Con la riprogrammazione cellulare Shinya Yamanaka vince il Nobel per la medicina
Il prestigioso premio al medico giapponese che ha scoperto come riprogrammare le cellule adulte e ripristinare la potenzialità staminale
Il lungo percorso che ha portato Shinya Yamanaka al Nobel per la medicina nel 2012 probabilmente inizia quando si rende conto di non essere un bravo chirurgo. La consapevolezza di non essere utile ai pazienti lo induce a dirottare la sua carriera altrove.
Nel 1993 consegue un dottorato di ricerca presso l’università di Osaka, e successivamente si trasferisce al Gladstone Institute di San Francisco (dirà che è stata una delle migliori decisioni della sua vita). È lì che si concentra sui topi transgenici e impara a coltivare cellule staminali embrionali (cellule che si trovano nell’embrione e possono generare ogni altro tipo di cellula del corpo, Es) di topo e a creare chimere. Più delle abilità tecniche, Yamanaka impara una lezione che non dimenticherà mai e che oggi ripete spesso ai suoi studenti: gli scienziati devono avere una visione chiara e lavorare sodo per raggiungerla.
Nel 1996, rientrato in Giappone, continua le ricerche iniziate in America su Nat1: scopre che questa proteina è un fattore necessario per lo sviluppo embrionale del topo e la sua assenza impedisce un adeguato differenziamento ma non la proliferazione cellulare. Le cellule Es di topo smettono così di essere uno strumento e diventano l’oggetto delle sue ricerche. La notizia che James Thomson (dell’Università del Wisconsin-Madison) con il suo gruppo di ricerca è riuscito a generare Es umane lo convince del loro enorme potenziale in medicina e lo incoraggia a continuare con i suoi esperimenti.
L’uso delle cellule Es umane però presenta due principali ostacoli: le questioni etiche riguardanti l’uso di embrioni umani e il rigetto immunitario dopo il trapianto. Per superare queste difficoltà Yamanaka decide che la riprogrammazione nucleare sarebbe stato l’obiettivo del suo lavoro e per raggiungerlo si basa anche su scoperte non sue. Nel 1962, mentre lui nasceva, Sir John Gurdon, lo scienziato con il quale condivide la vittoria del Nobel, dimostra che una cellula adulta dell’intestino di rana poteva tornare immatura e indifferenziata ed essere riprogrammata in una cellula uovo, da cui si sviluppa un nuovo organismo. Gurdon dimostra per la prima volta che il Dna del genoma delle cellule mature contiene tutte le informazioni necessarie per lo sviluppo. Da allora i ricercatori hanno a lungo ipotizzato l’esistenza di uno o più fattori, capaci di riprogrammare il nucleo e dare origine a cellule staminali pluripotenti, in grado a loro volta di differenziarsi in tutte le cellule dell’organismo.
Nel 2004 Yamanaka, insieme al suo gruppo di ricerca, seleziona 24 geni candidati iniziali che potrebbero essere in grado di indurre la pluripotenza nelle cellule somatiche e, tra le varie possibili combinazioni, riesce a isolare i 4 fattori di trascrizione essenziali per produrre cellule staminali pluripotenti indotte o cellule iPS. Dichiara di essersi sentito estremamente fortunato, un po’ come aver acquistato il biglietto vincente della lotteria perché il metodo utilizzato per generare cellule iPS risulta molto più semplice di quanto si aspettasse. Nel 2006 pubblica il suo lavoro su Cell e l’anno successivo riesce a generare cellule iPS umane da fibroblasti umani introducendo lo stesso quartetto di geni tramite vettori virali.
Con la capacità di differenziarsi in tutti i tipi cellulari e di crescere in modo robusto come le cellule Es, le cellule iPS hanno un enorme potenziale per applicazioni farmaceutiche e cliniche. Nel 2008 Yamanaka diventa direttore del CiRA (Center for iPS Applications), la prima organizzazione al mondo che si concentra esclusivamente sulla tecnologia delle cellule iPS, per sostenerne la ricerca di base e le potenziali applicazioni cliniche. Si sta quindi concretizzando quanto dichiarato da Yamanaka alla notizia del riconoscimento del Nobel: “Io sento di essere ancora un medico. Il mio obiettivo, l’obiettivo di tutta la mia vita è quello di portare la tecnologia delle cellule staminali nelle corsie degli ospedali”.
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