Addio a Günter Blobel, il Nobel che scoprì il Gps delle proteine
Considerato uno dei padri della moderna biologia cellulare e molecolare, Günter Blobel ha devoluto interamente il premio in denaro del Nobel per la ricostruzione della chiesa simbolo di Dresda
Muore a New York il 18 febbraio Günter Blobel, premio Nobel per la medicina nel 1999 per la scoperta dei meccanismi che governano gli spostamenti delle proteine all’interno della cellula.
Nel 1971, insieme al collega David D. Sabatini, Blobel formulò quella che in seguito venne definita come “signal hypothesis”, l’idea in base alla quale le proteine all’interno di ogni cellula siano dotate di una sorta di Gps molecolare (non essendoci i GPS all’epoca Blobel parlò di “codice postale”), costituito da una particolare sequenza di aminoacidi (sequenza segnale), che aiuta le proteine a orientarsi all’interno della cellula e gli permette di raggiungere l’organello bersaglio, dove potranno svolgere il ruolo specifico per il quale sono state prodotte. La sequenza di aminoacidi, in pratica, “ordina” ai recettori posti sulle membrane di aprire i canali proteici e permettere il passaggio della proteina alla quale è legata. La validità della signal hypothesis è stata dimostrata per tutti i tipi di cellule, animali e vegetali, eucariote e procariote. La scoperta di Blobel è ritenuta da molti un passo fondamentale verso la cura di malattie genetiche quali fibrosi cistica, morbo di Alzheimer, leucemia, AIDS e diverse forme di cancro.
Nato nel 1939 nella cittadina tedesca di Waltersdorf, oggi in Polonia, Blobel fu costretto nel 1945, a causa dell’avanzata dell’Armata rossa, a rifugiarsi con la famiglia nella campagna a pochi chilometri da Dresda. È lo stesso Blobel a raccontare la fuga: “Attraversando Dresda, ancora ricordo i tanti palazzi, riccamente decorati con cherubini e altri simboli barocchi. La città mi fece un’impressione indelebile”. Di lì a pochi giorni la città-gioiello di Dresda venne rasa al suolo dai bombardamenti e Blobel osservò la devastazione in lontananza: “Il bombardamento fu così sfolgorante che si sarebbe potuto leggere il giornale alla luce rossa del cielo. Quello fu per me un giorno indimenticabile e molto triste”. Sempre in quei giorni Blobel perse in un bombardamento la sorella diciannovenne Ruth.
Dopo la guerra Blobel si spostò con la famiglia in Sassonia, allora Germania comunista, dove al termine degli studi superiori gli venne impedito di iscriversi all’università in quanto proveniente da una famiglia ritenuta “capitalista”. Spostatosi nella porzione occidentale del paese cominciò la sua formazione scientifica a Francoforte per poi perfezionarsi all’Università di Tubinga e, successivamente, partire per gli Stati Uniti. Nel 1967, terminato il dottorato in oncologia, iniziò a lavorare alla Rockfeller University di New York, dove condusse tutta la sua lunga carriera.
Günter Blobel non verrà ricordato solo per gli studi che gli valsero il Nobel. Nel 1999 decise di devolvere l’intera somma assegnatagli con il premio (960 mila dollari) a un’associazione da lui fondata nel 1994, gli Amici di Dresda, con lo scopo di riportare la città alla magnificenza che la caratterizzava prima del devastante bombardamento. In particolare la sua donazione servì al restauro della meravigliosa Frauenkirche, la chiesa simbolo di Dresda, e alla costruzione della nuova sinagoga completamente distrutta nel 1938, durante la famigerata “notte dei cristalli”. “È stato uno dei più grandi piaceri di tutta la mia vita donare l’intera somma del premio Nobel, in memoria di mia sorella Ruth, alla ricostruzione di Dresda. Ho realizzato un sogno che avevo fin da bambino”, recita una nota autobiografica dello scienziato tedesco naturalizzato americano.
In realtà una piccola parte della somma vinta con il Nobel non andò alla ricostruzione di Dresda ma arrivò in Italia. Qualche migliaio di euro, infatti, furono destinati al restauro della vecchia chiesa barocca di Fubine (Piemonte), dove Günter Blobel era solito trascorrere le sue estati nella casa di famiglia della moglie, Laura Maioglio, sposata nel 1976, titolare dello storico ristorante italiano di Manhattan “Barbetta”.
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