le microondine
Se vogliamo descrivere un suono, è possibile esaminare la sua “forma d’onda”, scomponendola nelle cosiddette “componenti armoniche” attraverso la “trasformata di Fourier”. Emilio Giovenale e Marco Tannino spiegano la matematica e la fisica delle microondine (wavelets)
La matematica e l’informatica ci permettono di analizzare (o generare) segnali complessi. Se vogliamo descrivere un suono, è possibile esaminare la sua “forma d’onda”, scomponendola nelle cosiddette “componenti armoniche” tramite uno strumento matematico, che si chiama “trasformata di Fourier”.
Cosa sono le “armoniche”? Per rispondere a questa domanda dobbiamo chiederci perché la stessa nota, suonata con un flauto o con un pianoforte, appare assai diversa alle nostre orecchie. Quando uno strumento genera un suono, non viene emessa soltanto l’onda alla frequenza corrispondente alla nota suonata, ma anche tutta una serie di multipli di questa frequenza, le cosiddette “armoniche” (o “armonici”, in linguaggio musicale), che risulteranno più o meno attenuate o esaltate a seconda dello strumento e delle sue caratteristiche (materiale, cassa armonica, ecc.). L’onda così risultante sarà la somma di questi armonici e darà al suono il colore particolare che distingue il flauto dal pianoforte e che rende il suono di uno Stradivari così unico.
La trasformata di Fourier, per “comporre” (o scomporre, visto che si può usare per entrambi gli scopi) il segnale, somma tra loro armoniche “ideali”, che rappresentano oscillazioni periodiche di un segnale che non hanno un inizio e una fine nel tempo: esistono da sempre e il loro suono non si interrompe mai. Questa è evidentemente una “idealizzazione” non fisica, che però fornisce buoni risultati quando il segnale da analizzare cambia poco o nulla nel tempo. In realtà, nel mondo fisico, i segnali tendono a essere tutt’altro che stazionari: se torniamo all’esempio del pianoforte, il suono è molto diverso nella sua parte iniziale impulsiva, quando il martelletto colpisce la corda, rispetto alla parte finale, in cui la corda vibra libera e il suono lentamente decade nel tempo. Nella prima fase il suono avrà una “coloritura” dovuta ai molti armonici, più ricca di quella della parte finale.
Analogamente, anche nelle immagini e nei video possiamo identificare una parte “statica”, dove le variazioni sono piccole (pixel adiacenti simili per le foto, o sfondo per il video) e una parte “dinamica”, dove invece ci sono cambiamenti repentini (sui bordi degli oggetti nella foto e negli oggetti in movimento per i video). Quando le variazioni sono grandi la trasformata di Fourier è poco adatta perché usa funzioni che non variano nel tempo. Per superare questo limite è stata elaborata la trasformata di Fourier a tempo breve (STFT), che ritaglia negli armonici una “finestra” temporale finita.
Tuttavia, tale artificio non permette di avere la flessibilità che è spesso necessaria nelle applicazioni pratiche. Daubechies ha risolto questo problema utilizzando, al posto delle tradizionali armoniche, funzioni matematiche localizzate temporalmente: le wavelets, che sono molto più flessibili, e richiedono minori risorse di calcolo con risultati migliori.
Il tempo di calcolo necessario per eseguire una trasformata wavelet è infatti direttamente proporzionale alla quantità di dati da elaborare N, mentre per gli algoritmi di trasformata di Fourier Veloce (FFT) questo tempo è proporzionale a N*Log(N): quando la quantità N è molto grande la differenza è notevole. L’elaborazione di un frame standard di un video in HD verrà eseguita 14 volte più velocemente rispetto ai sistemi tradizionali.
Marco Tannino e Emilio Giovenale, studenti del master “la scienza nella pratica giornalistica” presso il dipartimento di biologia e biotecnologie “Charles Darwin” della Sapienza università di Roma
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