? Alle esigenze funzionali oppure alla cifra stilistica? Oppure entrambe hanno avuto a loro modo lo stesso peso?

Al riguardo c’è da dire che la matematica, come materia accademica, è cambiata molto. Ad esempio, il corridoio dove si trova attualmente il mio studio e quello sottostante, così come credo anche la porzione speculare dell’edificio, originariamente erano grandi aule di disegno, perché questa era una materia estremamente importante per un matematico: per esempio geometria descrittiva, materia che si studia anche ad architettura, è una materia di matematica. Il progetto dell’edificio, con la biblioteca, era strutturato molto bene, perché ospitava tutto quello che poteva servire a un matematico: carta, penna e quello che avevano fatto i matematici prima di lui, che si trovava sui libri, e sulle riviste. Dal momento che c’era anche l’esigenza del disegno, Ponti ha progettato grandi spazi in cui entrava molta luce, in modo che potesse essere agevole disegnare. Questa materia, adesso, tra i matematici, è praticamente scomparsa. Gli spazi con tanta luce sono sempre utili, però, per cui queste grandi sale da disegno sono diventate uffici dove poter lavorare.

4.         Secondo lei, da matematica, in questo edificio quanta matematica si respira?

Sinceramente, forse non più che in altri edifici. Può essere un’ispirazione, ma non per un matematico, ma magari per uno studente che entra nell’edificio perché attratto dall’architettura.

Più che altro la cosa interessante è che la città universitaria ha la pianta di una cattedrale a croce latina, in cui l’abside è il rettorato, e l’edificio di matematica si trova a una delle estremità del transetto da questo punto di vista la forma circolare dell’edificio prende senso, è come se fosse un’ulteriore cappella, oltre all’abside del rettorato. 

5.         Si respira ancora aria di “maestosità” (tipica dell’architettura di epoca fascista)?

L’edificio di Matematica nasce in epoca fascista, in un contesto storico definito dall’idea di grandezza e maestosità, dove la matematica, per certi versi, aveva un’importanza sociale quasi secondaria rispetto alla fisica. Questi concetti vengono ripresi da Gio Ponti e portati alla loro massima espressione. All’epoca dei fatti l’edificio più grande d’Europa era quello di Gottinga ma l’idea di Ponti era quella di costruirne uno ancora più grande, proprio in linea con il pensiero di quel tempo. Un edificio che fosse nuovo e innovativo nella sua costruzione e nella funzione sociale. 

Con il passare del tempo le nuove generazioni si sono abituate a respirare quell’aria e a vivere quella grandezza. Nonostante questo, molto ancora si conserva di quel periodo: dalle poltrone ai mobili infatti molti sono gli uffici che ancora ne usufruiscono. L’importanza architettonica e ingegneristica dell’edificio è testimoniata principalmente da due elementi: il primo ha a che fare con la realizzazione stessa dell’opera; vero patriottismo stava nella volontà prima e nella capacità poi di realizzare un’opera così maestosa. Il secondo risiede, invece, nella sua collocazione: posto in un punto strategico della cittadella universitaria quasi a testimoniare la sua superiorità rispetto all’edificio della Facoltà di Fisica.

Immagine in evidenza: Interno della Biblioteca del Dipartimento di Matematica Guido Castelnuovo di Sapienza. ©Mattia La Torre