Giosuè Carducci: impeti, tristezze e amori di uno studioso ribelle
Dopo una vita dedicata alle sue passioni diventa, nel 1906, il primo italiano a ricevere il Nobel per la letteratura
«L’albero a cui tendevi la pargoletta mano, il verde melograno da’ bei vermigli fior». È l’inizio di Pianto antico, la celebre poesia che Giosuè Carducci dedica al figlioletto Dante, morto a soli tre anni, accostando immagini vitali a un dolore enorme: versi che acquisiscono ancora più valore se si considera che nel febbraio 1870, solo nove mesi prima, Giosuè aveva perso anche la madre. In breve tempo era dunque rimasto senza «il principio e la fine della vita e degli affetti»; eppure, come il melograno rifiorisce al sole estivo dopo l’inverno, anche lui risorgerà da questi lutti grazie al grande amore per la scrittura e per la vita stessa.
Giosuè Alessandro Carducci, nato a Valdicastello di Pietrasanta in Versilia, il 27 luglio 1835, è stato innanzi tutto la sua Maremma, luogo dove si trasferisce con la famiglia a tre anni, e che, con i suoi cipressi, gli ricorderà sempre Lucia Galleni, la cara nonna paterna spesso citata nelle sue poesie. In quel tratto di terra tra i paesi di Castagneto e Bolgheri, Giosuè cresce ribelle, selvatico e amante della natura. Anche il suo amore per le lettere nasce in questo periodo, grazie alla ricca biblioteca del padre Michele, medico colto e dalle forti passioni politiche.
Il 1848 segna però la brusca fine di un’infanzia spensierata. In tutta Europa infuriano i moti rivoluzionari e una serie di fucilate diretta alla casa dei Carducci li sveglia all’improvviso nel cuore di una fresca notte primaverile: è un avvertimento per il padre Michele che istiga i contadini con le sue idee progressiste. La famiglia è allora costretta a trasferirsi a Firenze e Giosuè, fino ad allora istruito dal padre e dal sacerdote del paese, entra nelle scuole di San Giovannino, passando dalla libertà maremmana alla disciplina di un istituto religioso. È qui che prende forma il suo anticlericalismo: il suo senso profondo del religioso per cui spesso si interroga sull’esistenza di Dio diventerà, negli anni, ostilità nei confronti di una Chiesa che ha tradito il mandato divino. Sfogherà a pieno questo suo risentimento nel 1863 con l’inno A Satana, in cui l’angelo ribelle diventa simbolo di scienza, natura e progresso, mortificate e occultate da un clero bigotto.
In queste scuole, tuttavia, Giosuè conosce anche quelli che saranno gli amici di una vita e che notano e ammirano presto le sue doti letterarie; un talento che però non gli viene senza prezzo: si dà anima e corpo allo studio e, a costo di non mancare alle lezioni, va a scuola in pieno inverno senza sciarpa e mantello a causa delle ristrettezze economiche in cui versa la sua famiglia. Questa dedizione comunque lo ripagherà, aiutandolo a superare i momenti più difficili e tristi della vita. Primo fra questi, nel 1857, è il suicidio del fratello Dante che si ferisce mortalmente al petto col bisturi del padre, dopo l’ennesima litigata con questi. Da quella tragica sera le condizioni fisiche di Michele si aggravano, portandolo alla morte l’anno successivo. Passa quindi a Giosuè il compito di occuparsi della madre e dell’unico fratello rimastogli.
Di lì a poco sposa la fidanzata storica Elvira Menicucci, che gli darà cinque figli: Beatrice, Laura, Francesco e Dante, in omaggio a Francesco Petrarca, Dante Alighieri e probabilmente anche al fratello Dante; l’ultima nata si chiamerà invece Libertà, a ricordare gli ideali politici di unità nazionale in cui Giosuè crede.
Ma la passione vera, quella che «abbrucia e non dà pace» la sperimenterà con Carolina Cristofori Piva, la Lina dei suoi versi. Sensuale, intelligente, di buona cultura nonchè aspirante poetessa e sua ammiratrice, è lei, nel luglio 1871, a spedirgli una prima lettera e un ritratto. Inizia così una relazione tormentata che si consuma in un densissimo scambio epistolare e in pochi incontri. Durerà dieci anni, fino alla morte per tisi di lei, e passerà attraverso le scenate di rabbia di Elvira e le gelosie di lui che arriva a interrompere i rapporti con alcuni amici poeti per la troppa confidenza che avrebbero con Lina. In lei Giosuè vede l’incarnazione del suo ideale ellenico e pagano della vita, un’armonia perfetta tra spirito e materia, un dualismo, secondo lui, innaturalmente creato dal cristianesimo.
Questo è anche il periodo in cui Giosuè acquista popolarità tra gli italiani colti, che sempre più si riconoscono nei suoi discorsi patriottici pronunciati nelle più svariate occasioni pubbliche. Il poeta, docente di lettere all’università di Bologna sin dal 1860, ha ora passato i quarant’anni e il suo atteggiamento verso le autorità è cambiato: da rivoluzionario e violentemente polemico, è ora conciliante con la monarchia che ormai gli appare la migliore garante dello spirito laico del Risorgimento; il cambiamento si deve in parte all’ammirazione che prova per la bella ed elegante regina Margherita la quale, dal canto suo, apprezza molto i suoi versi.
Nel 1890 viene nominato Senatore del Regno ma questo non lo allontana dai libri e dall’insegnamento: anche quando si reca in Senato, è solito chiudersi in biblioteca a studiare; quando però è chiamato a intervenire, non perde occasione per difendere la scuola, convinto che da questa istituzione, spesso dimenticata dallo Stato, dipenda il progresso della società italiana. Egli stesso insegnerà fino a quando la salute glielo permetterà: è affetto da cirrosi epatica e quando, nel 1906, viene insignito del Nobel per la letteratura, sarà l’ambasciatore di Svezia in Italia a consegnargli il premio di persona nella sua abitazione a Bologna. È qui che morirà pochi mesi dopo, il 16 febbraio 1907.
Ancora oggi però, dopo oltre cent’anni dalla sua scomparsa, i suoi versi continuano a risuonare nelle scuole italiane che in molti casi gli sono state intitolate. Ma forse a Giosuè Carducci piacerebbe ancor di più essere ricordato mentre passeggia nell’orto di giugno, intento a rimirare la fioritura del melograno, con in braccio il piccolo Dante.
Credits immagine in evidenza: Toscana: veduta della Maremma, luogo dell’infanzia spensierata di Carducci. Creative Commons tramite Flickr con licenza CC BY-NC-ND 2.0
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