La Sapienza degli orrori
con Maria Conforti
1. Gli strumenti dell’antica medicina sono più strumenti di “tortura” che di “cura”. È possibile “scrivere” una data di passaggio da “tortura” a “cura”?
Quello che a noi, anche oggi, può sembrare uno strumento di tortura in effetti è uno strumento di cura. Voglio fare un esempio molto semplice: lo speculum, che tutte noi donne conosciamo molto bene. Se guardiamo uno speculum non abbiamo di certo una reazione positiva, almeno come primo impatto.
La vera rivoluzione che ha segnato il passaggio fra tortura e cura è stata la scoperta dell’anestesia. Essa fu subito adottata ma non per rispetto per il paziente (come potremmo pensare) bensì per tenerlo fermo, esigenza necessaria al chirurgo! Un altro passaggio che merita di essere segnalato è la scoperta dei “pain killers”, ovvero gli analgesici. Essi furono tra i primi farmaci efficaci della storia della medicina e dell’uomo scoperti nella seconda metà dell’800 e che furono usati moltissimo. Questa è stata la vera rivoluzione.
2. Conosciamo alcuni scheletri egizi in cui sembrano essere state effettuate operazioni al cervello attraverso trapanazioni craniche. Nel Museo sono presenti strumenti che possano avvalorare tale ipotesi?
Le trapanazioni craniche erano diffuse (forse anche a scopo rituale) in tutte le civiltà primitive. Il senso medico di questa tecnica era probabilmente alleviare la pressione intracranica. Nel Museo non sono presenti veri strumenti a testimonianza della tecnica, ma abbiamo un “reperto” davvero straordinario (il più bello in nostro possesso) che ci testimonia l’usanza: “il bambino di Fidene”. Si tratta, in realtà, dello scheletro di una bambina, molto probabilmente di origine nordafricana, rinvenuta in una sepoltura di età imperiale a Fidene. Nel cranio di questo scheletro è presente un chiaro segno di trapanazione cranica ma anche di ricrescita dell’osso. Questo ci dice chiaramente non solo che il cranio di questa bambina è stato trapanato, ma anche che lei è sopravvissuta per diversi mesi dopo l’intervento, perché l’osso è ricresciuto.
3. Il Museo ha una sezione di antropologia. Sono presenti alcuni reperti di crani e mandibole attraverso i quali è possibile ricostruire l’evoluzione dell’apparato stomatognatico dell’uomo e, di conseguenza, delineare la sua evoluzione filogenetica?
In realtà il Polo Museale della Sapienza è una rete di Musei interessantissimi. C’è un Museo di Antropologia diretto dal professor Giuseppe Manzi dove sono presenti collezioni fantastiche di crani che hanno un interesse grandissimo non solo dal punto di vista paleo-patologico, ma anche coloniale. Questi crani sono stati raccolti durante la seconda metà dell’800, età positivista e colonialista, in cui i reperti venivano collezionati anche nell’intento di illustrare e classificare le razze umane. Sono presenti, quindi, non solo crani ma anche ricostruzioni di crani. Nel nostro Museo sono invece presenti un paio di crani sifilitici. La sifilide è una malattia importantissima per la storia della medicina e fu importata dalle Americhe nel tardo ‘400. I paleopatologi, infatti, non hanno trovato crani sifilitici antecedenti a questa data a testimonianza del fatto che la malattia non era presente in Europa nel periodo precedente alla scoperta dell’America. Tale cranio è importante da vedere perché sono presenti le caratteristiche “carie” che si formano dopo un lungo decorso della malattia e sono davvero uniche nel loro genere: non esistono altri reperti umani di questo tipo antecedenti al ‘400.
4. In riferimento alla medicina araba, nel Museo è presente il primo ricovero di tipo ospedaliero. Ce lo può descrivere?
È una pianta di una tenda di un “bimaristan”, parola di origine persiana (ma utilizzata nella civiltà arabo-islamico) per definire l’ospedale. La civiltà medica arabo-islamica era importantissima: fu una delle maggiori del Medioevo, molto più interessante di quella coeva occidentale. La medicina “latina” fino al ‘200-‘300 non diede grandi segni di vitalità, mentre quella araba era avanzatissima per l’epoca e aveva ereditato la medicina antica greca. Ma con una innovazione: gli ospedali. Dobbiamo però fare un piccolo inciso: in realtà, più che di ospedali bisogna parlare di “luoghi in cui si portano i malati”. I medici antichi andavano a casa del malato mentre il chirurgo aveva una “bottega” che era il luogo in cui egli operava. In realtà ci sono tracce anche in epoca bizantina di ospedali organizzati. Ma gli arabi fanno una cosa fondamentale, ovvero usano questi luoghi non solo come ricovero per i pazienti ma come luogo di insegnamento, ancora informale, ma di insegnamento. E questo è cruciale per l’evoluzione della storia della medicina, perché l’insegnamento antico prevedeva di vedere un malato alla volta mentre vedere i malati tutti insieme consente una visione del tutto diversa.
5. Nelle vostre collezioni è possibile identificare oggetti e strumenti medico-scientifici che meglio testimoniano le importanti fasi dell’evoluzione specialistica delle scienze mediche? Se sì, quali sono e perché?
Certamente sono presenti oggetti di questo tipo. Due esempi su tutti: l’elettrocardiografo (che valse il Nobel per la medicina al suo inventore, Willem Einthoven, nel 1924) e il forcipe, uno strumento ostetrico risalente al 1700 simile a una pinza a forma di doppio cucchiaio, utilizzato per estrarre la testa del nascituro dalla vagina prendendolo per il capo. Quest’ultimo rappresenta un momento importante nella storia: il passaggio da una medicina “empirica” in mano alle donne a una “tecnologica” per gli uomini, spesso più istruiti in ambito medico. Esiste inoltre una sezione interamente dedicata ai farmaci dove, senza ombra di dubbio, spiccano la pillola anticoncezionale e i primi psicotropi.
6. Riguardo il Polo Museale Sapienza, dove si pone il vostro museo? Chi è attirato dal museo? Addetti ai lavori o meno?
Siamo in una stranissima posizione nel Polo Museale, che credo sia un po’ anche indicativa di come è considerata la medicina. Siamo considerati un museo scientifico, ma non lo siamo affatto. Siamo un museo storico che non risponde ai criteri dei musei storici classici perché, ad esempio, abbiamo una quantità enorme di riproduzioni (io li chiamo falsi, sono ricostruzioni), abbiamo addirittura intere stanze finte, molto pittoresche. Quindi non siamo un museo scientifico in senso stretto e nemmeno un museo storico in senso stretto, ma più un museo didattico, che contiene però reperti di grande importanza (collezioni e reperti unici).
Immagine in evidenza: Busto raffigurante un intervento di rinoplastica del Rinascimento, per la cura del ‘naso a sella’ causato dalla sifilide. ©Mattia La Torre
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