Una scoperta oggi, per un domani migliore. Catherine Rougeot e l'antidolorifico naturale

Una scoperta oggi, per un domani migliore. Catherine Rougeot e l’antidolorifico naturale

Gaia Giambenedetti, IV Q, IIS “L. Anneo Seneca”, Roma

Questo saggio partecipa al concorso Hansel e Greta. Il vincitore verrà designato sulla base del numero di voti ricevuti e della valutazione da parte di una giuria di qualità. Le votazioni partiranno il 15 giugno 2020. Per votare cliccare su questo link, selezionare il tema desiderato e cliccare sul pulsante “vota” in fondo alla pagina.

Il bacio della mamma sulla “bua” non aiuta solo psicologicamente il bambino, ma potrebbe anche aumentare le sue difese immunitarie. Infatti nel 2006 un’equipe di medici dell’Istituto Pasteur di Parigi, coordinata da Catherine Rougeot, ha scoperto che la nostra saliva contiene un antidolorifico, detto opiorfina, che alcuni studiosi hanno messo a confronto con la morfina.

Non ci si crederebbe mai, ma servono ben 3 – 6 mg per kg di morfina per calmare il dolore, mentre si può ottenere lo stesso effetto soltanto con 1 mg di opiorfina: la sua efficacia è quindi sei volte più potente della morfina; è in grado di inibire le sensazioni dolorose, che possono essere provocate da diverse cause, come infiammazioni o stimoli esterni.

Più specificatamente questa molecola agisce “spegnendo” il dolore, grazie ad alcuni recettori ai quali si lega e che agiscono come se fossero degli interruttori. L’opiorfina, pertanto, ha come meccanismo quello di inibire la degradazione di un oppioide endogeno, ossia l’encefalina, nel midollo spinale da parte della proteasi. Poiché l’opiorfina viene facilmente degradata nell’intestino, è necessario, per poterla adoperare a livello terapeutico, modificarne la struttura, permettendone il passaggio attraverso la barriera ematoencefalica, barriera al livello del SNC che impedisce alle sostanze presenti nel sangue arterioso di penetrare nel liquido extracellulare e quindi di raggiungere il tessuto nervoso.

La dottoressa Rougeot ritiene che questa molecola possa portare in futuro alla creazione di una terapia che utilizzi dosaggi inferiori e, di conseguenza, minori effetti collaterali. Tale scoperta potrebbe migliorare notevolmente la nostra vita. Infatti moltissimi di noi, ai primi segnali di manifestazione del dolore, assumono antidolorifici, senza la consapevolezza dei tanti effetti collaterali che recano: accrescimento della pressione alta, cronicizzazione del dolore, danneggiamento dello stomaco, danni renali, emorragie gastriche, nausea, miosi, sonnolenza, vomito, vertigini. Gli antidolorifici, inoltre, non possono essere utilizzati da pazienti che presentano disturbi renali o epatici, che assumono anticoagulanti, che soffrono di malattie cardiache o che hanno la varicella. Se utilizzati per un lungo arco di tempo (per esempio, tre o quattro mesi) possono provocare dipendenza, al contrario dell’opiorfina, che è in grado di esercitare un potere antidepressivo.

Da tutto ciò si può comprendere come la scoperta di questa molecola sia per la nostra società un vantaggio enorme: non solo è l’antidolorifico più potente che conosciamo, ma non presenta praticamente effetti collaterali.

La ricerca è partita dopo che Catherine Rougeot e la sua equipe ebbero scoperto nei topi la “sialorfina”, una sostanza del tutto naturale, in grado di “spegnere” il dolore: si chiesero se potesse esistere l’equivalente della sialorfina negli uomini e arrivarono così alla scoperta dell’opiorfina. Certo tale derivato dell’oppio non è allo stadio attuale utilizzabile per lenire il dolore, non essendo gli scienziati ancora riusciti a servirsene per una terapia antidolorifica.

Ritengo però che la scoperta sia importante e debba meritare un premio e apprezzamenti, in quanto apre la via alla maggior tollerabilità degli antidolorifici utilizzati nelle terapie più comuni.

Credits immagine: Copyright (C) Andrey Popov