Ai buchi neri il Nobel per la fisica 2020
Il premio Nobel per la fisica 2020 è andato a Roger Penrose, Andrea Ghez e Reinhard Genzel per i loro studi sui buchi neri
di Alessandro Frandi, Ilaria Pacifico, Virginia Marchionni
Oggetti oscuri e misteriosi che affascinano sia gli esperti che i non esperti. A loro, i buchi neri, è dedicato il premio Nobel per la fisica di quest’anno. Più precisamente, metà premio è andata alla parte teorica dello studio, rappresentata da Roger Penrose, “per la scoperta che la formazione dei buchi neri è una robusta previsione della teoria della relatività generale” e l’altra metà alla parte sperimentale, rappresentata da Reinhard Genzel e Andrea Ghez, “per la scoperta di un oggetto compatto supermassiccio al centro della nostra galassia”: queste le dichiarazioni dell’Accademia svedese.
Penrose ha messo a punto la teoria della singolarità gravitazionale, secondo la quale i buchi neri possono innanzitutto formarsi – mentre prima si pensava fossero solo una possibile soluzione alle equazioni di campo di Einstein, quindi pura speculazione matematica – e inoltre sono definiti come punti di densità infinta, inaccessibili dall’esterno e confine oltre il quale le leggi naturali conosciute cessano di valere. Genzel e Ghez, invece, hanno intuito che, nonostante non sia possibile osservare un buco nero in maniera diretta, possiamo però rilevarne la presenza studiando gli effetti sul moto delle stelle e degli altri corpi celesti che lo circondano. In particolare, hanno studiato un oggetto supermassiccio al centro della Via Lattea, chiamato Sagittarius A*.
C’erano una volta un matematico, un astrofisico e un’astronoma: biografie da Nobel
Roger Penrose, classe 1931,si laureato all’Università di Cambridge ed è noto per i suoi contributi allo studio della fisica, ma anche della matematica e della cosmologia. È professore emerito all’Istituto di matematica dell’Università di Oxford, e la sua fama è legata a una “invenzione geometrica” che dal 1974 porta proprio il suo nome: tassellatura di Penrose. Per molto tempo ha lavorato e studiato con il collega Stephen Hawking alle teorie sui buchi neri e sulla singolarità gravitazionale, sviluppando con lui l’ipotesi della cosiddetta “censura cosmica”, una congettura matematica sulla struttura delle singolarità nella teoria della relatività generale. Altra teoria di Penrose è quella denominata “cosmologia ciclica conforme”, secondo la quale il nostro universo è solo uno di una serie infinita di altri universi. Un concetto che scardinerebbe quello di “inflazione cosmica” ancora in voga tra i cosmologi, secondo cui l’universo si è espanso a una velocità molto maggiore della velocità della luce nelle prime frazioni di secondo dopo il Big Bang.
Reinhard Genzel è uno dei direttori del Max Planck Institute for Extraterrestrial Physics e professore onorario all’Università Ludwig-Maximilian di Monaco. Dopo il dottorato di ricerca all’Università di Bonn e varie pubblicazioni, la sua carriera è stata premiata con moltissime medaglie e riconoscimenti. Genzel si occupa di astrofisica sperimentale, in particolare dell’evoluzione e dei processi fisici delle galassie attive. Grazie alla spettroscopia a infrarosso, lui e il suo gruppo di ricerca cercano di capire se i nuclei delle galassie attive contengono buchi neri massicci, come già dimostrato per la nostra galassia. L’obiettivo di Genzel è quindi spingere gli studi a scale spaziali sempre più piccole e a distanze sempre maggiori per raggiungere galassie formatesi nei primi miliardi di anni dopo il Big Bang. Ma non solo: uno dei progetti di ricerca in corso prevede di aumentare la capacità di osservazione dello spazio e per farlo Genzel e il suo gruppo stanno costruendo uno spettrometro molto sensibile per studiare le emissioni nel lontano infrarosso di galassie distanti, rendendo così possibili misurazioni prima ostacolate dell’oscuramento provocato dalla polvere interstellare.
Just in! This photo of new Nobel Laureate Reinhard Genzel snapped after he discovered he had been awarded the 2020 #NobelPrize in Physics.
— The Nobel Prize (@NobelPrize) October 6, 2020
Congratulations! pic.twitter.com/L5p6tSzLQc
Andrea Mia Ghez, nata nel 1965, ha studiato prima matematica e poi fisica al Mit (Massachusettes Institute of Tecnology) e conseguito il dottorato di ricerca al California Institute of Technology. All’inizio della sua carriera ha studiato la nascita delle stelle, per poi passare allo studio della loro morte: i buchi neri. In particolare, Ghez e il suo gruppo di ricerca hanno usato due telescopi spaziali ad altissima risoluzione, i Keck, per studiare Sagittarius A*. Grazie alla risoluzione di questi telescopi, i suoi studi hanno migliorato quelli già fatti dal gruppo di ricerca del suo collega e co-vincitore del Nobel Reinhard Genzel. Come spiega Ghez nel suo Tedx del 2009, un buco nero è un oggetto con una gravità così elevata che persino la luce ne è attratta, quindi non si può osservare direttamente. Perciò, per dimostrarne l’esistenza al centro della nostra galassia, ha misurato le orbite delle stelle vicine, correlandole, grazie alla terza legge di Keplero, alla massa di Sagittarius A* e dimostrando che si trattasse proprio un buco nero.
Have you met our new Physics Laureate?
— The Nobel Prize (@NobelPrize) October 10, 2020
Astronomer Andrea Ghez sent us this selfie after being woken up at 2am on 6 October to find out she had been awarded this year’s Nobel Prize in Physics.
Congratulations again to our 2020 laureate! pic.twitter.com/wLrSAotJs8
Alessandra De Rosa: “I buchi neri un campo pieno di prospettive”
Ma cosa ne pensano gli esperti? Abbiamo intervistato Alessandra De Rosa, ricercatrice dell’Istituto Nazionale di Astrofisica Spaziale di Roma (Inaf), che si occupa di osservazioni di buchi neri super massicci attraverso telescopi spaziali nella banda dei raggi X.
Come ha vissuto la vittoria del Premio Nobel per la Fisica 2020?
“Mi ha fatto molto piacere che i buchi neri siano diventati i protagonisti del premio Nobel quest’anno: sottolinea l’interesse della comunità per un campo scientifico a me molto vicino. Mi ha davvero colpito positivamente”.
Se lo aspettava?
“Sì. È chiaro che per il pubblico generale è un argomento molto affascinante, perché il buco nero è un oggetto oscuro e misterioso, insomma: cattura l’attenzione. Dal punto di vista della ricerca, è importante studiare i buchi neri, perché premette sia di capire tante cose degli oggetti celesti (ad esempio, dei nuclei galattici attivi, o dei quasar), sia di avere informazioni importanti sulla fisica fondamentale (ad esempio, sulla relatività generale)”.
Come spiegherebbe cos’è un buco nero a un non esperto?
“Un buco nero, dal punto di vista fisico, è il risultato delle equazioni di Einstein sulla relatività generale. In teoria, è un punto di curvatura infinita: un raggio di luce non può raggiungere un osservatore all’esterno del buco nero, perché il tempo che ci metterebbe ad arrivare è un tempo infinito. Sembra una realtà molto lontana, un’astuzia matematica, ma in realtà non lo è: è una cosa reale. E ce lo dicono appunto i risultati di Andrea Ghez e Reinhard Genzel”.
Ma mentre il premio Nobel di Penrose è “per la ricerca dei buchi neri”, in quello di Ghez e Genzel si parla di “un oggetto supermassiccio”, come mai questa differenza?
“La non-definizione di buco nero, per quanto riguarda gli studi di Ghez e Genzel, sta nel fatto che le misure non hanno permesso di rivelare il raggio all’interno del quale si delimita la regione di spazio dalla quale possiamo ricevere informazioni. La non-misura di questo raggio non permette di definire l’oggetto molto massiccio come un buco nero, ma semplicemente come un oggetto di massa superiore a milioni di volte la massa del Sole”.
Quali sono le prospettive future per la ricerca sui buchi neri?
“Il campo è più che aperto, pieno di prospettive. Le missioni spaziali ci porteranno sicuramente molti risultati. Per esempio, Sagittarius A* sta nel mirino del telescopio che ha fatto la foto del primo buco nero. La prossima foto probabilmente sarà di Sagittarius A* e avremo informazioni diverse e complementari a quelle che abbiamo ottenuto con i risultati di Ghez e Genzel”.
Lei cosa studia esattamente?
“In particolare, io studio i nuclei galattici attivi, cioè i quasar, che sono delle galassie che ospitano al loro interno buchi neri super massicci, proprio come Sagittarius A*, solo che quelli che studio io sono attivi, cioè stanno accrescendo materia dall’ambiente circostante. Mi occupo molto di proiezione nel futuro: uso dati di oggi e studio la possibilità di mandare in orbita missioni che possano migliorare la conoscenza dei nuclei galattici attivi e dei buchi neri in generale”.
C’è ricerca sui buchi neri in Italia?
“Sì, ce ne è molta. Nel mio istituto, per esempio, ci sono i responsabili scientifici di alcuni satelliti che hanno permesso la conoscenza della fisica legata ai buchi neri nel passato ventennio. Integra, Agile, XMM sono tutte missioni o italiane o dell’Agenzia Spaziale Europea, in cui la comunità italiana ha partecipato massicciamente. L’expertise italiana è copiosa, soprattutto sulla parte osservativa, ma anche su quella teorica, eredità probabilmente causata dal fatto che intere generazioni di astronomi hanno partecipato attivamente alla progettazione di missioni spaziali e da Terra. L’Italia, devo dire, ha un bel primato”.
Puoi diventare un’astronoma
Nel 1995, Andrea Ghez ha scritto un libro per bambini (anzi, per bambine) intitolato You can be a woman astronomer. Il libro, scritto a quattro mani con Judith Love Cohen, fa parte di una collana che si propone di valorizzare le donne che hanno intrapreso carriere scientifiche, partendo dal racconto concreto delle loro vite. È pensato per lettrici nell’età della crescita, quella in cui tutte e tutti ci siamo fatti le domande: “Chi sono? Chi voglio diventare?”. “Puoi diventare un’astronoma”, afferma Ghez tramite il libro, di cui purtroppo non esiste una traduzione italiana, ma ecco un breve estratto:
Dopo aver raccontato la sua infanzia, Ghez porta la lettrice con lei nella sua giornata tipo, e le spiega con un linguaggio semplicissimo cos’è l’astronomia e in cosa consiste il metodo scientifico. Insomma, la scienziata premio Nobel per la fisica 2020 con il suo libro dice alle giovani generazioni di donne: “Se vuoi sapere come si formano i pianeti, come è nato il nostro universo, cosa sono davvero le stelle, puoi fare come me, puoi essere un’astronoma.”
Stephen Hawking, un Nobel mancato
Morto nel 2018, il grande scienziato britannico Stephen Hawking non ha mai ricevuto il premio Nobel. Se fosse stato ancora in vita, quest’anno una buona fetta del premio sarebbe, probabilmente, toccata anche a lui, in particolare per il lavoro svolto insieme a Penrose sulla teoria della singolarità. Perciò, lo ricordiamo con una breve biografia.
Stephen Hawking è nato l’8 gennaio 1942 a Oxford. Ha studiato prima alla Byron House School e dal 1952 alla St Albans School. Già a partire da quegli anni, si affacciava in lui una forte curiosità sull’origine dell’universo ed è per questo che si è avvicinato alla fisica e all’astronomia. È stato ricercatore al Gonville e al Caius College di Cambridge. Nei primi anni ‘60 Hawking ha contratto la sclerosi laterale amiotrofica, una malattia neuromuscolare degenerativa incurabile; nonostante gli effetti progressivamente disabilitanti della malattia ha continuato però a lavorare e studiare. Hawking ha indagato principalmente nel campo della relatività generale e in particolare nella fisica dei buchi neri. Nel 1971 lo studioso individuò, dopo il Big Bang, la presenza di numerosi oggetti contenenti fino a un miliardo di tonnellate di massa ma che occupavano solo lo spazio di un protone. Questi oggetti misteriosi, chiamati mini buchi neri, sono unici in quanto la loro immensa massa e gravità richiede che siano governati dalle leggi della relatività, mentre la loro minuscola dimensione prevede che le leggi della meccanica quantistica si applichi anche su di loro. Così nel 1974 Hawking propose che, in accordo con le previsioni della teoria quantistica, i buchi neri possano emettere delle particelle subatomiche fino ad esaurimento della loro energia per poi esplodere.
Il lavoro di Hawking stimolò notevolmente gli sforzi per delineare teoricamente le proprietà dei buchi neri, oggetti di cui prima si pensava non si potesse saper nulla. Il suo studio è stato fondamentale anche perché ha dimostrato la relazione di queste proprietà con le leggi della termodinamica classica e della meccanica quantistica. I suoi lavori scientifici comprendono una collaborazione con Roger Penrose sui teoremi di singolarità gravitazionale nel quadro della relatività generale e la previsione teorica che i buchi neri emettono radiazioni, spesso chiamate “radiazioni di Hawking”. Lo scienziato è stato il primo a presentare una teoria della cosmologia spiegata fondendo la teoria generale della relatività e la meccanica quantistica ed è stato un vigoroso sostenitore dell’interpretazione a molti mondi della meccanica quantistica.
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