Cambiare costruire
L’attuale sistema di didattica universitaria sta influenzando il modo di fare ricerca in Italia. Abbiamo chiesto a due ricercatori, uno italiano e uno straniero, come dovrebbero essere fatte la scienza e la didattica.
Con Irene Bozzoni e Chris De Zeeuw
di Mattia La Torre e Sofia Gaudioso
Secondo lei come dovrebbe essere insegnata la scienza in università?
De Zeeuw: Dovrebbe essere davvero un misto di insegnamento classico in termini di lezioni e lettura di libri. Di insegnamento pratico e attivo perché nella scienza ciò che è veramente importante è imparare ad essere creativo. Lo studente deve leggere e in base a ciò che legge deve trovare un’idea e poi metterla in pratica. Nella scienza bisogna far lavorare l’immaginazione perché per definizione uno scienziato lavora sempre su cose nuove.
Bozzoni: Il concetto di come si approccia la scienza è cambiato negli ultimi decenni, anche se esiste un filo conduttore. I grandi avanzamenti della scienza vengono quando persone che provengono da ambienti culturali scientifici diversi cominciano a parlare fra di loro. Quella che chiamiamo interdisciplinarità. Già dalla scoperta della struttura della doppia elica del Dna, il grande balzo nella scoperta è nato dal fatto che un biologo e un fisico si sono messi a ragionare insieme. Il nostro capo storico che ha fondato la biologia molecolare romana, Giorgio Tecce, era un chimico e da chimico ha saputo fare delle domande alla biologia e che forse i biologi non erano ancora pronti a fare. Nel corso di laurea magistrale di genetica e biologia molecolare abbiamo creato un percorso di studi flessibile che gli studenti possono modificare a seconda dei propri interessi. Nel mondo di oggi c’è l’esigenza di avere delle persone preparate a 360 gradi che sappiano di più cose.
Pensa che ci siano differenze nell’approccio alla didattica tra un umanista e uno scienziato?
De Zeeuw: Nelle discipline umanisti è richiesto di partecipare attivamente a molte discussioni, agli studenti viene chiesto un parere su qualcosa di specifico. L’umanista, quindi, legge molto e sulla base di quello che ha letto e studiato si fa una propria opinione che poi modella discutendo con altre persone. Penso che questo meccanismo sia molto utile. Invece nelle materie scientifiche è previsto che impari molte cose a memoria. Credo però che abbiano la capacità della nostra memoria perché spesso dimentichiamo per questo serve invece molta più pratica.
Bozzoni: Si ne ho viste tante, soprattutto nella Scuola Superiore di Studi Avanzati (SSAS) dove cerca la contaminazione, dei docenti e degli studenti. Sono proprio la logica e gli strumenti con cui si affronta un problema ad essere diversi. Lo scienziato ha bisogno di seguire una struttura logica molto definita con delle premesse, dei metodi e delle conclusioni. I ragazzi delle scienze umanistiche applicano mappe più concettuali che sperimentali. Dire quanto questo deriva dal cervello di ognuno, da come ognuno ragiona, a come questo sia stato condizionato dagli studi, in particolare da quelli universitari, è difficile.
Secondo lei (Professoressa Bozzoni) la contaminazione può portare ad una nuova classe di ricercatori che prenderà il meglio dalle due aree?
Bozzoni: Si spera proprio, è un’esperienza che in alcuni paesi sta cominciando. Secondo me, globalmente, l’università ancora non è pronta a rispondere a questo, è stata pronta la Scuola Superiore di Studi Avanzati perché è svincolata dai tanti vincoli che sono stati imposti dal ministero su come devono essere i percorsi didattici e ha avuto dei risultati fantastici. Io un’altra piccola battaglia che ho fatto nella laurea magistrale (ndr Genetica e Biologia Molecolare della Sapienza), oltre ad aprire un canale in inglese, è stato quello di ammettere ai nostri corsi anche laureati in matematica, chimica e fisica. Questo è stato primo tentativo di cross contaminazione ma vedo che c’è ancora tanta difficoltà a riuscire ad aprirsi ancora di più. L’interdisciplinarietà è importante ma deve essere ragionata in base alle competenze che servono. Per esempio, nella biologia moderna ci deve essere una contaminazione fortissima della biologia computazionale, dell’informatica e della statistica e ancora non ce n’è tantissima. Questo soprattutto perché i linguaggi che parlano ad esempio tanti informatici o statistici è ancora lontano dalla biologia.
Come possono coesistere ricerca e insegnamento?
De Zeeuw: prima di tutto non dovrebbero contrastarsi a vicenda, dovrebbero aiutarsi a vicenda. Penso che in questo momento in Italia l’insegnamento stia contrastando la scienza. Uno studente deve assistere mediamente a 35 ore di lezione a settimana. È semplicemente troppo. Un numero giusto potrebbe essere 20 ore, nel resto del tempo lo studente deve attivare il cervello, fare scienza e fare esperimenti. Tutto questo insegnamento è un male sia per i professori che per gli studenti. I professori, infatti, utilizzano la maggior parte del loro tempo in attività di insegnamento invece che di ricerca. Oggi il sistema è tale che formalmente gli studenti devono seguire 35 ore di lezioni frontali a settimana ma ne seguono solo a 20 e i professori si trovano quindi a tenere corsi con pochissime persone sprecando il loro tempo. Vi garantisco che l’Italia otterrebbe risultati migliori se cambiasse questo sistema perché gli italiani sono molto intelligenti e molto creativi.
Bozzoni: Qui apriamo una nota dolente. Da tanto tempo tanti di noi contestano il fatto che i giovani ricercatori debbano fare tanta didattica. I ricercatori fanno 120 ore di lezione alle quali si aggiungono le ore per fare esami e preparare il materiale didattico. È un carico veramente eccessivo. Anche i nostri colleghi stranieri ci hanno fatto notare che il numero di ore frontali di lezione che gli studenti hanno è molto più alto rispetto alla media europea. Questo è un problema sia per gli studenti che non possono applicare quanto studiato sia per i professori che devono essere impegnati tante ore. La ricerca si fa se si hanno buoni i finanziamenti, i buoni finanziamenti arrivano se si ha un buon curriculum, un buon curriculum si fa se uno riesce a crescere una generazione di giovani ricercatori bravi. Se a un certo punto di questo processo virtuoso io tolgo ore alla ricerca questo implode fino a diventare non competitivo. Se lo confrontiamo con quello che succede all’estero, noi stiamo mettendo in competizione diretta ricercatori che da una parte vanno con la motocicletta con i nostri che vanno con una bicicletta. È una lotta impari che non possiamo assolutamente combattere e che il sistema dovrebbe considerare come punto fondamentale perché l’accademia se non ha una buona ricerca non potrà mai fare buona didattica.
Secondo lei come potremmo risolvere questo problema e chi dovrebbe decidere?
Bozzoni: Sicuramente deve essere una decisione di tutta la struttura dell’ateneo e poi via via scendendo nei corsi di laurea. Si potrebbe riconsiderare quant’è l’impegno dell’ora frontale per non uscire dai canoni della legge. Ad oggi un credito corrisponde a otto ore di lezione frontale, si potrebbero considerare maggiori le ore che lo studente deve svolgere non in presenza e quindi ridurre il carico in presenza e dare più spazio alle ore di studio individuali e alle attività in laboratorio. Dall’esperienza di tutti noi quando i ragazzi entrano in laboratorio vivono un’atmosfera, una stimolazione culturale scientifica che non ha uguali rispetto alle lezioni frontali.
De Zeeuw: i professori e il personale universitario dovrebbero leggere documenti e riferimenti su cosa succede dando troppo insegnamento. Ci sono veri e propri studi scientifici che dimostrano che esiste un numero ottimale di ore di lezioni oltre il quale la concentrazione e l’intelletto diminuiscono. Poi una soluzione può essere quella di considerare le ore di studio autonomo degli studenti come ore di lezione, è un po’ artificioso ma è un modo per iniziare. Durante queste ore gli studenti possono lavorare sul campo e fare ricerca attiva.
Secondo lei la didattica deve in qualche modo influenzare il reclutamento?
Bozzoni: è chiaro che se l’impianto didattico su cui faccio reclutamento non cambia, negli anni la didattica diventa obsoleta. Per questo bisognerebbe rivedere periodicamente l’impianto didattico e avere il coraggio di fare delle scelte su cosa è diventato obsoleto nel sapere e cosa è importante come innovazione. È quello che ci chiede la società degli studenti, la società del mondo lavorativo, la realtà delle imprese e la realtà della conoscenza più avanzata. L’università deve svolgere il ruolo di dare una competenza e una formazione tale che i nostri studenti siano competitivi a livello internazionale e mondiale. Se la nostra didattica invecchia ecco che noi diamo ai nostri studenti molte meno opportunità rispetto a quello che fanno le altre università italiane e straniere. Dobbiamo prendere le menti buone che abbiamo che fanno buona ricerca e pensare che da quella buona ricerca può nascere una buona linea didattica, perché la connessione fra ricerca didattica e mondo del lavoro deve essere molto stretta.
De Zeeuw: Nel sistema educativo italiano tutto dipende dal numero di studenti e dal numero di ore di lezione. Ecco perché il sistema italiano si è ammalato, proprio per il legame tra numero di studenti, numero di ore di lezione, numero di posizioni e professori con la quantità di denaro che ottieni come dipartimento e come università.
Che consiglio darebbe ad un giovane ricercatore?
Bozzoni: Di studiare ma soprattutto di avere tanta pratica di laboratorio perché fintanto che uno le cose non le tocca con le proprie mani non sa che cosa gli piace. Un altro consiglio è di cercare persone che ti possono passare grandi ideali e grandi passioni. Trovare il mentore giusto è quello che ti può aprire orizzonti importanti.
De Zeeuw: Penso che sia molto importante che i giovani ricercatori diventino più indipendenti e più influenti perché i ragazzi sono il futuro. In Italia c’è questo vecchio sistema dove decide il vecchio capo. Fa parte della rivoluzione che i giovani devono compiere in Italia e nel sistema educativo italiano. Penso che più potere dai ai giovani, meglio andrà in futuro.
Irene Bozzoni, Professoressa di Biologia Molecolare del Dipartimento di Biologia e Biotecnologie “Charles Darwin” Sapienza Università di Roma
Chris I. De Zeeuw, Medico, Vicedirettore del Netherlands Institute for Neuroscience di Amsterdam e Presidente del Dipartimento di Neuroscienze, Erasmus University Medical Center di Rotterdam, Olanda.
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