Oliver Smithies, il Nobel dei topi transgender
La vita di Oliver Smithies, novant’anni trascorsi tra ricerca e docenza. Il genetista si aggiudica il premio Nobel per la medicina nel 2007 grazie alla scoperta del gene targeting applicata ai topi geneticamente modificati chiamati “knockout”
“Io non lavoro, gioco e faccio quello che mi piace“: con queste parole, il genetista Oliver Smithies svela il segreto del proprio lungo successo. Non uno scienziato ma un “inventore”, come ama definirsi lui, americano di origini britanniche.
La madre insegna letteratura inglese all’Halifax Technical College quando si innamora di uno dei suoi studenti, molto più giovane di lei, William Smithies. Da questa relazione, nel 1925 nasce Oliver, il suo fratello gemello Roger e, cinque anni, dopo una bambina dai capelli rossi e la pelle chiara, Nancy. La famiglia vive nel West Yorkshire, in una casa ideale per i bambini: dal retro si accede a un vasto bosco di querce, un luogo in cui i gemelli, con la guida del nonno Smithies, giardiniere di professione, imparano a familiarizzare con il lavoro manuale, curando le api e raccogliendo il miele. Oliver vive un’infanzia tranquilla fino all’età di sette anni, quando contrae una forma severa di febbre reumatica che gli lascia un lieve soffio al cuore e non gli permette di praticare nessuno sport nel corso dell’adolescenza. Trascorre così le giornate leggendo libri, sviluppando fin da giovane la curiosità per i telescopi e appassionandosi alla scienza. “Mio padre apprezzava la matematica”, racconterà più tardi. “Ho un ricordo particolarmente vivido di lui che mi fa conoscere i decimali in tenera età, scrivendoli con il dito sulla condensa che ricopre il muro del bagno”.
Vince una borsa di studio per l’Università di Oxford, dove non ha necessità di frequentare i corsi di matematica perché considerato dai docenti uno studente già molto promettente in quel campo, e si laurea in fisiologia con lode. Si iscrive alla facoltà di medicina e comincia a seguire con curiosità le conferenze sull’applicazione della chimica e della fisica nei sistemi biologici tenute dal suo tutor Sandy Ogston. In questa occasione Oliver studia le reazioni tramite le quali l’organismo estrae energia dai carboidrati, pubblicando un lavoro intitolato “Gli aspetti termodinamici e cinetici della fosforilazione metabolica”, nel quale descrive il calcolo dell’energia prodotta dalle reazioni chimiche delle cellule nel processo metabolico. Il fascino di questi insegnamenti lo spinge ad abbandonare gli studi in medicina e a dedicarsi all’attività di ricerca nel campo della biochimica, conseguendo la laurea nel 1951. Sotto il consiglio di Ogston, decide di trasferirsi in America per completare il post-dottorato all’Università del Wisconsin-Madison. Ricordando le titubanze prima della partenza, affermerà in seguito che “la gentilezza dei colleghi e degli amici è talmente grande che ha rimosso completamente i miei preconcetti sul popolo americano”. Tale convinzione si rafforza ulteriormente quando incontra la virologa Lois Kitze, con la quale convola a nozze e si trasferisce in Canada.
A Toronto sviluppa la tecnica della cosiddetta “elettroforesi su gel”, un’idea nata da un ricordo d’infanzia quando sua madre stirava le camicie del padre e l’amido, conservato al freddo, assumeva la consistenza di un gel. L’impiego dell’amido negli esperimenti gli permette di separare e analizzare più nel dettaglio le molecole di Dna, Rna e proteine. Questo metodo, molto più innovativo rispetto a quelli impiegati nei laboratori dell’epoca, gli consente di analizzare meglio le proteine contenute nel sangue e di capire come i componenti si legano tra loro secondo fattori ereditari. Vent’anni dopo mette nero su bianco i passi avanti fatti nel campo della mutazione genetica così descrive sul suo taccuino un piano sperimentale dettagliato per la modifica del Dna che chiama “ingegneria dei geni”, la chiave per lo sviluppo di nuovi trattamenti nella cura di diverse malattie. Dal 1988 insegna patologia e medicina di laboratorio all’Università della Carolina del Nord, a Chapel Hill. Qui oltre alle nozioni teoriche, Smithies suggerisce alcuni curiosi consigli agli studenti del corso per sfruttare a pieno le proprie capacità: “Nella notte molte cose accadono nella testa, dormi e il tuo cervello ti ringrazierà. Le idee cominciano a comparire, se non dormi bene non dai tempo alla testa per farlo”.
All’attività di docenza si affianca a una proficua attività di laboratorio e tra i diversi lavori, assume particolare rilevanza la messa a punto della tecnica del gene targeting applicata a topi chiamati “knockout” , ovvero geneticamente modificati. L’esperimento permette per la prima volta di cancellare o disattivare un singolo gene nel Dna attraverso l’impiego delle cellule staminali embrionali. Un’intuizione grazie alla quale si aggiudica il premio Nobel per la Medicina nel 2007: la scoperta ha infatti aperto la strada ad una comprensione sempre più approfondita verso le cause di malattie come il cancro, l’obesità e le malattie ereditarie del sangue. Dopo un breve ricovero all’UncHospital della Carolina, scompare il 10 gennaio del 2017 all’età di 91 anni.
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