Simone Pollo all’Ern: “La scienza è il pilastro di una democrazia compiuta”
In occasione della Notte Europea dei Ricercatori, abbiamo incontrato Simone Pollo, professore associato di Filosofia Morale a Sapienza e autore del “Manifesto per un animalismo democratico”
“In & out. La comunicazione circolare della scienza per una società democratica”. Questo il titolo del dibattito che si è tenuto alla Città dell’altra economia in occasione della Notte Europea dei Ricercatori (Ern) 2021. Alla tavola partecipativa hanno partecipato la senatrice Elena Fattori, il giornalista Luca Carra e il professore Simone Pollo, che abbiamo intervistato dopo l’evento.
ERN si tiene ogni anno dal 2005. Aveva già partecipato alle precedenti edizioni e cosa pensa di questo genere di eventi?
“Gli altri anni ero tra il pubblico, quest’anno per la prima volta ho partecipato attivamente. È un tipo di iniziativa che considero importante. Mi ha sorpreso la quantità di pubblico e sono stato felice di vedere diversi nuclei familiari. È un’occasione per mettere in connessione le comunità ristrette di esperti e scienziati con un pubblico più ampio, in una modalità piuttosto informale che crea una relazione tra ricercatore e pubblico. È, in altri termini, una forma di ‘umanizzazione’ del lavoro di ricerca”.
In relazione alle tre domande poste ai partecipanti alla tavola rotonda – chi deve decidere, chi deve convincere, a chi dare la precedenza per la terza dose di vaccino – ha posto l’attenzione sull’importanza del “dialogo” tra i diversi attori, in linea con quanto viene suggerito dal recente studio su infodemia e covid. Come è possibile realizzare un nuovo patto tra cittadini, istituzioni e media?
“Ho posto l’accento sulla necessità del dialogo e di un dibattito pubblico partecipato perché in democrazia non dovremmo pensare che esista un decisore unico a cui spetta totalmente l’onere delle scelte. Certe decisioni andrebbero concepite da un processo che ha a che fare con il contesto della deliberazione democratica. Non dovremmo ragionare in termini di ‘gerarchie’, ma di ‘competenze’ e di ‘rappresentanza’ dei diversi interessi e dei diversi attori coinvolti. Ovviamente è difficile formalizzare questo processo. Ma certamente una buona azione politica, a vari livelli, è in grado di attivare procedure che consentano il dialogo e la discussione pubblica. In una democrazia matura, la scienza, intesa come insieme di saperi, non è solo uno strumento o un bene accessorio. Noi siamo, o dovremmo essere, una democrazia avanzata non solo perché abbiamo una forma di rappresentanza, più o meno funzionante, ma proprio perché la scienza costituisce un pilastro, l’elemento strutturale della nostra vita comune”.
In epoca di pandemia, come conciliare la necessità del dialogo e del dibattito pubblico partecipato con la tempistica ristretta tipica di un’emergenza sanitaria?
“È chiaro che durante un’emergenza si perde in parte la possibilità di una deliberazione democratica. Ma è possibile compensare con la qualità e la quantità di informazione. Ciò consentirebbe di seguire le indicazioni delle autorità predisposte avendo la possibilità di accedere alla maggior quantità di informazioni possibile. Questo è in parte mancato nella gestione della pandemia da Covid-19”.
In epoca di social si cede facilmente alla tentazione di rendere argomenti specialistici più appetibili al grande pubblico, trasformandoli in contenuti “pop”. Come difendere l’espisteme senza bloccare la partecipazione delle persone?
“Premesso che in questo senso i social hanno solo esasperato un fenomeno iniziato già una ventina di anni fa con i blog, distinguerei tra il rendere pop un argomento e divulgarlo. La divulgazione è inevitabilmente dall’alto al basso: essa trasforma un sapere esoterico in un sapere accessibile. Si tratta di un processo di ‘semplificazione’ che non è mai banalizzazione e che richiede degli strumenti specifici per essere attuato. Il pop è un’altra cosa: è incapsulare un sapere specialistico in una cultura popolare, a partire dal linguaggio. In questa ottica, non c’è più alto e basso, tutti possono parlare con la stessa legittimità di qualsiasi argomento, senza studio né competenza. Occorre salvare la divulgazione, che è una cosa seria, dalla volgarizzazione del pop”.
Perché le persone tendono a pensare che la scienza sia certezza e non un processo continuo verso la conoscenza?
“La prima cosa da rilevare è che lo stato dell’educazione scientifica in Italia è piuttosto debole.
C’è sicuramente un atteggiamento fideistico nei confronti della scienza o al contrario uno scetticismo radicale. Entrambi gli aspetti fanno parte inevitabilmente della psicologia umana. Per la maggior parte delle persone è difficile pensare alla scienza come la cosa complessa che invece è. Questo è in parte anche responsabilità di come, a volte, la scienza viene comunicata, presentandola in pubblico con delle grandi certezze. Sarebbe necessario dare invece della scienza una versione più problematica”.
Si parla sempre più spesso di social e di polarizzazione. Al di là delle questioni legate alla pandemia, è possibile sperare di uscire da un dibattito pubblico ad andamento binario?
“Ci sono delle condizioni precognitive dell’essere umano che ci portano a schierarci e a polarizzarci. Più che pensare di poter abolire questi meccanismi cognitivi, bisognerebbe pensare di creare delle camere di intermediazione. Dei luoghi pubblici e culturali in cui le persone possano venire a contatto con idee diverse, come è proprio delle democrazie liberali compiute e come afferma nel suo celebre Saggio sulla libertà John Stuart Mill. La pluralità delle idee è fondamentale ma in contesti non binari, non oppositivi e in cui sia possibile una mediazione”.
Come coinvolgere davvero le persone per realizzare la società della conoscenza e la cittadinanza scientifica di cui parlava Pietro Greco?
“Negare l’accesso dei cittadini alla conoscenza significa non solo ledere il diritto all’istruzione ma ledere un diritto fondamentale di cittadinanza. Essere cittadini consapevoli significa essere in grado di gestire la conoscenza. E per comprendere, è necessario capire alcune premesse epistemologiche che sono alla base della scienza moderna. Internet e i nuovi mezzi di comunicazione possono essere un ottimo strumento per allargare la conoscenza ma non tutto può venire dal basso. Ci dovrebbero essere delle agenzie istituzionali che si occupino di educare, in un’ottica di partecipazione. La democrazia è la società dell’educazione. La trasmissione culturale è innanzitutto un fatto biologico che ha una direzione: va da chi sa a chi apprende. E questo è un fatto incontrovertibile”.
Perché il cittadino comprenda il lessico scientifico e ne colga i concetti di base è assolutamente necessario rivedere i programmi scolastici ministeriali che in materia di scienze sono stati ridotti all’osso.
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