Telo-Prize - Intervista a Daniela Bargellini Rhodes

Telo-Prize – Intervista a Daniela Bargellini Rhodes

Di Emilio Giovenale   
Emilio Giovenale, Ricercatore ENEA , che ha di recente concluso il Master “La Scienza nella Pratica Giornalistica”, ha intervistato Daniela Bargellini Rhodes, scienziata di fama internazionale esperta in cristallografia, cui è stato di recente assegnato il prestigioso Premio WLA (Word Laureate Association)

Emilio: Innanzitutto, vorremmo congratularci con lei per il recente importante premio assegnatole: il premio della World Laureate Association, conferitole nella categoria “Scienze della Vita o Medicina”, con la motivazione: “Per aver elucidato la struttura del nucleosoma a livello atomico, fornendo la base per comprendere la cromatina, la regolazione genica e l’epigenetica”. Potrebbe spiegare cos’è la World Laureate Association e perché questo premio, istituito nel 2021, sta diventando sempre più importante nel panorama scientifico internazionale?

Daniela Rhodes: La World Laureate Association è piuttosto nuova. Credo sia stata fondata nel 2017. Si tratta di un’iniziativa cinese creata da Roger Kornberg e include, tra i suoi membri, vincitori del Premio Nobel, del Field Medal, del Turing Award e altri importanti premi. È finanziata da una grande società di investimento per circa 150 milioni di dollari. È l’organizzazione più grande al mondo composta da vincitori del Premio Nobel. Questo le conferisce molta rispettabilità, e i cinesi sono molto abili nel guadagnarsi rispetto.

La persona che ha fondato questa associazione è in realtà Roger Kornberg, che è anche colui che ha scoperto il nucleosoma, che è il mattoncino fondamentale dei cromosomi. Quindi è un’organizzazione molto prestigiosa, e hanno iniziato organizzando dei forum mondiali, a partire dal 2017 in Cina, a Shanghai. Questi forum radunano fino a 25, 30 vincitori del Premio Nobel. L’obiettivo del World Forum è promuovere la scienza tra i giovani scienziati e la comunità. Sono incontri meravigliosi. E il premio viene assegnato durante uno di questi forum mondiali nel quale in genere si aprono gruppi di discussione su come fare carriera nella scienza o le donne nella scienza, gli sviluppi tecnologici, e così via. Quindi sono rimasta molto impressionata.

Emilio: Ho studiato il suo impressionante curriculum, e devo confessare che è difficile decidere quale delle sue molte aree di ricerca meriti particolare attenzione; sembra che lei abbia apportato contributi significativi in numerose aree della Biologia Molecolare. Uno degli argomenti più intriganti che può catturare l’interesse del pubblico non specializzato è lo studio dei telomeri, dato il loro coinvolgimento nel processo di invecchiamento e nel ruolo di protezione contro il cancro. Potrebbe spiegare, in termini semplici, cos’è un telomero e perché è cruciale per queste funzioni? Inoltre, perché ha deciso di approfondire questo argomento?

Daniela Rhodes: I virus hanno genomi circolari, quindi non richiedono protezione, mentre gli esseri umani e molte altre specie hanno cromosomi lineari che devono essere protetti. La struttura di protezione è stata scoperta tra il 1930 e il 1940 da Barbara McClintock. Mentre lavorava con il mais, si rese conto che i cromosomi dovevano essere protetti, altrimenti il cromosoma andava incontro a danno.

L’era della biologia molecolare dei telomeri è iniziata quando Liz Blackburn (ndr. Elizabeth Blackburn, vincitrice del Premio Nobel) è stata in grado di sequenziare l’estremità dei telomeri in organismi molto semplici come il protozoo Oxytricha e il Tetrahymena. Si rese conto che i telomeri contengono sequenze ripetute uniche. A quel punto, già Jim Watson aveva proposto (ndr. James Dewey Watson, vincitore del Premio Nobel) che ad ogni divisione cellulare, a causa del modo in cui il DNA viene replicato, si perdeva del DNA. E che ci doveva essere un primer RNA per replicare il DNA. Veniva da se che doveva esserci quindi un’attività di trascrittasi inversa che operava in questo processo.

Blackburn utilizzò le conoscenze sulle sequenze del DNA per isolare la componente RNA di questa trascrittasi inversa, per la quale ha ricevuto il Premio Nobel. E poi, dagli organismi semplici, si è passati al lievito e infine ai mammiferi. Ed è affascinante come i telomeri degli organismi semplici e degli umani siano fatti ripetizioni ricche di G. Negli esseri umani questa sequenza è TTAGGG ripetuta per 10.000 basi. Ciò ha sollevato domande su quali proteine si legassero a queste sequenze uniche per formare questa struttura di protezione, ed è lì che sono entrata in gioco io. Davvero per caso.

Inizialmente avevo iniziato lavorando sulla cromatina, cristallizzando il nucleosoma per la prima volta nel 1976. Per questo risultato ho ricevuto il premio WLA. Poi ho lavorato su proteine leganti il DNA come le zinc finger. Erano state scoperte dal mio grande mentore, Aaron Klug. Ma volevo tornare a lavorare sulla cromatina. L’idea era che la cromatina impacchetta il DNA nei cromosomi, e che quindi deve essere coinvolta in tutti i processi cellulari il cui substrato è il DNA. Poiché questo DNA è impacchettato, deve poi diventare accessibile in momenti specifici in cui deve essere replicato o trascritto, e così via.

Stavo lavorando su una proteina del lievito chiamata RAP1 (Repressor Activator Protein 1), che sembrava essere un fattore di trascrizione ma era coinvolta nel silenziamento nel lievito. Ho pensato, “Forse questo è un modo per capire come vengono silenziate le sequenze di geni.” Durante un periodo di sabbatico con Susan Gasser a Losanna presso l’Istituto Svizzero per il Cancro, è diventato chiaro che questa proteina RAP1 era in realtà la principale proteina legante il telomero nel lievito.

Così ho detto: “beh, se devo lavorare su RAP1, chiaramente la strada da seguire è lavorare sui telomeri”. Perché già allora erano emerse le prime prove che i geni situati vicino ai telomeri fossero più repressi rispetto ai geni all’interno dei cromosomi. Ecco come ci sono arrivata. Non per visione, ma davvero cercando di lavorare su qualcos’altro e poi realizzando che lavorare sui telomeri era interessante. A quel tempo, era chiaro che i telomeri erano coinvolti nell’invecchiamento e nel cancro. Quindi sì, era molto rilevante passare al campo dei telomeri.

Infine, fare biologia strutturale sui telomeri mi sembrava ovvio perché prima di allora avevo lavorato sulla struttura dei fattori di trascrizione come i recettori degli estrogeni che ovviamente funzionano legandosi al DNA.

Quindi ho iniziato a studiare le proteine che si legano alle ripetizioni telomeriche e sono passata dal lievito agli esseri umani. Alla fine, abbiamo determinato la prima struttura dei telomeri umani.

Emilio: La sua carriera scientifica è un’ispirazione per le giovani donne che entrano in questo campo. Qual’è la sua idea sulla situazione delle donne nel mondo della ricerca oggi?

Daniela Rhodes: Sono stata membro del Consiglio dell’Organizzazione Europea di Biologia Molecolare (EMBO), e in realtà abbiamo organizzato uno dei primi incontri sul “soffitto di vetro per le donne nella scienza”. Quindi sono molto consapevole della situazione delle donne che si occupano di scienza.

Credo che la situazione stia migliorando, ma un problema è che le donne sono state spesso valutate usando il metro di misura maschile. Le stesse donne stesse possono essere prevenute. Quando pensiamo a qualcuno intelligente, assertivo, e così via, queste caratteristiche sono spesso associate più agli uomini che alle donne. Anche le donne, quando lodano qualcuno come “bravo”, tendono ad usare i tratti maschili come riferimento. Innanzitutto, dobbiamo cambiare il metro di misura. Credo che uomini e donne non siano uguali.

Presiedevo il comitato per le borse di studio, e circa il 50% dei candidati erano donne. Eppure, anno dopo anno, il tasso di successo per le donne era più lento rispetto a quello per gli uomini. Quindi ci siamo chiesti: perché? Quello che è emerso dallo studio è stato piuttosto interessante: le donne sono molto migliori nella collaborazione!

Tuttavia, c’è ancora una differenza, e i pregiudizi entrano in gioco nella valutazione delle donne e della loro ricerca. Inoltre, la realtà è che le donne hanno potuto laurearsi nelle università relativamente di recente. Sono stata a Cambridge per 40 anni, e le donne potevano laurearsi lì a partire dal 1947. Io sono nata nel 1946. Quindi gli uomini in Inghilterra hanno una storia di istruzione lunga 800 anni, il che significa che il bacino di uomini nell’istruzione superiore è molto più ampio di quello delle donne.

In biologia e medicina, questo sta cambiando ora. Sta diventando una divisione 50/50, ma credo che ci vorrà tempo. A volte, l’impazienza delle donne non aiuta necessariamente loro stesse. Penso che, come donne dovremmo unire le forze e assicurarci che i sistemi siano equi in termini di promozioni o nomine. Un buon modo per farlo è assicurarsi che ci siano abbastanza donne nei comitati e nelle posizioni decisionali.

Certo, c’è spazio per il miglioramento, ma le donne devono anche essere realistiche sulla situazione e sulle richieste che fanno. Ho detto alle donne, non ha senso sedersi in un angolo a lamentarsi; invece, presentate proposte positive.

Quindi stiamo andando nella giusta direzione, ma ci vorrà ancora del tempo. Non ero consapevole di nessuna discriminazione quando ho iniziato, sono stata fortunata ad atterrare a Cambridge. Ma man mano che diventavo abbastanza matura e mi veniva chiesto di far parte dei comitati, ero scioccata perché continuavo ad entrare in stanze piene di uomini, chiedendomi: “Dove sono le donne?” Come donna, ciò ti mette in una posizione molto debole perché quando inizi a fare domande, la prima cosa che fanno è farti diventare presidente del comitato, così ti zittiscono! Questo è quello che è successo a me.

Emilio: Ha avuto esperienze di ricerca in diversi paesi del mondo. Può condividere le sue osservazioni riguardo alle differenze che ha notato in questi paesi?

Daniela Rhodes: Beh, non ho avuto così tanta esperienza, davvero. Voglio dire, sono stata a Cambridge per 40 anni, in un posto che era come il paradiso! Era una situazione insolita per l’Inghilterra perché eravamo a Cambridge ma non parte dell’università. Eravamo un istituto finanziato centralmente dal Consiglio per la Ricerca Medica, finanziato molto generosamente. Quindi non dovevamo fare domanda di finanziamento. In realtà, non ci era proprio permesso fare domanda di finanziamento per i primi 25 anni in cui sono stata lì perché eravamo completamente finanziati centralmente.

Questo istituto sia stato istituito, come conseguenza della Seconda Guerra Mondiale, da un immigrato in Inghilterra di nome Max Perutz. Ha fondato il primo istituto al mondo con il termine “biologia molecolare” nel nome. Max aveva la capacità di reclutare persone valide, stelle. E ovviamente, a quell’epoca, tutte le persone che reclutava erano fisici o chimici; non esisteva una materia chiamata biologia molecolare. Quindi Francis Crick era un fisico, Aaron Klug, che è stato il mio grande mentore, era un fisico, e Frederick Sanger, che ha ricevuto due premi Nobel, era un chimico.

Era un posto dove non si usavano titoli, e c’era una politica di “porte aperte”; gli uffici non avevano serrature. E dalla donna delle pulizie al direttore, ci davamo tutti del tu. I gruppi erano piccoli perché l’idea era che i leader dei gruppi continuassero a lavorare in laboratorio. E lo stesso Max Perutz ha presentato il suo ultimo articolo quando aveva 89 anni, ed è morto circa sei settimane dopo. Ha ricevuto il premio Nobel nel 1962 ma ha continuato a lavorare sul campo per altri 30 anni.

Sono finita in questo posto completamente per caso. E non c’era nessuna gerarchia. Contava solo la qualità del tuo lavoro. Tutti andavano alle riunioni di gruppo, dal tecnico più giovane agli studenti più anziani, e le persone dovevano presentare il loro lavoro, alzarsi e parlare di quello che avevano fatto. Ovviamente è un’utopia, ma il risultato della realizzazione di questa utopia è che il Laboratorio di Biologia Molecolare ha 13 premi Nobel, e questo contando solo il lavoro fatto nell’istituto. Se conti le persone che sono passate per l’MRC, il LMB a Cambridge, hai altri 10 premi Nobel. Roger Kornberg è stato un dottorando al LMB, Liz Blackburn è stata una dottoranda al LMB, Sydney Brenner è stato un dottorando al LMB… potrei continuare…

Quindi è una sorpresa per me che nessun altro paese abbia capito che per fare della grande scienza devi dare ai ricercatori, agli scienziati, la libertà lavorare al meglio. Da Singapore all’Italia troppo spesso si lascia che siano le amministrazioni a decidere per la scienza.

Emilio: Cosa suggerirebbe a* giovan* scienziat* che lavorano in questo campo?

Daniela Rhodes: Beh, Fai questo lavoro solo se sei veramente appassionato di scienza. E mantieni viva la tua curiosità; cerca di mantenere vivala tua curiosità.

Oggi, la ricerca è molto guidata dalla tecnologia. Ai nostri tempi, era tutto guidato dalle ipotesi. Ora, ci sono nuove tecniche che possono rispondere alle domande. La ricerca è diventata più produttiva, ma si dovrebbe mai perdere di vista ciò che si sta facendo. Avvicinati alla scienza con la convinzione che la domanda che stai ponendo è veramente importante e sforzati di trovare la risposta. E se quel metodo non produce risultati, non esitare a cambiare direzione.

Un altro suggerimento è leggere di più. Trovo che i giovani oggigiorno non leggano abbastanza, e non su argomenti abbastanza vari, perché c’è così tanto materiale pubblicato.

Quindi cerca di espandere le tue abilità, ma mantieni anche la tua curiosità. E fai anche domande stupide! Abbiamo fatto così tanti progressi negli ultimi anni che, a volte, le domande stupide sono le più intelligenti perché nessuno ci ha pensato. Quindi non abbiate paura di fare domande stupide.

Penso che la cosa più importante sia trovare un mentore che creda in te e nel tuo lavoro. È importante avere qualcuno che ti spinga, ma che ti dia anche il tempo di sbagliare. Inoltre, sii cosciente dei tempi in cui stai lavorando. Se stai cercando di fare una scoperta, potrebbe richiedere 10 anni, potrebbe richiedere 20 anni. Quindi devi pensare che forse non lo vedrai mai. E se lo vedi, fantastico. Ma se non lo vedi, stai ancora cercando di fare il meglio che puoi con quello che hai.

Penso che molti giovani oggi non siano consapevoli di quanto sia importante anche la vita sociale. Penso che il mio lavoro sia stato in grado di continuare perché ho avuto un grande supporto da parte dei miei colleghi e della mia famiglia. L’ho fatto per l’amore per la scienza, ma è stato supportato dal mio ambiente di lavoro e dalla mia famiglia.

Quindi queste sono tutte le cose che devi tenere a mente. È un gioco lungo, la scienza, non un sprint.

Daniela Bargellini Rhodes, Biologa strutturale e molecolare, Laboratorio di Biologia Molecolare di Cambridge

Per saperne di più        Versione inglese

TOP