manelli

una zoologia

Ery manelli

Quei giorni febbrili di preparazione alla maturità classica, nel nostro compunto e sessantottino Ginnasio-liceo Torquato Tasso, ci lasciavano baldanzosi, ma sgomenti: l’anno precedente una Commissione d’esame decisamente destrorsa aveva brutalmente bocciato ben otto degli esaminandi, e tra loro c’erano alcuni degli studenti più studiosi e brillanti; una sorta di punizione politica insomma per l’ondata sinistrese che aveva investito nell’anno accademico 1969/70 la scuola italiana e non solo. Finì con alcune, peraltro inutili, interrogazioni parlamentari. Dovettero tutti ripetere sic et simpliciter l’ultimo anno di Liceo.

Uscirono i nomi della nostra Commissione: il Presidente, bolognese, si chiamava Ery Manelli. Panico: “Sarà uomo o sarà donna?”. Una compagna sagace mobilitò una parente che abitava a Bologna, per svelare l’arcano sessuale: “É maschio, è maschio!”.

Lo zoologo che mi si parò davanti alla Maturità era molto serio, al limite della rigidità. Io portavo Scienze come materia in più (“quinta materia”) e questo certamente lo rese più attento nella mia prova orale. Me la cavai piuttosto bene, sono sempre andato bene a scuola: addirittura, la risorgimentale maestra Clotilde Guidone, mi fece “saltare” la quinta. Abbandonati i compagni della quarta elementare, dopo una perigliosa estate di studio matto e disperatissimo, mi presentai all’ammissione alla scuola media Torquato Tasso di Roma (oggi non esiste più) dovendo sostenere l’esame per tutte le materie. In un colpo solo la maestra Guidone e il mio orgogliosissimo padre privarono la mia gioventù di ben due estati, quella della quarta e quella della quinta elementare. 

Manelli me lo ritrovai improvvisamente qualche settimana dopo la Maturità che parlava con mio padre in salotto. Oibò! Cosa era successo? Il caso volle che, dovendosi trasferire a Roma da Bologna (sarà stato mica per questo che aveva scelto di essere Presidente di una Commissione di maturità a Roma?), cercasse casa nei pressi dell’università Sapienza. Aveva adocchiato un bell’appartamento proprio sul pianerottolo di casa dei miei genitori. Poi acquistò casa a via Treviso (a poche centinaia di metri da dove abito dal 1979) il che ha cementato il nostro vincolo logistico e topografico, con frequentissimi incontri quasi quotidiani per scambi veloci ma pregnanti di reciproche informazioni e analisi, soprattutto ma non solo professionali. 

Entrò nella mia stanza di appena maturato, scorse delle bacinelle colorate nelle quali facevo crescere girini di rospo. In bacinelle di colori diversi allevavo girini e grattugiavo farmaci e ormoni che saccheggiavo nello studio di mio padre medico: producendo mostruosi rospetti, a volte microscopici. Esclamò: “A te, Enrico, non interessa la zoologia, bensì la fisiologia”. Parole, vaticinio. 

Durante gli studi universitari non mi fu mai davvero mentore, ma l’interscambio culturale e soprattutto l’affettuoso e generoso espandersi dei suoi consigli non mancò mai. Io avevo già bazzicato l’Istituto di Zoologia ai tempi di Pasquini, ero di casa. Non mancavo di fargli un saluto, affacciandomi nel suo vasto ufficio al piano terra, ricolmo di carta e riviste.

Per circa tredici anni mi sono occupato al MIUR di finanziare la “Diffusione della cultura scientifica e tecnologica”: mi aiutò a decifrare il mondo della scuola, cui era particolarmente legato e connesso. Ricordo un incontro con l’associazione dei  maestri cattolici, dove discettò a lungo su quanto la mente del bambino delle elementari (primaria) sia naturalmente adatta a comprendere la classificazione linneana del mondo vivente. Concetto illuminante che ancora perseguo a livello internazionale e museologico.

Per un viaggio in Israele gli chiesi una lettera di presentazione per il direttore dell’Istituto di Zoologia di Tel Aviv, che ospitava una grande collezione vivente di rettili deserticoli. Mi consegnò una lettera di tono quasi ottocentesco, aggiungendo: “Non mi farai mica delle cappellate” con quel suo tono pacatamente emiliano. Aveva un fratello prete (CONFERMARE), e si vedeva.

Per anni lo incontravo spesso, sulla tratta di treno Roma-Bologna-Roma, sempre in seconda classe, un esempio che mi lasciò un imprinting, anche quando diventai presidente. Fu a lungo Presidente dell’Istituto Nazionale per la Fauna Selvatica di Ozzano nell’Emilia e discettavamo regolarmente di aspetti gestionali, donandomi le sue confidenze su personalità ed ego inevitabilmente dilatati di genetisti e ornitologi. Tentarono goffamente di scalzarlo, seppe resistere senza traumi accademici. 

Molti anni dopo, ad Ansedonia, squillò il telefonino: “complimenti, è una cooptazione che vale il doppio, perché sei extra-moenia!”. Ero diventato Linceo, e senza essere professore universitario. 

Emerito a lungo, ci ha lasciato a novantanove anni.

Enrico Alleva, neuroscienziato comportamentale, già direttore del Centro Iss “scienze comportamentali e salute mentale” SCIC, presso l’istituto superiore di sanità