Ombretta Turriziani: insegnare virologia ai tempi del Covid
Intervista a Ombretta Turriziani, professore ordinario di virologia in Sapienza e membro del Dipartimento di Medicina Molecolare dell’ateneo romano. Le abbiamo chiesto di raccontarci come la pandemia da Covid-19 ha inciso sul suo lavoro di ricercatrice e sull’attività didattica
Professoressa Turriziani, oggi la figura del virologo fa parte della nostra quotidianità. Ci racconta brevemente il suo percorso formativo e professionale e cosa l’ha spinta a scegliere questa disciplina?
“Ho scelto questa disciplina nel lontano 1987, anno in cui ho iniziato il tirocinio di tesi all’Istituto di Virologia della Facoltà di Medicina e Chirurgia, allora diretto dal compianto professor Ferdinando Dianzani. In quegli anni c’era un altro virus che dominava e uccideva molte persone. Mi riferisco ovviamente al virus dell’immunodeficienza acquisita (Hiv). Il mondo dei microrganismi mi aveva sempre affascinato e quindi non esitai a cercare un laboratorio che mi permettesse di entrare in questo mondo per studiare un patogeno così importante”.
Ci può spiegare brevemente la differenza tra virologia, infettivologia ed epidemiologia?
“Queste tre discipline sono strettamente collegate tra loro. L’infettivologia e l’epidemiologia hanno uno ‘spettro’ più ampio. La virologia è una branca della microbiologia, una disciplina che si occupa dello studio dei virus. Ha quindi lo scopo di studiare i microrganismi da ogni punto di vista: strutturale, molecolare e patogenetico. L’infettivologia invece si occupa delle malattie infettive ovvero di tutte le malattie trasmesse da agenti infettivi (batteri, virus, miceti, parassiti etc.).
L’epidemiologia studia la diffusione e la frequenza con cui si manifestano le malattie e le condizioni che possono alimentarne o ostacolarne sviluppo e diffusione. È importante ricordare che l’epidemiologia studia la diffusione di malattie di diversa origine, non solo quelle di natura infettiva. L’unione delle conoscenze derivanti da queste tre discipline è fondamentale per programmare strategie di controllo della diffusione di malattie a eziologia virale”.
Immaginiamo che molti giovani studenti si stiano orientando verso lo studio della virologia. Quanto e come è cambiata la sua attività didattica dopo l’avvento del Covid-19?
“Sicuramente la pandemia ha fatto crescere l’interesse e la curiosità degli studenti nei confronti dei virus. Alcuni temi a me molto cari, come l’origine dei virus, attirano oggi molta più attenzione rispetto all’era pre-Covid”.
Il Dipartimento di Medicina Molecolare di cui fa parte ha un organico molto ampio. Più di 70 docenti e più di 40 tecnici amministrativi, ai quali si affiancano borsisti, dottorandi e specializzandi. Quanto è importante nell’attività di ricerca il lavoro in team?
“Il team è cruciale, la ricerca è un lavoro di squadra. Dietro a ogni progetto di ricerca ci sono diverse figure professionali che collaborano alla sua realizzazione”.
In un recente studio pubblicato su Clinical Microbiology and Infection e coordinato dal professore Guido Antonelli, si analizza il ruolo dei media durante la pandemia. Come nasce l’esigenza di analizzare quanto accaduto in questo anno e mezzo in termini di comunicazione della scienza?
“Premetto che condivido appieno quanto riportato nell’articolo. Purtroppo, il prolungarsi della pandemia ha portato alla diffusione di troppe notizie da parte di troppi. Si è giustamente tornati a parlare di infodemia che ha generato molta confusione. L’evidenza di questo crescente caos è alla base dello studio”.
Nelle conclusioni si esortano le istituzioni, i giornalisti e gli scienziati a impegnarsi, ciascuno in base al proprio ruolo, per una comunicazione scevra da sensazionalismi e protagonismi. Crede sia davvero possibile?
“Onestamente, lo spero ma non sono molto fiduciosa. Il sensazionalismo è l’anima del giornalismo e a troppi piace essere protagonisti”.
Quanto è importante per lei la comunicazione della scienza e cosa si può fare per avere cittadini maggiormente informati?
“La comunicazione della scienza è molto importante in situazioni come quella che stiamo vivendo. È giusto che il cittadino venga informato. Ma bisogna farlo in modo corretto. Per evitare confusione nella diffusione delle informazioni, basterebbe probabilmente lasciare la parola a pochi esperti”.
Nel dicembre 2020, n occasione del IV Congresso nazionale della Società italiana di virologia (Siv-Isv), è stato sottolineato che altri coronavirus potranno in futuro rappresentare una minaccia pandemica. Cosa ci ha insegnato questo anno e mezzo di pandemia? C’è un know how che i cittadini, la comunità scientifica e le istituzioni potranno utilizzare per difenderci in futuro?
“Questa pandemia ci ha sicuramente insegnato molto. Abbiamo capito quanto sia importante per una adeguata sorveglianza creare network nazionali ed internazionali e investire su sanità e ricerca. Non è stato facile affrontare improvvisamente l’emergenza. I carichi di lavoro sono a dir poco eccezionali. Se siamo riusciti a reggere è grazie all’enorme aiuto che i nostri giovani ci hanno dato. Difenderci da nuovi coronavirus non sarà facile. Forse oggi possiamo identificarli velocemente e sequenziarli. Ma l’obiettivo principale è riuscire a comprendere le cause dell’insorgenza di nuovi virus”.
La pandemia ha evidenziato quanto sia sempre più importante integrare il digitale in campo medico. Come Membro dell’Antiretroviral Resistance Cohort Analysis (ARCA) Study Group può dirci quanto è importante un approccio data-driven per la virologia?“Molto, non solo in ambito virologico. Come membro dello Study Group Arca posso dire che grazie a questo database è stato possibile, per esempio, avere una visione “nazionale” di aspetti estremamente importanti nell’ambito dell’infezione da Hiv”.
Immagine in evidenza: pixabay.com
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