Studiare il futuro
Quale futuro vogliamo? Con Wendy Schultz
intervista a Wendy Schultz di Stella Françoise Iacovelli, Sofia Tamborra e Siria di Maria
La visione di Wendy Schultz Direttrice di Infinite Futures e cofondatrice di Jigsaw Foresight
È possibile individuare delle tendenze dell’essere umano nel decorso storico che permettano di capire meglio il futuro?
Wendy Schultz: Per capire il futuro, si inizia dal passato. È proprio lo studio della storia, infatti, il punto di partenza di un futurologo che indaga sul futuro. Esistono alcuni schemi radicati in noi in quanto esseri umani, e altri che stanno emergendo solo ora: conoscendo le dinamiche con cui i primi si realizzano, è possibile prevedere le modalità con cui si esprimeranno quelli nuovi. Imparare dal passato, dunque, è il primo step. Successivamente, però, bisogna volgere lo sguardo ai nuovi patterns e usare l’immaginazione per esplorare l’intera gamma delle possibilità. Questo tipo di lavoro permette di rintracciare schemi d’azione appartenenti a diverse culture, ma anche di andare oltre questi ultimi. È proprio raccogliendo dati e confrontandoli con quelli attuali che notiamo come le tendenze dell’essere umano cambino in relazione all’invecchiamento della società. Ogni cambiamento porta a un’interruzione di una vecchia tendenza, quindi l’unica cosa che possiamo affermare con certezza è che il domani sarà nuovo e diverso da ieri.
“Per capire il futuro, si inizia dal passato. È proprio lo studio della storia, infatti, il punto di partenza di un futurologo che indaga sul futuro”
In che modo un futurologo studia il cambiamento?
Wendy Schultz: Partendo da questi cambiamenti emergenti, dalle nuove tendenze, dagli impatti che ne conseguono, immaginiamo possibilità completamente nuove, nuovi modelli di mantenimento del cambiamento, nuove strutture potenziali per società, culture, economie.
Il trucco è esplorare tutto ciò che è possibile, e capire cosa è più probabile che avvenga rispetto a qualcos’altro.
È quindi possibile prevedere il futuro?
Wendy Schultz: Queste considerazioni non sono mai giuste al 100%, perché il cambiamento stesso cambia. Si può pensare che stia andando in una direzione e all’improvviso, spesso, si tratta di un altro cambiamento ancora.
Abbiamo parlato dell’invecchiamento della società, ma ora abbiamo tanta ricerca scientifica su questo tema. La maggior parte delle persone sta cercando di prendersi meglio cura di se stessa. Ciò significa che invece di pensare a un ottantenne o novantenne come a una persona decrepita che ha bisogno di cure, si potrebbe pensare a un ottantenne o novantenne come a una persona che sta ancora lavorando o giocando o facendo cose.
Che tipo di società si desidera quando la popolazione vive più a lungo? Un sacco di persone pensa giustamente che la società invecchierà e ci saranno meno giovani e più anziani. Questo è vero, ma ci saranno anche meno persone anziane per come le conosciamo adesso.
Chi si prenderà cura di chi? Il vecchio paradigma è che i giovani si prendono cura degli anziani, ma se gli anziani sono ancora attivi, dove saranno le persone che faranno i lavori manuali che fanno ora gli anziani? Forse saranno gli anziani stessi a farli perché saranno attivi più a lungo.
A fronte di questa moltitudine di futuri, è possibile sceglierne uno?
Wendy Schultz: In quanto futurologi identifichiamo le gamme dei possibili impatti e cerchiamo di pensarci nel modo più critico possibile, comprendendo che ogni cambiamento avrà un impatto diverso su persone diverse. Alcune persone otterranno ancora più ricchezza e potere. Altre saranno più emarginate. Forse alcune persone saranno potenziate dal cambiamento. Quindi, dove ricade l’impatto?
Si ottengono dei benefici e si pagano dei costi, sia per le persone che per l’ambiente. Non si tratta solo di una prima serie di impatti, ma ogni impatto del cambiamento diventa esso stesso un cambiamento con ulteriori impatti.
Sarebbe dunque necessario capire quale futuro tutti noi desideriamo, per poi riunirci e trovare i punti in comune nelle nostre risposte, perché il singolo non può costruire il futuro per il resto del pianeta. Dovremmo coinvolgere un numero sufficiente di persone con una prospettiva diversa: prospettive differenti aiutano a garantire che ci siano meno punti ciechi sui possibili impatti, negativi e positivi che siano. E anche questo diventa complicato, perché a questo punto, se si sostiene di volere un futuro giusto e sostenibile, tutti diranno “beh, sì, certo che lo voglio”, finché non si comincia a discutere sul significato di “giusto”.
Chiaramente trovare un punto d’incontro su quale futuro intraprendere potrebbe essere difficile, ma questi studi potrebbero contribuire a risolvere questioni che non riguardano solo i singoli individui, ma anche il futuro del pianeta, come ad esempio la sostenibilità.
“Sarebbe dunque necessario capire quale futuro tutti noi desideriamo, per poi riunirci e trovare i punti in comune nelle nostre risposte, perché il singolo non può costruire il futuro per il resto del pianeta”
Bisogna prima capire il significato di “sostenibile”. Significa che dobbiamo rinunciare a tutto questo, significa rigenerare tutta la nostra elettricità? Non sostituendo i nostri smartphone ogni tre anni, ma costruendoli in modo che siano più facilmente riparabili. Oppure “sostenibilità” significa che qualche miliardario o triliardario troverà la meravigliosa soluzione tecnologica che risolverà tutti i nostri problemi e ci permetterà di continuare a vivere così senza cambiare nulla? Molte persone vorrebbero che ciò accadesse. Personalmente, penso non sia molto probabile, perché avrebbe svariati inconvenienti: quando i triliardari trovano grandi soluzioni, sono soluzioni che li rendono ancora più ricchi e fanno sì che il resto di noi dica “cosa è successo alla mia pensione?”.
Quello che mi piace degli studi sul futuro è che mi chiedono di essere critica. Mi permettono di essere selvaggiamente creativa. Richiedono di pensare a interi sistemi. Mi permettono di esplorare il passato, ed è un campo di studi molto interdisciplinare. Il tutto si basa sull’esplorare possibilità, e la nostra immaginazione è bravissima a farlo.
Sicuramente la capacità esplorativa è necessaria, ma è necessaria anche tanta competenza scientifica per questo genere di approccio.
“Quello che mi piace degli studi sul futuro è che mi chiedono di essere critica. Mi permettono di essere selvaggiamente creativa. Richiedono di pensare a interi sistemi”
Come si può avvicinare un qualsiasi individuo ai futures studies?
Wendy Schultz: Una delle cose che le arti e le discipline umanistiche possono fare è raccontare storie, perché a un certo punto tutti noi ci riuniremo e cercheremo di lavorare insieme per un futuro migliore, e dunque ci racconteremo storie. Voi mi racconterete il futuro che volete, mentre io vi racconterò il futuro che voglio io, e poi dovremo raccontarci storie sui cambiamenti che stanno avvenendo e su cosa potrebbero significare e come potrebbero ostacolare il percorso che dobbiamo intraprendere verso il futuro che vogliamo. Abbiamo quindi bisogno di narratori, di artisti. Abbiamo bisogno di persone in grado di trasmettere tutte queste informazioni su ciò che sta cambiando e su ciò che gli scienziati stanno imparando, in modo che tutti possano comprenderlo.
I giovani, che hanno già perso la capacità di elaborare un mondo fantastico come quando erano piccoli, come possono essere in grado di immaginare il proprio futuro?
Wendy Schultz: In parte è solo pratica. Uno dei professori anziani, ora in pensione, con cui ho lavorato all’Università di Houston, Peter Bishop, si era posto l’obiettivo di far imparare la storia a tutti. Ha sempre voluto che i sistemi educativi arrivassero al punto in cui il pensiero del futuro fosse insegnato comunemente come la storia. Quando è andato in pensione ha detto: “Ok, farò in modo che questo accada” e ha creato un movimento globale chiamato Teach the future, coinvolgendo insegnanti e futurologi di tutto il mondo al fine di creare risorse educative e piccoli esercizi da fare in classe con i bambini di prima elementare, per assicurarsi che gli insegnanti avessero le risorse necessarie per incoraggiare nei più piccoli il pensiero del futuro e l’immaginazione. E questo è davvero quello che dobbiamo iniziare a fare. Le persone non hanno perso la loro immaginazione. Semplicemente non sono incoraggiate.
Wendy Schultz, futurologa, ha lavorato su progetti di gestione strategica, analisi di scenari e metodi di
previsione
Stella Françoise Iacovelli, Sofia Tamborra e Siria Di Maria sono studentesse del Master La Scienza nella Pratica Giornalistica, Sapienza, https://web.uniroma1.it/mastersgp/
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