Thomas

E. Donnall Thomas, l’uomo che regalò un futuro ai malati di leucemia

Alla paternità del trapianto di midollo osseo – e al primo medico a fare ricerca clinica diretta sui pazienti – va il Nobel per la medicina del 1990

A quel tempo la diagnosi di leucemia era una sentenza di morte certa nell’arco di pochi mesi. Mi sembrava un campo con ampio margine di miglioramento”. Questo il punto di partenza, descritto con l’ironia e la semplicità uniche di Edward Donnall Thomas. Il punto d’arrivo: il Nobel per la medicina nel 1990, per gli studi sul trapianto di midollo osseo.

Erano le due del mattino quando squillò il telefono e da allora non smise più. Thomas pensò che si trattasse di uno scherzo dei colleghi del Fred Hutchinson Cancer Research Center, mentre Dorothy “Dottie” Martin si spazientì credendo che il marito avesse accettato un’intervista in quell’orario improbabile. Da quel giorno, la gloria scientifica non fu nulla rispetto alle innumerevoli proposte di agenti immobiliari e sarcastiche frasi di giornalisti che, annusando la loro vecchia auto, suggerivano che fosse l’occasione giusta per cambiarla. La portata clinica della scoperta poi, non fu sempre compresa: durante una conferenza, una giornalista chiese quando sarebbe avvenuto il salto dal trapianto di midollo a quello del cervello. Fortunatamente Thomas ignorò il suggerimento della moglie di dire che fosse lei – la giornalista – ad averne bisogno, e si limitò a far presente che: “Il midollo osseo non c’entra nulla col cervello”.

Thomas nacque il 15 marzo 1920 in un piccolo villaggio del Texas dove il padre esercitava come medico di famiglia, e trascorse l’infanzia accompagnandolo nelle visite domiciliari con cavallo e calesse. Non era uno studente modello, e – ci teneva a precisare – non eccelleva nemmeno fra i suoi 15 compagni di classe. Anche all’università ci mise un po’ a ingranare – inizialmente raccoglieva solo B – ma imparò ad apprezzarla quando divenne più impegnativa. Si laureò in ingegneria chimica nel 1943 e nello stesso anno cominciò il dottorato alla Harvard Medical School.

Una mattina, mentre serviva ai tavoli di un dormitorio femminile per mantenersi gli studi, fu colpito in faccia da una palla di neve. La definì la sua grande fortuna: conobbe così Dottie, inseparabile compagna di vita. Tecnico di laboratorio, giornalista ed esperta in ricerca bibliografica, fu anche un valore aggiunto inestimabile nel suo team.

L’interesse di Thomas verso il trapianto di midollo esplose nel 1955, con la pubblicazione di un articolo che dimostrava che un topo, salvato da una dose letale di radiazione mediante un’infusione di midollo, accettava anche un innesto di pelle dal donatore, e che l’effetto di protezione dalle radiazioni era dovuto alla sopravvivenza del midollo.

Sapevamo che la leucemia è sensibile a radiazioni e alte dosi di farmaci – racconta Thomas – quindi perché non curare un paziente con terapie tali da distruggere il midollo osseo e poi trapiantarne uno sano?

Non si trattava solo di sviluppare una nuova tecnica, ma di portare avanti un’idea che la maggioranza degli ematologi e degli oncologi riteneva impraticabile, o peggio, immorale.

Dopo il 1963, anno del trasferimento al Seattle Public Health Hospital, il progresso fu rapido: gli studi di immunologia dell’irradiazione nel cane, le scoperte sull’istocompatibilità umana e, infine, la dimostrazione che alcuni pazienti con leucemia avanzata e anemia aplastica guarivano con trapianto di midollo. Nel 1990 Thomas vinse il Nobel insieme a Joseph Murray, dimostrando non solo che il midollo osseo poteva essere raccolto, conservato e somministrato con sicurezza, ma che poteva sopravvivere nell’ospite in circostanze svantaggiose – come nel caso di pazienti irradiati o affetti da neoplasia midollare. Dettaglio, questo, fondamentale in un’epoca che doveva fare i conti con bombe atomiche e incidenti ai reattori. A quel tempo e a poco meno di trent’anni dai primi studi, il team di Thomas aveva effettuato più di 4000 trapianti.