La bellezza
nella transmedialità secondo Massimo Fusillo
intervista a Massimo Fusillo
di Diego Parini e Mattia La Torre
Dalla transmedialità passando per l’arte greca, dalla fluidità agli eroi dell’amore. Pasolini e la sua opera, un viaggio attraverso le parole, e i libri, di Massimo Fusillo, per comprendere la società di oggi.
Partendo dal suo libro “L’immaginario polimorfico tra letteratura, teatro e cinema”, che cos’è la transmedialità e come si rapporta al giorno d’oggi?
Quando si è cominciato a progettare dei prodotti per piattaforme mediali diverse – i casi principali sono “Matrix” e “Gomorra” – li si è pensati per essere contemporaneamente graphic novel, serie tv, romanzi, pubblicità e via dicendo. Ora si usa la transmedialità anche come una storia che si semina, che viene raccontata attraverso i diversi media Questo è un meccanismo che esiste già dai tempi del mito antico. È un modo per vedere come i racconti e le storie abbiano un potenziale straordinario di riscrittura e di adattamento a diversi generi, pubblici e soggettività. Questo è l’aspetto più emancipatorio della trasmedialità.
Abbiamo una sorta di fluidità tra i mezzi di comunicazione. Pasolini era in un certo senso anche lui uno sfruttatore della transmedialità?
Pasolini era un autore molto eclettico che ha cambiato, e praticato, diversi generi e diversi media artistici. Possiamo dire che è stato principalmente poeta, poi romanziere, drammaturgo, sceneggiatore, regista cinematografico, attore, pittore, semiologo, critico letterario, veramente un autore poliedrico. Questo è indubbiamente un tratto transmediale. Lui non amava molto la tecnologia, la tecnologia neocapitalista – era violentemente critico nei confronti del neocapitalismo –. Tuttavia, ha scritto un lavoro intitolato “La tecnica e il mito”, in cui dice che in fondo per lui la tecnologia non era un elemento negativo ma poteva essere usata per raccontare, bene, quanto di più arcaico ci sia, il mito. Così ha fatto, facendo film che raccontavano la tragedia greca, tramite una tecnologia raffinata. Credo che Pasolini sia un esempio di uso della transmedialità, di uso dei media e di uso dell’ecclettismo, un concetto che spesso viene usato in senso negativo, ma io credo che invece debba essere usato in senso positivo.
Lei fa rifermento all’antichità, anche nel suo libro “La Grecia secondo Pasolini. Mito e cinema”, come mai Pasolini era affascinato così tanto dalla Grecia?
Pasolini aveva fatto studi di liceo classico ed era stato precocemente attratto dalla scrittura. Ha incominciato mentre studiava al liceo e poi all’università – ovviamente lettere – a tradurre la tragedia greca e a inventarsi delle nuove tragedie. Esiste un frammento che non terminò: “Edipo all’alba”, una stranissima reinvenzione della tragedia a cui poi dedicherà un film. Sin dall’inizio era in qualche modo ossessionato dal mito greco e dalla tragedia greca. Successivamente, questa è diventata una metafora della civiltà contadina, il suo oggetto d’amore. La vedeva come la civiltà millenaria che veniva distrutta dalla modernizzazione selvaggia degli anni Sessanta in Italia. Per lui c’era una sorta di omologia tra il mito greco, i contadini friulani, il terzo mondo africano e orientale. Tutto quello che sfuggiva al modello dominante poteva in qualche maniera essere paragonato. In altre parole, la Grecia può diventare la metafora dei contadini friulani e viceversa. Di fatto ha dedicato alla Grecia tante opere, e, soprattutto, due grandi film che sono “Edipo re” e “Medea”.
Per Pasolini c’era una sorta di omologia tra il mito greco, i contadini friulani, il terzo mondo africano e orientale. Tutto quello che sfuggiva al modello dominante poteva in qualche maniera essere paragonato
Pasolini affrontava la comunicazione utilizzando un mezzo moderno come il cinema, è un dualismo con l’idea del mito greco e dell’antico?
Pasolini non era un primitivista, come molti pensano. Per restare nel mito greco, c’è un finale importante per lui, e per la storia del teatro, che è il finale di “Orestea”, in cui le dee, le Furie, le Erinni, le dee più arcaiche, legate proprio agli strati più arcaici della civiltà e ai delitti di sangue, si trasformano in Eumenidi, divinità benevole. Pasolini affermava che questo era come il suo programma politico, cioè: gli elementi arcaici non devono essere cancellati, ma devono essere sublimati, trasfigurati nella modernità. Lui voleva una sorta di sintesi tra antico e moderno. Un cinema che raccontasse il mito greco una forma di sintesi, tra antico e moderno, che era quello che proprio lui voleva realizzare. Sembra contraddittorio, ma non c’è contraddizione.
Anche nella società moderna stiamo assistendo ad un approccio della comunicazione per definire le cose, meno bianco e nero, ma più fluido. Anche Pasolini, nel suo essere un personaggio un po’ fuori dal coro, in questo caso mi riferisco alla sua omosessualità, oggi si sarebbe trovato meglio e avrebbe affrontato la società in maniera diversa?
È difficile da dire perché sono passati tanti anni, e Pasolini era fortemente critico nei confronti del boom economico e della modernizzazione selvaggia. Era molto critico anche sulla speculazione edilizia perché aveva una sensibilità ecologica. Forse, in una certa fluidità di categorie che domina la cultura contemporanea, si sarebbe potuto trovare in sintonia. Se pensiamo per esempio al suo teatro, “Il Pilade”, un dramma ambientato nell’Italia del dopoguerra, in cui lui contesta sia la nostalgia del passato, i passatisti, sia i modernisti, alla fine Pilade non sta né con uno né con l’altro e cerca di trovare una fluidità e una problematicità. L’identità sessuale, tutto il movimento queer e alcune attitudini della cultura contemporanea, sono cose da cui lui è molto lontano. Forse si può trovare una qualche sintonia con le posizioni aperte, dinamiche e problematiche della sua opera, come la fluidità alla decostruzione delle opposizioni nette e dell’idea che tutto deve andare secondo una linea, mentre invece molto spesso va secondo un cerchio.
Nel suo libro “Eroi dell’amore, storie di coppie, seduzioni e follie”, parla di questi eroi dell’amore. Oggi, quali sono gli eroi dell’amore?
Io mi sono occupato, soprattutto nel primo capitolo di coppie che sfidano il mondo. La repressione tradizionale dell’eros e dell’amore è stata superata e sembrerebbe non esserci più. Tuttavia, anche se hanno avuto molti riconoscimenti, ancora oggi molte coppie omosessuali devono sfidare il mondo. Coppie di amanti interetniche, di culture e religioni diverse, ci sono ancora casi in cui l’eros assume una dimensione eroica che sfida il mondo. Poi ci sono le forme del cosiddetto eros normativo, quello che va al di fuori della coppia. Se penso a forme sperimentali nuove come il poliamore, le coppie aperte che sfidano la morale dominante e possono avere, anche in questo caso, una connotazione eroica.
Era molto critico sulla speculazione edilizia perché aveva una sensibilità ecologica
C’è sempre poi il caso dell’amore non corrisposto. Lì vedevo soprattutto figure femminili, perché nella nostra cultura la forma di passionalità eroica che arriva anche al suicidio, è ancora attribuito alla figura femminile anche se, ovviamente, esistono casi maschili. Questo è un altro caso di eroismo dell’amore, cioè la monomania, la follia che può arrivare, anche in casi estremi, all’autodistruzione.
È comunque uno specchio di questa società, se ieri era un amore imposto dallo status sociale, oggi invece è più legato al pensiero della società ma non a una regola scritta
Si, esatto come Romeo e Giulietta, l’esempio più famoso. Le regole scritte sono indubbiamente importanti per capire una società, ma una società è anche fatta di regole implicite, di protocolli. Anche in una società apparentemente molto libertaria come la nostra, se la confrontiamo con società di secoli passati, contiene tante regole implicite che possono risultare per chi le vive molto oppressive. Anche se non sono leggi, ma sono protocolli ai quali ci dobbiamo in qualche maniera uniformare, cerchiamo comunque di sovvertirli. Non bisogna pensare che siamo arrivati alla libertà. Una tensione tra repressione e represso, regole e soggettività c’è sempre, e ce n’è ancora tanta anche nella nostra società.
Massimo Fusillo, Critico letterario presso il Dipartimento di Scienze Umane dell’Università degli studi dell’Aquila
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