Risonanza di Glashow: l’eco di un Nobel
I ricercatori di IceCube hanno osservato la cosiddetta risonanza di Glashow, un fenomeno quantistico predetto più di sessant’anni fa e (finora) mai visto.
Cos’è e come si ottiene l’eco di un Nobel?
Prendiamo un antineutrino la cui energia è così elevata, 6,3 Petaelettronvolt per la precisione, che per ottenerlo avremmo bisogno di un acceleratore di particelle mille volte più potente di quello del Cern; aggiungiamo un fenomeno, la risonanza di Glashow, teorizzato circa sessant’anni addietro ma mai dimostrato, che vede implicato questo particolare antineutrino e un elettrone nella formazione di un bosone w⁻, con un pizzico di Nobel per l’autore della teoria, Sheldon Lee Glashow; incorporiamo il tutto con Ice Cube, il più grande telescopio per neutrini nascosto sotto i ghiacci del Polo Sud e attendiamo sino al 2016. Ecco l’eco da Nobel!
Gli ingredienti fondamentali, come abbiamo visto, sono due: un antineutrino estremamente potente e un bosone w⁻, ma cosa sono di preciso? Rispettivamente, un antineutrino è una particella subatomica che ha la stessa massa del neutrino ma numeri quantici differenti, in altre parole ne rappresenta la controparte; mentre il termine bosone è utilizzato per raggruppare l’insieme delle particelle elementari che mediano le leggi fondamentali e nello specifico un bosone w⁻ è caratterizzato dall’avere uno spin uguale a -1.
Formule alchemiche a parte, quello che, nelle gelide notti antartiche del dicembre 2016, gli occhi di IceCube hanno osservato è un antineutrino prodotto da evento astrofisico, avvenuto in chissà quale remota regione dell’universo e forse nella vicina periferia di un buco nero supermassiccio, la cui energia pare essere intorno ai 6,3 PeV. Analisi più approfondite dei dati raccolti da IceCube hanno evidenziato la successiva formazione di bosoni di tipow⁻, cosa che andrebbe a confermare, per la prima volta nella storia, il fenomeno della risonanza di Glashow. Come già detto in precedenza, infatti, verifiche di tipo sperimentali atte a dimostrare l’esattezza del fenomeno predetto dal premio Nobel Sheldon Lee Glashow nel 1957 sono attualmente irrealizzabili a causa dell’elevata energia implicata, che richiederebbe un acceleratore di particelle ben più potente di quelli che la tecnologia attuale ci consentirebbe di costruire.
Se da un lato è quasi certa la natura astrofisica del fenomeno, ovvero che esso ha avuto origine al di là dell’atmosfera terrestre, di contro non sappiamo se quanto osservato sia a tutti gli effetti la risonanza di Glashow. Per stabilire la significatività statistica di una particolare osservazione, infatti, gli scienziati si servono generalmente di una grandezza, indicata con sigma: se il valore di sigma è uguale o superiore a 5, si può affermare che l’ipotesi è “quasi certa”. Nell’esperimento in questione gli autori hanno calcolato un valore di sigma pari a 2,3, ossia “molto probabile”: per confermarlo (o smentirlo) bisognerà aspettare l’arrivo di nuovi dati.
L’auspicio, ora, è quello di riuscire a osservare altri eventi analoghi, cosicché si possa ridurre il grado di incertezza dei risultati, confermando il fenomeno della risonanza di Glashow e aprendo la strada a un nuovo modo di osservare l’universo.
Quanto forte sarà l’eco di un Nobel? Staremo a vedere…
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