Dialogate
Il primo appuntamento del ciclo di conferenze “Religioni, dialogo e sostenibilità” organizzato dal corso di Storia delle religioni di Alessandro Saggioro in collaborazione con Fondazione Roma Sapienza. Al primo incontro dal titolo “Senza lasciare traccia: indicazioni del Buddhismo per uno sviluppo sostenibile” è intervenuto Guglielmo Doryu Cappelli monaco del Buddhismo Zen Soto.
intervista Guglielmo Doryu Cappelli e Alessandro Saggioro
di Mattia La Torre e Sofia Gaudioso
Questo ciclo di incontri rientra nel corso di Storia delle religioni, organizzato anche in collaborazione con altri colleghi, nell’ambito di una progettualità ampia del Dipartimento di Storia Antropologia Religioni Arte e Spettacolo. L’obiettivo generale di questa iniziativa consiste nel trattare la questione della sostenibilità attraverso le religioni. Da questi incontri vogliamo far emergere il punto di vista delle religioni in tema di sostenibilità. Ci interessa capire in che modo un tema di tale rilievo sia vissuto dalle comunità religiose, come presa di responsabilità e come visione della vita. Questo concetto” ci spiega Alessandro Saggioro “lo si vede emergere in vari contesti, a volte anche in maniera eclatante. Nelle parole del Papa e del grande Imam di al-Azhar che si sono riuniti recentemente in Bahrein e hanno riaffermato questa esigenza di dialogo. Si ascolta nei pronunciamenti delle comunità ebraiche, è presente nelle comunità di origine orientale, e oggi fortemente radicate nel territorio italiano ed europeo. L’intento, con questi incontri, è di creare per gli studenti un laboratorio di riflessione scientifica ma al tempo stesso di testimonianza di ciò che avviene e ciò che succede nel mondo”.
Far entrare nell’università una visione della vita filosofica e religiosa. “Questo ciclo di conferenze – conclude Saggioro – ha proprio l’obiettivo di dare un documento concreto tramite le parole di autorevoli rappresentanti delle comunità religiose del movimento, mutamento e della trasformazione auspicabilmente verso un mondo migliore”.
Il Buddhismo nella sua dottrina ha diversi elementi che lo connettono al tema della sostenibilità. Tra questi c’è il senso di appagamento inteso come essere contenti di ciò che si ha. Per un Buddhista realizzare l’appagamento non significa soddisfare i propri desideri ma significa trovare la pace interiore ed estinguere la sofferenza. Questo senso di sofferenza di cui soffre l’uomo e il nostro pianeta è dovuto alla sete compulsiva dell’ego di circondarsi di cose che si desiderano. “L’Ego – spiega Cappelli – non ha un’esistenza fisica ma è un costrutto mentale che vuole esistere e per questo si nutre di cose che danno il senso della sua esistenza. Il nostro pianeta – continua – soffre a causa della nostra sete di cose e in questo senso il buddhismo ha a che fare con la sostenibilità”.
Sempre connesso al tema della sostenibilità è il concetto Buddhista di interdipendenza e cioè che nulla si origina da solo ma tutto è frutto di causa e condizione. La condizione di sofferenza è universale e unisce tutte le cose, l’uomo non si trova all’apice di una piramide ma si trova nella stessa ecosfera di tutte le altre cose. “Nel Buddhismo – spiega Cappelli – più che parlare di ecologia si parla di ecofilia ovvero della fraternità e dell’amicizia profonda con tutto ciò che c’è intorno”. L’uomo si trova quindi in una condizione di uguaglianza e di condivisione della sofferenza con tutto ciò che lo circonda e non in una condizione di dominatore. “L’inquinamento – dice il maestro – si ha nel nostro spirito quando aderiamo all’atteggiamento individualista che ci separa dagli altri esseri.”
“Il battito di ali di un uccello o il pesce che muove le pinne in acqua non lascia tracce così come la nostra vita non dovrebbe lasciare tracce. Comprendere questo vuol dire rinascere a una nuova vita che capisce ogni esistenza e si prende cura di ciò che lo circonda. Quello che siamo è eredità del passato e lascito del futuro” conclude Guglielmo Doryu Cappelli.
Il Buddhismo, quindi, potrebbe essere un buon modello di sostenibilità?
Guglielmo Doryu Cappelli: ne sono convinto assolutamente perché al suo centro è molto radicato il concetto di interdipendenza. Questo termine oggi è diventato molto popolare ma nel Buddhismo lo usiamo da 2mila anni. L’interdipendenza è alla base della nostra dottrina e rappresenta un modello indispensabile per quello che può essere lo sviluppo futuro dell’umanità.
Il concetto One Health vede la natura, l’uomo e la salute tutti interconnessi, la vede anche lei questa connessione?
Guglielmo Doryu Cappelli: sì, assolutamente. Però dobbiamo comprendere cosa intendiamo quando parliamo di benessere e di spiritualità. Fermarsi all’idea di “dover stare bene” senza capirne le motivazioni porta a una lettura consumistica o capitalistica, per questo bisogna essere molto cauti quando si parla di benessere.
Esiste un concetto di Natale per un Buddhista?
Guglielmo Doryu Cappelli: il Natale è il festeggiamento della celebrazione della nascita di Cristo. Noi buddhisti festeggiamo l’8 aprile che è la nascita di Siddharta, il Buddha di quest’epoca, con tante feste e celebrazioni. In Giappone, per esempio, l’8 aprile viene celebrato con la festa dei fiori, una ricorrenza molto amata soprattutto dai bambini dove gli altari sono decorati con tanti fiori. L’8 aprile è anche l’inizio della primavera e quindi in questo giorno c’è anche questa simbologia di nascita e rinascita.
Alessandro Saggioro storico delle religioni, professore del Dipartimento di Storia Antropologia Religioni Arte Spettacolo della Sapienza Università di Roma
Guglielmo Doryu Cappelli monaco del Buddhismo Zen Soto, Maestro residente del Centro Zen Anshin di Roma e membro dell’Unione Buddhista Italiana
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