Architetture urbane
Intervista a Jacopo Leveratto
di Diana Corati
L’architetto Jacopo Leveratto è curatore di una delle sale della mostra “Elogio della diversità. Un viaggio attraverso gli ecosistemi italiani” (al Palazzo delle Esposizioni di Roma dal 27 novembre 2024 al 30 marzo 2025). In questa intervista ci racconta il suo lavoro e il perché la diversità riveste per lui un ruolo così importante.
Potresti presentarti e raccontarci il tuo lavoro?
Sono Jacopo Leveratto, lavoro al Politecnico di Milano, nel Dipartimento di Architettura e Studi Urbani. Collaboriamo con lo spoke 5 dell’NBFC (National Biodiversity Future Centre) che si occupa di biodiversità urbana. Lavoriamo sull’analisi di piani e politiche per incrementare la biodiversità in città, quella che si chiama, dal punto di vista scientifico, spazializzazione del dato; tentiamo inoltre di rendere questi dati più comprensibili, adatti a un pubblico più ampio. Per la mostra a Roma sulla biodiversità curiamo una sala dedicata proprio a questo tema.
Come viene presentata la biodiversità urbana in questa sala?
Il tema è il disvelamento della biodiversità urbana. Le quattro pareti ricordano l’aspetto di una città e sono aperte da nicchie retroilluminate che ospitano reperti fisici, pagine di erbario e altri oggetti storici. L’idea è quella di scoprire quanta biodiversità esista all’interno delle città spesso percepite come mondi chiusi e impermeabili dal punto di vista naturale.
“L’idea è quella di svelare quanta biodiversità esista all’interno delle città spesso percepite come mondi chiusi e impermeabili dal punto di vista naturale”
Mi sembra un concetto molto interessante. Come si articola la narrazione della biodiversità?
Raccontiamo tre storie diverse. Una riguarda il tema dello sfalcio e del non sfalcio nei prati urbani (vedi box Per saperne di più: lo “sfalcio ridotto”), per mostrare quanta flora e fauna emerge quando l’erba non viene tagliata con regolarità. Le altre due storie sono invece legate alla città di Roma e a pratiche adottate per aumentare la biodiversità urbana. Le nicchie nella sala sono come piccole Wunderkammer, con cassetti che il pubblico può aprire per esplorare ulteriormente.
Al centro della sala c’è un grande modello della città di Roma. Com’è realizzato?
Il modello, di dimensioni molto grandi – circa un metro e mezzo per due metri e mezzo – è realizzato in polistirolo e poi stuccato in maniera artistica. Si trova al centro della sala e rappresenta un transetto della città di Roma, inclusa l’area del Palazzo delle Esposizioni. All’inizio abbiamo parlato di spazializzazione del dato: il modello mostra proprio i diversi livelli, dal sottosuolo, con gli apparati radicali delle piante, fino alla copertura vegetale e alle rotte dell’avifauna. L’obiettivo è visualizzare la biodiversità su più livelli, non solo quello della strada, e dare un’idea più chiara della complessità degli ecosistemi urbani. Per fare questo abbiamo chiesto la collaborazione di LaborA, il laboratorio di modellistica fisica e virtuale del Politecnico di Milano, dove ci troviamo adesso.
“Il modello mostra proprio i diversi livelli, dal sottosuolo, con gli apparati radicali delle piante, fino alla copertura vegetale e alle rotte dell’avifauna”
Che cos’è per te la diversità?
La diversità è sinonimo di non omogeneità, è il riconoscimento delle differenze. Nel caso della biodiversità, si tratta della consapevolezza dell’interconnessione tra ecosistemi, persone, animali e piante. È un principio fondamentale che guida anche il nostro lavoro di progettazione.
In che modo la tua storia personale ha influenzato il tuo approccio alla biodiversità urbana?
Ho insegnato e lavorato molto su allestimenti e spazi pubblici, esplorando la relazione tra persone, piante, animali e oggetti in contesti urbani. Ho anche collaborato a progetti di forestazione urbana e studiato le cosiddette architetture post-umane, in cui l’idea di progetto non si concentra solo sull’uomo, ma include anche altri esseri viventi e le loro interconnessioni. Questa prospettiva è fondamentale per comprendere la biodiversità urbana.
Per saperne di più:
lo sfalcio ridotto
In un contesto in cui la biodiversità è minacciata, le pratiche che propongono di evitare la potatura o la riduzione della frequenza degli sfalci dell’erba stanno guadagnando consenso. Queste soluzioni sono pensate per chi gestisce giardini privati o spazi verdi pubblici, incoraggiandoli a non tagliare l’erba o a farlo con una minore frequenza. L’obiettivo principale è permettere la crescita spontanea dei fiori selvatici, che diventano una preziosa fonte di nutrimento per gli insetti, in particolare per gli impollinatori, fondamentali per la salute degli ecosistemi.
Jacopo Leveratto architetto, Assistant Professor al Politecnico di Milano
Diana Corati regista, fotografa e docente del Master La Scienza nella Pratica Giornalistica
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