Ritorno ai fondamenti della fisica e non solo: intervista a Angelo Vulpiani
Angelo Vulpiani è professore ordinario al dipartimento di Fisica di Sapienza dal 2000. Partecipa a progetti internazionali, è stato invitato a tenere conferenze in varie città del mondo ed è autore ed editore di diverse pubblicazioni
Da poco è stato insignito dell’Eps Statistical and Nonlinear Physics Prize 2021. Ci può spiegare di cosa si tratta?
“La cosa più semplice è riportare quello che dice Wikipedia: ‘È un premio assegnato ogni due anni, sin dal 2017, dalla European Physical Society (Eps), che mira a riconoscere importanti contributi alla ricerca nell’area che comprende: fisica statistica, fisica non lineare, sistemi complessi e reti complesse’. Posso solo aggiungere che vedere il mio nome insieme a quello di Peter Grassberger, figura carismatica per chi si occupa di caos, è per me fonte di grande orgoglio”.
Cosa sono i sistemi complessi?
“Confesso che il termine ‘sistemi complessi’ non mi piace, ormai è diventato una sorta di marchio di fabbrica sotto il quale sono accumunate cose molto diverse che, pur interessanti, non sono necessariamente connesse: dai sistemi caotici, alla meccanica statistica, fino alle reti. Un mantra che circola è: ‘Un sistema complesso ha tante componenti in cui il tutto è più delle somma delle parti’. Una frase un po’ a effetto che – opportunamente interpretata – può essere vera, ma spesso è usata più come slogan. A mio avviso non esiste una scienza della complessità, però ci sono non pochi problemi in cui si ha a che fare con qualche forma di complessità. Per esempio, esistono metodi matematicamente ben fondati, come l’entropia di Kolmogorov-Sinai, la complessità algoritmica e la complessità computazionale, per caratterizzare alcuni aspetti della ‘complessità’. Ma, parafrasando Tolstoy, tutti i sistemi semplici sono semplici alla stesso modo, ciascun sistema complesso è complesso a modo suo. Ogni disciplina scientifica è principalmente il tentativo di comprensione di una fenomenologia, questa idea non è condivisa da alcuni teorici della ‘scienza della complessità’, che sembra vogliano fondare una scienza senza soggetto, progetto che non condivido affatto. Un sistema caotico è sicuramente complesso (in un senso tecnico ben preciso), ma se ha pochi gradi di libertà non ha senso parlare di parti, in questo caso la complessità è relativa al comportamento nel tempo. Nei sistemi con molte componenti, per esempio la turbolenza, oltre a una ‘complessità temporale’ si hanno non banali aspetti spaziali. Tra i problemi più interessanti ci sono quelli con una struttura a scala multipla, in cui sono coinvolte tante variabili con tempi caratteristici molto diversi, un esempio di ovvio interesse è la dinamica climatica in cui si hanno fenomeni su scale spaziali e temporali molto diverse: dalla turbolenza, che ha un tempo caratteristico dell’ordine del secondo o meno; alle correnti oceaniche profonde, che hanno un tempo caratteristico di decine di migliaia di anni”.
Qual è stato il suo percorso di studi e cosa l’ha spinta a seguirlo?
“Ho fatto il liceo scientifico e verso i 16 o 17 anni ho cominciato a interessarmi alla fisica e alla matematica. I miei professori di queste materie non erano particolarmente stimolanti, ma la spinta venne dal professore di filosofia, persona di grande carisma e cultura. Come per molti della mia generazione, tutto è cominciato con i libri divulgativi di Bertrand Russell e quelli della collana scientifica della Boringhieri, poi ho studiato fisica alla Sapienza. All’inizio, come credo molti giovani aspiranti fisici, ero attratto dalle connessioni della fisica con gli aspetti generali della filosofia della scienza, cose che entusiasmano, ma che è più opportuno affrontare in età matura, dopo aver fatto esperienze di ricerca. All’università ho avuto la grande fortuna di seguire i corsi di docenti eccezionali come Edoardo Amaldi, Gianfausto Dell’Antonio, Nicola Cabibbo e Giovanni Jona-Lasinio, che è stato anche il mio relatore di tesi, poi ho anche avuto la possibilità di collaborare con Giorgio Parisi (vincitore del Premio Nobel per la Fisica nel 2021 per la scoperta dell’interazione fra disordine e fluttuazioni in sistemi fisici, da scale atomiche a scale planetarie). Quando mi sono laureato, in Italia non esisteva ancora il dottorato di ricerca, si imparava il mestiere all’interno di qualche gruppo, nell‘’ambito di borse di studio. La mia era del comitato della matematica del Cnr. Ho anche trascorso qualche breve periodo in Francia, Belgio, Stati Uniti e Danimarca. Mi sono laureato nel 1977, all’epoca quasi sempre i neolaureati avevano una notevole libertà nella scelta degli argomenti, senza particolari pressioni, almeno questo è stato il mio caso. Il mio percorso di ricerca è stato al confine tra la fisica teorica e la matematica applicata, mi sono occupato principalmente di meccanica statistica, caos, processi stocastici e turbolenza”.
Di cosa si occupa attualmente?
“Al momento cerco di utilizzare il teorema di fluttuazione-dissipazione, che connette le fluttuazioni spontanee con la risposta del sistema ad una perturbazione esterna, per caratterizzare le proprietà di non equilibrio di sistemi estesi e lo studio delle relazioni di causalità tra diverse variabili. Un esempio: determinare quanto la temperatura influenza la CO2 e viceversa, problema che non può essere banalmente ricondotto alle correlazioni, ricordare il ben noto adagio ‘correlation does not imply causation’. Provo anche a occuparmi di divulgazione, recentemente con un libro che è stato pubblicato a giugno dalla Springer, su argomenti che in genere non vengono trattati nei libri dedicati al grande pubblico come caos, probabilità, meccanica statica, simulazioni e modelli. Inoltre, ho un’attività sui fondamenti della meccanica statistica, sostanzialmente capire perché questa branca della fisica teorica, pur con tutti i suoi problemi tecnici e matematici non ancora sistemati, sia in grado di funzionare in modo più che soddisfacente. Un problema che coinvolge aspetti probabilistici, della dinamica e le proprietà emergenti dei sistemi macroscopici”.
Quale aspetto del suo campo considera più affascinante?
“Sicuramente il fatto che pur non avendo una comprensione completa della leggi della natura, siamo in grado di capire con grande precisione molti aspetti del mondo che ci circonda. Per esempio, nei sistemi macroscopici in non pochi casi siamo in grado di costruire una descrizione efficace. Questa possibilità, che è sostanzialmente alla base del successo della meccanica statistica, ha interessanti connessioni con la teoria della probabilità e con l’epistemologia”.
Sul suo sito si trova un “pantheon”, in cui compaiono fisici, ma non solo. Che interessi ha oltre la fisica e quanto ritiene importante la contaminazione tra varie discipline?
“Oltre alla fisica e alla matematica mi interesso di filosofia e di storia. Credo che lo studio dei fondamenti della scienza sia un aspetto molto interessante e non solo da un punto di vista di mera erudizione. Per esempio, attualmente la meccanica statistica è a un punto del suo sviluppo in cui per andare avanti è utile -e forse necessario- riconsiderare i suoi aspetti fondamentali. La contaminazione tra le diverse discipline ha sempre avuto una grande importanza, se si guarda al passato si trovano cose inaspettate e anche divertenti. Ecco un esempio: le catene di Markov, attualmente uno strumento matematica di uso comune in fisica, chimica e anche in finanza, nascono nell’ambito di un acceso dibattito su libero arbitrio e scienze sociali, tra Markov, che era ateo e progressista ed un suo collega bigotto ed oscurantista. Poi, come si capisce dal ‘pantheon’ sulla mia pagina, seguo cose strane come il sollevamento pesi (da non confondere con il body building e il powerlifting!), uno sport decisamente poco noto che ho praticato a livello agonistico nei miei anni giovanili”.
Le piace l’insegnamento? Su quali aspetti delle sue materie si concentra maggiormente durante le lezioni?
“A me piace molto insegnare, c’è sempre una frazione di studenti entusiasti e preparati che vogliono capire. Il punto dolente è come le istituzioni universitarie cercano di orientare la didattica in modo frammentato, attraverso il famigerato metodo dei crediti formativi, sempre più spesso verso argomenti alla moda o -presunti- pratici. Tanto per fare un esempio può citare l’acritico entusiasmo per la data science, gli algoritmi e l’intelligenza artificiale.
Per non parlare delle imbarazzanti e insistenti intrusioni, al limite del ridicolo, su come si dovrebbe impostare il programma di un corso, organizzare un esame e valutare il ‘successo’ di un docente tra gli studenti. Esiste addirittura un documento dell’Unione Europea, con una serie di istruzioni e suggerimenti (Descrittori di Dublino) per noi docenti su cosa dovremmo fare, il tutto scritto in modo pomposo ed oscuro: la traduzione in termini pratici mostra la pochezza del tutto, per usare termini educati.
Nei miei corsi cerco di dare delle solide basi generali senza trascurare gli aspetti tecnici, in modo che lo studente sia in grado di cominciare a capire in modo autonomo la materia. Questa impostazione può sembrare ovvia, ma non è così. Il mio corso della Laurea Magistrale, ‘Meccanica Statistica del Non Equilibrio’, è uno dei pochissimi in cui gli studenti devono fare esercizi, cosa che, nel passaparola studentesco, lo cataloga tra i ‘corsi tosti’. Visto che in molti continuano a seguirlo, forse si deve concludere che gli studenti sono più saggi di tanti docenti e burocrati”.
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