Musica Biodiversa

Musica e impegno ecologista

Di Emilio Giovenale   
Una coscienza legata ai problemi ambientali, che porti ad un concreto impegno ecologista, è una conquista degli ultimi anni, quando ci si è finalmente resi conto che le politiche di sfruttamento indiscriminato del pianeta possono causare danni incalcolabili, che alla fine si ripercuotono sulle attività umane. Vediamo come questo si riflette nella musica

L’uomo “padrone” della natura

Fino a poco tempo addietro esisteva un retaggio culturale, specie nelle culture occidentali, che vedeva la natura come soggetta ai bisogni e ai capricci dell’uomo.  Una cultura radicata profondamente, tanto che nella Bibbia, nel libro della Genesi, Dio lascia che sia l’uomo a dare un nome ad ogni animale, a sottintendere il suo dominio sulla natura. Natura che è sì intesa come manifestazione della grandezza divina, per cui splendida ed affascinante, ma comunque funzionale ai bisogni dell’uomo.

Non stupisce quindi che la musica classica affronti il mondo animale con questo tipo di visione: bellezza, forse stupore, qualche volta imitazione, ma senza manifestare un “impegno ecologista” a difesa del mondo naturale, quasi che esso sia principalmente un bel giocattolo con cui divertirsi.

Qualche esempio nella musica classica

Quindi Gioachino Rossini nel 1825 si diverte a comporre Duetto buffo di due gatti, un brano in cui due voci di soprano cantano simulando il miagolio dei gatti. Semiserio è anche Il Carnevale degli animali, di Saint-Saens, composto nel 1886, dove due pianoforti, due violini, viola, violoncello, contrabbasso, flauto, ottavino, clarinetto, armonica e xilofono, compongono delle simpatiche caricature di animali… e tra gli animali ci sono anche i pianisti mediocri ed i critici musicali!

Credo che tutti conoscano Il volo del Calabrone, di Rimskij-Korsakov, ma pochi sanno che è tratto dall’opera di inizio 1900 “La fiaba dello Zar Saltan”, ove il protagonista viene trasformato in un insetto.
Altra pietra miliare è Pierino e il Lupo di Sergej Prokofiev, che è presente nei programmi scolastici di educazione musicale da almeno 50 anni!
Una immagine più seria, ove la natura si identifica col bene, la troviamo ne L’Uccello di Fuoco di Stravinskij, del 1910.

Vorrei però parlarvi oggi di alcuni musicisti e gruppi contemporanei che hanno voluto  invece includere nel proprio messaggio un’attenzione particolare ai problemi ecologici.

Lo stupore di Jodi Mitchell

Iniziamo dai favolosi anni a cavallo tra 1960 e 1970, in un contesto in cui la musica ed i giovani iniziano a ribellarsi alle convenzioni della società per lanciare messaggi di pace e fratellanza. Qui troviamo una delle pioniere dello sviluppo di una coscienza ambientalista: la cantautrice canadese Jodi Mitchell. In “Big Yellow Taxi”, brano del 1970 Jodi canta “hanno asfaltato il paradiso e ne hanno fatto un parcheggio”, e lo fa con un ritornello sbarazzino, che però porta con sé quel desiderio di libertà tipico della rivoluzione culturale del 1968. Lei stessa racconta che si trovava alle Hawaii, e guardando fuori dalla finestra dell’albergo fosse colpita dalla stridente contrapposizione tra la possente bellezza di quell’isola in mezzo al Pacifico e lo squallore dell’enorme parcheggio dell’hotel.

E quando la bellezza è deturpata non possiamo che rimpiangerla: “… non è possibile sapere quanto si possiede, finche non lo perdiamo”, e poi non restano che surrogati e ricordi: “Hanno raccolto tutti gli alberi li hanno portati al Museo degli Alberi. E fanno pagare alla gente un dollaro e mezzo solo per vederli”

La denuncia dei Pearl Jam

Facciamo un salto di quasi 30 anni per andare ad esaminare una delle canzoni più famose, e terribili, dei Pearl Jam, una delle band che, dagli anni ’90 ad oggi ha visto aumentare, sia nella musica che nella logistica dei concerti, il suo coinvolgimento nella difesa dell’ambiente e nell’impegno ecologista.

Rappresentativa di questo impegno, nel contesto di una più generale critica del potenziale distruttivo dell’uomo, è la canzone “Do the Evolution”, del 1998, in cui l’interrogativo che viene posto è cruciale: quella dell’uomo è stata una vera evoluzione o siamo giunti a una situazione in cui l’autodistruzione è assicurata dai nostri stessi comportamenti? La musica, accompagnata da un video in stile “Anime”, dai contenuti forti e di grande impatto emotivo, ci porta sulla scena di un dramma collettivo, che non può che concludersi con la distruzione totale del pianeta da parte degli umani “evoluti”. Perché l’umano tipo dice “sono il primo mammifero a portare i pantaloni, sono in pace con la mia avidità, posso uccidere perché credo in Dio, è l’evoluzione, baby!”.

Questa superbia, portata all’estremo che gli farà dire “Farò quello che voglio, ma in modo irresponsabile” è il motivo di fondo del brano, e ne segna il ritmo ossessivo , fino a un finale  che lascia l’amaro in bocca.

Ma l’impegno ecologista in musica dei Pearl Jam non si ferma qui: basti dire che il loro ultimo album, “Gigaton”, del 2020 è un manifesto della lotta ai cambiamenti climatici. Il titolo stesso, fa riferimento all’unità di misura utilizzata per quantificare lo scioglimento dei ghiacci polari… e che è la stessa utilizzata per misurare la potenza delle armi atomiche. A dimostrazione che l’impatto del riscaldamento globale può essere paragonato a quello di una guerra nucleare! La copertina dell’album poi è una foto della calotta polare presso l’isola di Nordaustlandet, da dove si vedono sgorgare cascate di acqua causate dal disgelo.

I Pearl Jam dagli anni 2000 si impegnano a controbilanciare i danni ecologici prodotti dai loro tour, investendo ingenti somme in progetti di riforestazione, e riducendo progressivamente le emissioni, con l’obiettivo di giungere a tour a impatto zero.

L’impegno dei Radiohead

Un altro brano, forse più “ottimista” da un punto di vista ecologico, e The Numbers, dei RadioHead. Questa band fa concretamente attivismo utilizzando la propria arte a difesa dell’ambiente e contro le logiche di sfruttamento di stampo capitalista. E in The Numbers, del 2016, ci presenta una situazione drammatica, ma in cui ognuno di noi può fare la sua parte.

“Noi apparteniamo alla Terra
A Lei siamo destinati a tornare
Il futuro è dentro di noi
Non è da nessuna altra parte”

Queste quattro strofe sono una sintesi estrema del concetto di appartenenza dell’uomo alla natura, ed al tempo stesso la presa di coscienza che siamo noi uomini ad essere artefici del nostro futuro:

“Un giorno alla volta

Facciamo appello alle persone
Le persone hanno questo potere
I numeri non fanno le decisioni”

Ma l’impegno ecologista dei Radiohead non si limita ai testi e alla musica: sono infatti attivi nel sostenere associazioni ambientaliste come Greenpeace ed Extinction Rebellion, e programmano i loro tour in maniera sostenibile, riducendo l’impatto e compensando quelli apportati piantando nuovi alberi.

Uno sguardo al futuro

Infine arriviamo ai musicisti delle più giovani generazioni:  la giovanissima Billie Eilish, stella esplosa negli ultimi anni con uno stile personalissimo e tecnicamente fantastico, ha bandito la plastica dai suoi tour ed ha abbracciato la causa ambientalista. Prova ne è il video di denuncia “Our house is on fire”, realizzato con Woody Harrelson e ispirato alla celebre frase di Greta Thumberg. E come lei molti altri si sono schierati, dai Coldplay a Piero Pelù.

Poi c’è la musica prodotta dalla natura, nella sua infinita varietà, che è l’oggetto di studio di una nuova disciplina, la bioacustica, che studia in maniera scientifica i rumori prodotti da animali e sistemi biologici, per ricavarne informazioni utili alla conservazione del patrimonio vivente del pianeta, ma di questo ci occuperemo in un approfondimento

Emilio Giovenale, fisico, ricercatore ENEA e comunicatore della scienza.

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