Realizzato simil-embrione umano in vitro in soli 6 giorni
Un nuovo studio, pubblicato su Cell Stem Cell, mostra come sia possibile sviluppare in vitro un simil-embrione, una struttura molto simile a quella di un embrione umano pochi giorni dopo la fecondazione
Non esisteva, finora, una tecnica in grado di realizzare in maniera semplice e efficiente un “simil-embrione”, una struttura del tutto simile a quella di un embrione umano a pochi giorni dalla fecondazione. È ciò che si propongono di fare i ricercatori dello studio condotto in Gran Bretagna, mediante una nuova tecnica che consente di ottenere un risultato simile in soli sei giorni. La ricerca, pubblicata su Cell Stem Cell e condotta dall’università di Exeter in collaborazione con quella di Cambridge, promette di avere un grande impatto nello sviluppo degli embrioni umani e nel mostrare le cause che determinano il mancato attecchimento nell’utero o il fallimento delle pratiche di fecondazione assistita.
Non più di un mese fa un simile risultato era stato raggiunto mediante due ricerche condotte in Australia e negli Stati Uniti, attraverso delle tecniche che però non garantivano il medesimo livello di sicurezza e presentavano tempi più lunghi. Il primo passo dello studio, infatti, è stato organizzare le staminali in aggregati, e solo successivamente introdurre due molecole note per influenzare il comportamento di cellule immature. Nei piattini di coltura, dopo soli tre giorni, le cellule hanno cominciato ad organizzarsi fino a divenire molto simili a una blastocisti, struttura sferica di circa 200 cellule che si forma a 5- 6 giorni dalla fecondazione. Si è osservato inoltre come nella struttura realizzata erano attivi gli stessi geni presenti negli embrioni naturali.
Gli autori della ricerca sottolineano come i risultati ottenuti costituiscono un nuovo e importante strumento di ricerca, e non un passo avanti verso la produzione di bambini in laboratorio. “La nuova tecnica fornisce un sistema affidabile per studiare lo sviluppo precoce negli esseri umani senza utilizzare embrioni”, afferma Ge Guo, responsabile della ricerca. A beneficiare maggiormente dei risultati ottenuti saranno le ricerche sulla fertilità, sulle complicanze degli aborti e sul perfezionamento delle pratiche di fecondazione assistita.
Il passo successivo da compiere sarà, infatti, portare lo sviluppo della struttura del “simil-embrione” qualche giorno più avanti, per poter comprendere cosa accade durante l’impiantazione nell’utero, una fase cruciale che molti embrioni ad oggi non riescono a superare.
Proprio nell’ambito delle tecniche di procreazione assistita un ruolo determinante lo ha svolto Robert Geoffrey Edwards, vincitore del premio Nobel della medicina nel 2010. Biologo di formazione, iniziò a interessarsi ai temi della fecondazione durante il periodo di dottorato, conseguito nel 1955 all’università di Edimburgo. In particolare Edwards, con la collaborazione del ginecologo Patrick Steptoe, è uno dei pionieri della tecnica di procreazione assistita conosciuta come Fivet (fecondazione in vitro con trasferimento dell’embrione). Nonostante alcune resistenze di carattere etico, il 25 luglio 1978 viene al mondo il primo essere umano grazie a questa tecnica, Louise Brown. Utilizzata per trattare la sterilità, questa tecnica ha aiutato a far nascere ben 8 milioni di bambini nel 2018. Il Nobel è stato assegnato a Edwards nel 2010, come riconoscimento alle sue ricerche che “hanno reso possibile il trattamento della sterilità che colpisce un’ampia porzione dell’umanità e più del 10% delle coppie nel mondo”.
Immagine in evidenza: {flickr}
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