Network medicine: un nuovo approccio alla malattia e alla cura

Network medicine: un nuovo approccio alla malattia e alla cura

La biologia dei sistemi e la scienza delle reti per una nuova disciplina destinata a cambiare il volto della malattia

La network medicine sta cambiando radicalmente il modo in cui definiamo e curiamo le malattie umane. Si tratta di un approccio globale secondo il quale la malattia non viene più considerata la  conseguenza del difetto di un singolo gene, quanto piuttosto la perturbazione della rete intracellulare e intercellulare che collega tessuti e organi. La network medicine, quindi, cerca di comprendere in maniera più profonda il modo in cui la malattia si manifesta, con uno sguardo che si concentra sulle relazioni e non più sulla singola mutazione genica. Attualmente, infatti, solo il 10% dei geni umani presenta un’associazione gene-malattia nota.

Il termine network medicine è stato coniato nel 2007 dal fisico ungherese Albert-Laszlo Barabási che, in un editoriale pubblicato sul New England Journal of Medicine, scriveva che “non è sufficiente conoscere la lista precisa dei geni della malattia. Dobbiamo invece cercare di capire le interconnessioni tra i vari componenti cellulari che sono influenzati da questi geni e dai prodotti di questi geni”. La network medicine, che unisce i principi della biologia dei sistemi e la scienza delle reti permette di trasformare in algoritmi i dati genetici, proteomici e metabolici dei pazienti. Questi algoritmi potranno in futuro dare informazioni su prevenzione, prognosi, farmaci e terapie per malattie complesse quali cancro e diabete.  

Ad aprile 2021 si è tenuto ad Harvard, in modalità telematica, il secondo convegno sulla network medicine e big data. Sapienza si è resa protagonista grazie ai risultati presentati da Paola Paci del dipartimento di ingegneria informatica, automatica e gestionale. Nel  lavoro, pubblicato a gennaio sulla rivista Nature System Biology and Applications, vengono individuati i cosiddetti geni “switch”, che svolgono il compito di collegare processi biochimici diversi nella rete dei meccanismi cellulari. “Nel Dna c’è un gene switch chiamato fos1 che ne disattiva altri quattro”, spiega Paci. “Questa disattivazione fa sì che le cellule tumorali di glioblastoma (tra i tumori più difficili da curare) rispondano alla chemioterapia. Ma per capirlo è servito studiare la rete dei geni”. Gli studi successivi hanno confermato il ruolo di fos1 e ora si cerca un farmaco in grado di agire su di esso. La network medicine consentirà di accorciare notevolmente i tempi necessari per sviluppare nuovi farmaci, ma avrà un ruolo determinante anche per il reindirizzamento di farmaci già esistenti e utilizzati per altre malattie.

In questo settore l’Italia occupa una posizione di avanguardia, soprattutto grazie alla ricerca svolta in Sapienza università di Roma, dove è stato costituito il centro interdipartimentale sulla medicina innovativa (Sapienza Information-based Technology IinnovaTion Center for Health, STITCH); tra le sue principali attività di ricerca ci sono progetti incentrati sulla big data analysis, la network analysis e la network medicine. Nel settembre 2018 STITCH ha promosso e ospitato il primo convegno internazionale sulla network medicine e big data che ha permesso di instaurare una collaborazione tra la Sapienza e la Harvard Medical School, in particolare con Joseph Loscalzo, considerato uno dei massimi esperti in questo campo.

Immagine in evidenza: Pixabay.com