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All’interno di Sapienza il Pnrr, oltre ai progetti, ha finanziato contratti da ricercatore di tipo A. Abbiamo chiesto a Davide Tamagnini, uno dei giovani ricercatori vincitori del bando finanziato dal Pnrr, di parlarci del suo percorso accademico e dei vantaggi di essere parte di un progetto Pnrr. Ma anche del suo progetto di ricerca sulla digitalizzazione dei reperti museali, dei metodi di scansione 2D e 3D e dei suoi obiettivi scientifici e di outreach.
Qual è stato il suo percorso accademico?
Essendo originario di Reggio Emilia ho iniziato il mio percorso universitario studiando scienze naturali a Modena. Durante la laurea triennale, e in particolare a partire dal tirocinio di tesi, ho iniziato a interfacciarmi con quello che poi è diventato il mio settore di ricerca ossia l’analisi morfologica. Da quel momento mi sono interessato allo studio della forma geometrica e delle dimensioni delle ossa, in particolare del cranio degli animali, attraverso tecniche di analisi di immagine che ho continuato a portare avanti negli anni. Conclusa la laurea triennale mi sono spostato a Bologna dove mi sono avvicinato alla biologia evolutiva. Poi tramite Erasmus sono andato a Liverpool dove ho continuato a lavorare nel campo dell’analisi morfologica e dove ho imparato la tecnica di morfometria geometrica. Una tecnica rinomata negli Stati Uniti, in Gran Bretagna e in Francia che permette la ricostruzione e quindi la digitalizzazione di campioni attraverso immagini 2D e immagini 3D. All’epoca capii che la potenzialità era soprattutto nel 3D per via delle future prospettive lavorative e per questo ho iniziato a studiare tecniche di ricostruzione 3D a partire da immagini fotografiche in due dimensioni. Finita la laurea magistrale ho proposto un tema di dottorato a Roma sull’analisi morfologica 3D che è risultato essere vincente. Ho conseguito il dottorato e un anno di post doc nel laboratorio di ecologia del Prof. Luigi Maiorano della Sapienza dove mi sono occupato di studiare l’analisi morfologica 3D anche in relazione anche alle variazioni ambientali. Sono le competenze acquisite negli anni che mi hanno permesso di vincere il concorso Pnrr per una posizione da ricercatore.
Che attività andrà a svolgere?
Mi occuperò di digitalizzare le collezioni museali con l’obiettivo di potenziare l’accessibilità a questi reperti non solo a scopo scientifico e di ricerca ma anche di outreach. In particolare, mi concentrerò su collezioni romane e zoologiche. Il progetto prevede la produzione di archivi di immagini fotografiche e ricostruzioni in 3D del materiale presente nei musei, accessibili a chiunque ne è interessato. Questo è un lavoro importante perché fornire una ricostruzione in 2D e in 3D, oltre ad aumentare notevolmente l’accessibilità online delle collezioni museali al pubblico, previene anche l’accesso alle collezioni da parte di molti ricercatori che, interessati a vedere in maniera sommaria il campione, si accontentano della ricostruzione digitale e evitano di manipolarlo. Infatti, maggiore è il numero di persone che lavorano su un campione maggiore è il rischio di danneggiarlo in maniera irreparabile, penso ad esempio a un fossile.
A livello tecnico come prende le immagini dei campioni?
Il metodo usato per acquisire un modello 3D digitale dipende da che cosa si è interessati a visualizzare e da quanti sono i soldi a disposizione. Ad esempio, se sono interessato ad avere un’informazione sulla struttura interna del campione, come la cavità cranica, il CT scan, una sorta di Tac che fa sezioni dell’oggetto che messe insieme fanno la ricostruzione, è la tecnica migliore da usare. Questa tecnica però è costosissima e per questo non è possibile utilizzarla negli istituti di ricerca e nelle università italiane in maniera massiva. Le uniche cose che vanno in questa direzione sono convenzioni che le università fanno con gli ospedali utilizzando le Tac di queste strutture. A me è capitato a Firenze di andare di notte in un ospedale con il cranio di un leopardo per fare la ricostruzione della sua struttura interna, ma è una attività difficilmente ripetibile. Se invece, come nel nostro caso, si è interessati solo alla struttura esterna del campione, esistono due tecniche principali. La prima è l’utilizzo di laser scanner, ossia strumenti che emettono fasci di luce che si riflettono sull’esemplare che si sta digitalizzando e che ricostruiscono, in tempo reale, la morfologia e le sembianze del campione. Noi abbiamo in programma di acquistare alcune di queste strumentazioni. La tecnica equivalente e leggermente meno precisa si chiama fotogrammetria. È la tecnica low cost, quella che ho sempre usato e che graficamente dà un effetto migliore rispetto al laser scanner. La fotogrammetria consiste in una ricostruzione tridimensionale del campione attraverso le foto. Con una macchina fotografica vado a prendere immagini dell’esemplare che sto studiando sotto diverse angolazioni, tra le 120 e le 180 angolazioni. Poi inserisco le foto in un apposito software che combina
tutte queste immagini in un modello tridimensionale finito.
Perché il Pnrr? cosa può dare in più rispetto a un altro bando di ricercatore?
La prima cosa è che insieme al Pnrr vi è una grande disponibilità economica. Questo permette di impostare progetti ad ampio respiro. Credo che se avessi vinto una posizione equivalente al di fuori dell’ambito Pnrr avrei fatto fatica ad acquistare le apparecchiature necessarie a svolgere il mio lavoro. Mi sarei quindi limitato a comprare una macchina fotografica per fare delle analisi di base. In questo caso invece assieme alla mia posizione da ricercatore l’università ha a disposizione una serie di fondi extra per le attrezzature. Un’altra caratteristica dei progetti Pnrr è che hanno un’alta multidisciplinarietà. Valorizzano infatti percorsi di ricerca volti non solo alla mera pubblicazione scientifica ma anche a interazioni con ambiti di ricerca lontani. Nel mio caso, ad esempio, il mio progetto interagisce con la paleontologia, con l’ecologia e con progetti di terza missione.
Sono previste delle attività di collaborazione con l’esterno dell’università?
Assolutamente. Credo che per la natura stessa dell’attività che andrò a svolgere ci saranno collaborazioni innanzitutto con i musei dove sono conservati i campioni. Molti si trovano alla Sapienza ma molti altri si trovano in musei esterni all’ateneo tra cui il Museo civico di Roma. Quindi come prima cosa quindi si possono pensare dei progetti ibridi tra musei e università che aumentino l’interesse del pubblico verso il museo e verso i laboratori dell’università che creano questi contenuti digitali. Poi con il materiale digitalizzato si possono fare quelle ricostruzioni animate che si vedono nei documentari e che sono di grande impatto da usare a scopo divulgativo e di terza missione. Oltre a tutto ciò, ovviamente, i dati raccolti hanno anche una grande valenza per la ricerca perché fornire dati accessibili anche a tutti i ricercatori interessati aiuta non solo a prevenire eventuali danni ma anche a velocizzare la ricerca. Un ricercatore che a portata di click può accedere a collezioni in giro per il mondo evita di recarsi fisicamente nei singoli musei risparmiando molto tempo.
Il progetto che ha vinto ha una durata di tre anni. Si è posto degli obiettivi da raggiungere?
Gli obiettivi ci sono. Allo stato attuale vanno ancora definiti nello specifico perché dipenderà molto da quali saranno i mezzi che avremo a disposizione. Diciamo che ad oggi l’obiettivo da perseguire è di tipo concettuale. Vogliamo rendere accessibili i materiali conservati nei musei alla Sapienza, a Roma e perché no in Italia e fuori qualora vi dovessero essere collaborazioni con entità esterne. Per altro, a livello internazionale questo tipo di collaborazioni sono già in piedi e quindi sono sicuro che anche in Italia, pian pianino, ci arriveremo.
Concluso questo progetto cosa vorresti che succedesse?
Ti do una risposta, come dire, “diplomatica”. Innanzitutto, il bene supremo non è il mio ma è quello delle collezioni. Bisognerebbe che le collezioni venissero valorizzate al meglio. Poi, per quanto mi riguarda, vorrei proseguire il percorso di ricerca. Soprattutto, vorrei integrare le mie competenze di analisi morfologica e di macro evoluzione con una parte di imaging, di resa digitale e di effetti grafici. Non è propriamente il mio mestiere, però questo progetto mi spinge anche verso quella direzione. Infatti, molti ricercatori, ad esempio in ambito paleontologico, oltre a fare l’analisi morfologica e descrittiva fanno anche la ricostruzione tridimensionale di come era l’animale e creano quelle belle e interessanti immagini usate ad esempio nei documentari. Ecco, riuscire a fare anche questo sarebbe il mio sogno.
Davide Tamagnini, biologo e ricercatore di tipo A presso il Dipartimento di Biologia e Biotecnologie “Charles Darwin” della Sapienza Università di Roma.
Sofia Gaudioso, biologa e comunicatrice della scienza, Sapienza Università di Roma
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