Addio a Oliver Smithies, il premio Nobel che ha reso la genetica una scienza sperimentale
È morto il genetista ideatore di alcune tecniche rivoluzionarie per lo studio del Dna. Aveva 91 anni. Una vita dedicata a combattere le malattie genetiche con due parole d’ordine: impegno e ingegno
Oliver Smithies, genetista britannico naturalizzato statunitense che ha condiviso il premio Nobel per la scoperta della tecnica che permette di studiare il ruolo dei singoli geni in salute e malattia, è morto lo scorso 10 gennaio all’età di 91 anni. Nato il 23 giugno 1925 in Inghilterra, a undici anni rimane affascinato dalle imprese del protagonista di un fumetto che inventa nuovi oggetti partendo da materiali in disuso. Tra quelle pagine si accende in lui il desiderio di diventare un inventore. E sarà proprio la sua innata capacità di partorire instancabilmente nuove idee, cercando una soluzione ai problemi irrisolti pensando a come risolverli, a renderlo, in futuro, un grande scienziato.
Si laurea all’università di Oxford in fisiologia nel 1946 e consegue il dottorato in biochimica cinque anni dopo. La sua carriera di ricercatore inizia in Canada, dove lavora per i Connaught Medical Research Laboratories dell’università di Toronto dal 1953 al 1960. Durante questo periodo mette a punto una tecnica per separare e analizzare macromolecole (Dna, Rna e proteine) sulla base della loro dimensione e carica. Nel protocollo, per la prima volta, viene utilizzato come setaccio molecolare un gel a base di comune fecola di patate. Questa tecnica, nota come “elettroforesi su gel”, è più facile, più economica e più accurata rispetto ai metodi dell’epoca. Grazie alla sua applicazione, Smithies scopre e identifica differenze, precedentemente sconosciute, nelle proteine del sangue di diversi donatori. Il principio si cui si basa è così geniale che è usata ancora oggi in tutti i laboratori di biologia molecolare.
Il riconoscimento universale del suo valore arriva nel 2007, quando gli viene assegnato il premio Nobel per la medicina, condiviso con il britannico Martin J. Evans e l’italiano naturalizzato statunitense Mario R. Capecchi.
I tre scienziati sono premiati per aver messo a punto la tecnica di manipolazione genetica comunemente nota come “gene targeting” (letteralmente “prendere di mira un gene”, traducibile in italiano con “correzione gene-specifica”), che permette di modificare o disattivare singoli geni e ottenere i cosiddetti “topi knock-out” (con un gene messo ko) da utilizzare come modelli di studio delle malattie umane. La perdita di un gene comporta variazioni nell’aspetto e nel comportamento del topo. Lo studio di questi cambiamenti consente di comprendere il ruolo del singolo gene in condizioni fisiologiche o patologiche. La genetica, che in precedenza aveva fatto affidamento in gran parte su studi statistici, diviene così una scienza sperimentale. L’applicazione di questa scoperta ha permesso di compiere molti passi avanti nella lotta contro malattie come l’Alzheimer, il diabete, la fibrosi cistica, malattie cardiache e tumori.
“Io non vado a lavorare ogni giorno; io vado a giocare tutti i giorni. E questo è il mio consiglio per voi ragazzi: trovate qualcosa che vi piaccia fare così tanto da poter dire di non aver mai fatto un giorno di lavoro nella vostra vita”.
Immagine in evidenza: Oliver Smithies, un sorriso del 2009 (Credits: Wikimedia Commons)
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