La donna del Dna: un Nobel mancato

La donna del Dna: un Nobel mancato

di Martina Giorgi, IVBLS, Campus Leonardo da Vinci, Umbertide (PG)

Questo saggio partecipa al concorso Hansel e Greta. Il vincitore verrà designato sulla base del numero di voti ricevuti e della valutazione da parte di una giuria di qualità. Le votazioni partiranno il 15 giugno 2020. Per votare cliccare su questo link, selezionare il tema desiderato e cliccare sul pulsante “vota” in fondo alla pagina.

L’acido desossiribonucleico, meglio conosciuto come Dna, fu scoperto nel 1869 dal medico svizzero Friedrich Miescher che identificò, all’interno dei globuli bianchi, una sostanza ricca di fosfato che denominò nucleina. Da allora l’evolversi della scienza ha conseguito uno sviluppo nello studio di questa essenziale molecola, tanto che il futuro dipende dai progressi della genomica, bioinformatica e microbiologia.

Questo sviluppo fu caratterizzato da diverse scoperte, più o meno consistenti, considerando anche le strumentazioni inizialmente disponibili. In particolar modo non appena gli scienziati si convinsero che il materiale genetico fosse il Dna, cominciarono le ricerche sperimentali e teoriche per conoscerne la struttura tridimensionale.

Un ruolo fondamentale, in queste ricerche, venne ricoperto dalla chimica e biologa Rosalind Franklin che nel 1951 entrò a far parte del team di ricerca del King’s College guidato da Maurice Wilkins che analizzava le strutture del Dna. Le sue ambizioni si scontravano contro un diffuso maschilismo e bigottismo londinese, pertanto si limitò a mantenere un rapporto strettamente professionale con gli altri scienziati. Lei perfezionò la cristallografia a raggi X, già impiegata per stabilire la struttura delle macromolecole, per applicarla nello studio di come fossero disposti gli atomi che formano il Dna in quanto questo dipende dal quadro di diffrazione dei raggi X che l’attraversano, ottenendo la prima foto chiara del Dna.

Tutte le considerazioni della Franklin furono rivelate da Wilkins a Watson e Crick che pur elaborando un modello basato sulle stesse, inizialmente non riuscirono a collocare tutti gli elementi. In seguito fu scattata da lei la famosa foto numero 51 che mostrava chiaramente come la molecola fosse a forma di elica, testimoniando che fu proprio lei a scoprire la morfologia elicoidale del Dna. Dopo che la Franklin lasciò il prestigioso college londinese, Watson contattò Wilkins che gli mostrò le copie fatte di nascosto della foto numero 51 scattate dalla collega. Perciò il genetista Watson e il fisico Crick costruirono dei modelli tridimensionali cercando di combinare anche questa nuova informazione. Nel frattempo il lavoro della Franklin fu pubblicato in diversi articoli e lei continuò a lavorare per estrapolare più dettagli riguardo questa molecola e inavvertitamente diede ai due colleghi il consiglio di posizionare in senso antiparallelo le catene e le coppie di basi azotate per risolvere il loro problema.

Il 25 aprile del 1953 Watson e Crick pubblicarono sulla rivista Nature l’articolo con la loro proposta per la struttura del Dna a doppia elica che riusciva a spiegare la sua fisiologia e le sue proprietà. La Franklin morì nel 1958 a causa di un cancro, mentre nel 1962 Watson, Crick e Wilkins ricevettero il Premio Nobel per la Medicina per la scoperta della struttura del Dna. Nel 1961 ci furono delle assegnazioni postume del premio, quindi il decesso della scienziata non costituiva un motivo valido per venire esclusa dal riconoscimento, anche se il suo apporto fu fondamentale per il raggiungimento della scoperta.

L’esclusione della scienziata venne vissuta come un’ingiustizia da una parte del mondo scientifico e, in tempi successivi, dall’opinione pubblica in seguito alla pubblicazione di Watson nel 1968 del libro La doppia elica, dove narra i retroscena della loro scoperta dipingendo la Franklin come una donna dal pessimo aspetto e carattere che trattava tutti i colleghi maschi come incapaci e custodiva gelosamente il suo lavoro.