Apparentemente diversi
di Anita Marchini e Mariarita Giacalone, IV B, Liceo Scientifico, Linguistico e Musicale “Galileo Galilei”, Civitavecchia
Questo saggio partecipa al concorso Hansel e Greta. Il vincitore verrà designato sulla base del numero di voti ricevuti e della valutazione da parte di una giuria di qualità. Le votazioni partiranno il 15 giugno 2020. Per votare cliccare su questo link, selezionare il tema desiderato e cliccare sul pulsante “vota” in fondo alla pagina.
Spesso ci capita di pensare o sentire che noi nativi digitali, la generazione del futuro, ci siamo liberati da stereotipi ormai lontani dalla nostra epoca, ma ancora oggi abbiamo bisogno di persone che lavorino per liberare la mente umana dai pregiudizi, per scovare la chiave in grado di aprire il lucchetto che blocca la nostra ragione. Dai tempi di G. Galilei, accusato di eresia poiché aveva una percezione della vita differente dal pensiero dominante del suo tempo, le cose non sono molto cambiate. Chi si imbatte in una persona disabile il più delle volte inizia a fissarla o deriderla, ma abbiamo mai pensato che si può peggiorare una situazione di per sé pesante? Siamo tutti disabili in quanto diversi: c’è chi è portato per la danza, per il canto, per scrivere e chi no. Ma se la diversità appartiene al nostro quotidiano, perché emarginare chi ne ha una un po’ più evidente? Con profonda semplicità Ezio Bosso disse: “Sono un uomo con una disabilità evidente, in mezzo a tanti uomini con disabilità che non si vedono”. Quando si incontra una persona con un handicap si tende ad evitarla per non creare un legame che dipenderà sempre da noi: ma abbiamo mai provato a pensare che forse noi stessi dipendiamo dai nostri amici? È vera quell’amicizia nata solo per passare qualche ora di svago, anziché per prendersi cura dell’altro? Ogni giorno i disabili devono fare i conti con i loro problemi e ci possono insegnare molto sulla vita; chi è cresciuto con un genitore disabile sa quanto sia una fortuna (si ha la mente più aperta verso ogni diversità), sa cosa significano “sacrificio” (non può fare tutto ciò che fanno le altre famiglie) ed “empatia”, “felicità” (si imparano ad apprezzare le piccole cose della vita). Un cieco percepisce la realtà più profondamente, anche con gli altri organi di senso; può farti credere di essere impermeabile alle critiche, ma non è sempre vero: di fronte a sguardi, parole inappropriate o sghignazzi soffre lo stesso, sa che non sarà mai visto al pari degli altri vivendo in una società che lo emargina come “inetto” incapace di successo. Soltanto nel 1785 i non vedenti hanno conquistato il diritto all’istruzione, quando Valentin Hauy ha fondato l’Institut National des Jeunes Aveugles, la prima scuola per non vedenti. In seguito Louis Braille (ex studente di questa scuola), non volendo dipendere dagli altri, ha creato un sistema di lettura tattile a rilievo per le persone come lui, il braille, una grafia che permette loro anche di scrivere mediante l’utilizzo di un punteruolo, un righello, una lavagnetta e un foglio speciale. Dal 1920 è attiva l’Unione Italiana Ciechi, che si occupa di rispondere alle necessità morali e materiali dei non vedenti. Grazie anche ad altre iniziative di questo tipo oggi essi possono usufruire di molte agevolazioni: accompagnatori, sussidi economici, ausili tecnologici e vantaggi per i trasporti pubblici. Nonostante ciò la conquista dei pieni diritti da parte dei diversamente abili è ancora lontana: oggi molte personalità politiche, che dovrebbero garantire la libertà e l’uguaglianza dei cittadini, esprimono idee razziste e indegne dell’uomo come: “Senza i disabili avremmo più soldi”, che ci riportano indietro di decenni, pericolosamente vicini ad epoche di cui noi giovani abbiamo solo sentito parlare, ma che ci fanno orrore. Queste idee sono l’oggetto del libro “Cecità” di José Saramago (Nobel per la letteratura nel 1998), dove questo stato di salute diventa una metafora della condizione umana: come ci invita a meditare l’autore “Oggi non siamo diventati ciechi, bensì lo siamo. Ciechi che vedono, ciechi che, pur vedendo, non vedono”. Sul fronte della ricerca medica si stanno aprendo spiragli di fiducia per il futuro: nel 1986 Rita Levi Montalcini, vincitrice del Premio Nobel per la medicina, ha individuato un fattore (NGF) rilasciato dal tumore di natura proteica in grado di stimolare la crescita delle fibre nervose; l’Agenzia Europea per i Medicinali ha autorizzato l’immissione in commercio di un farmaco per il trattamento della cheratite neurotrofica, una malattia rara degli occhi che può portare alla perdita della vista, il cui principio attivo è una copia dell’NGF. Una famosa citazione di Walter Fontana recita “Paura e ottusità sono i due carburanti essenziali per alimentare un regime degno di questo nome”: spesso abbiamo paura di chi comanda, del giudizio altrui, di mostrarci per quello che siamo realmente e quell’ottusità che ci spinge a retrocedere socialmente e mentalmente. La battaglia per abbattere definitivamente questi muri può essere vinta imparando a fare della propria diversità un punto di forza: va accettata e usata a proprio vantaggio, poiché rende ognuno di noi speciale ed unico.
Credits immagine: Foto di LittleBoulder da Pixabay
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