Dall’analisi del sonno indizi per diagnosticare il morbo di Alzheimer
Uno studio coordinato da ricercatori Sapienza ha evidenziato per la prima volta differenze specifiche nell’attività cerebrale durante il sonno, che consentono di discriminare la malattia di Alzheimer dal decadimento cognitivo lieve (Mci)
di Matteo Proietti
Che esistesse una relazione tra la malattia di Alzheimer e le caratteristiche del sonno era cosa ben nota, così come si sapeva che tale relazione non si limitava ai disturbi del sonno riscontrati in questi pazienti. Ciò che ancora mancava, tuttavia, era uno studio che descrivesse più quantitativamente il fenomeno, evidenziando le alterazioni elettroencefalografiche (Eeg) del sonno nei malati di Alzheimer, e la loro relazione con le stesse alterazioni durante lo stato di veglia. Un nuovo studio, condotto da ricercatori Sapienza e dell’IRCCS San Raffaele Roma, in collaborazione con l’IRCCS Fondazione Policlinico Universitario Gemelli e dell’Università dell’Aquila ha centrato proprio questo obiettivo, consentendo così di discriminare tra la malattia di Alzheimer, il decadimento cognitivo lieve (Mci) e gli anziani sani.
A livello diagnostico, infatti, saper discriminare se un paziente è affetto da Alzheimer o da decadimento cognitivo lieve è cosa assai rilevante. Pur rappresentando entrambe alterazioni nelle abilità cognitive inusuali per l’età, i pazienti affetti da decadimento cognitivo lieve possiedono un maggior livello di indipendenza. Al contrario dei malati di Alzheimer, che presentano un deficit cognitivo globale, le persone con Mci possono avere solo un’area di difficoltà di pensiero (in genere la memoria) che tuttavia consente loro di svolgere attività quotidiane o di mantenere un lavoro.
Lo studio coordinato dai ricercatori Sapienza compie un importante passo rispetto a quanto già si sapeva sui disturbi del sonno nei malati di Alzheimer: non soltanto le alterazioni del sonno sembrano costituire un fattore di rischio, ma un buon sonno svolge un ruolo centrale nell’eliminazione dei metaboliti “cattivi” della proteina b-amiloide, proteina responsabile della rapida cancellazione dei ricordi acquisiti durante il periodo di veglia. Fu proprio questa l’idea di base dalla quale i ricercatori, più di dieci anni fa, partirono per realizzare lo studio: verificare se esistessero specifiche alterazioni nel sonno di questi pazienti e se queste presentassero una relazione con quelle già note durante la veglia.
I risultati della ricerca, pubblicata sulla rivista open access di Science (iScience), confermano quanto ipotizzato dai ricercatori all’inizio dello studio. Il primo e più importante risultato osservato è che in entrambi i gruppi clinici (Alzheimer e Mci) si evidenzia un rallentamento dei ritmi cerebrali nel sonno Rem (quello in cui si sogna) paragonabile a quello già descritto in veglia. Secondariamente si è visto come questo fenomeno è direttamente correlato al decadimento cognitivo dei pazienti. Sempre in entrambi i gruppi clinici è stata riscontrata una drastica diminuzione nell’attività sigma del sonno Nrem, quella fase del sonno in cui non sono presenti movimenti rapidi oculari e in cui si passa progressivamente al sonno profondo. In ultimo, i ricercatori hanno osservato una consistente riduzione della funzione del sonno nel consentire processi di recupero cerebrale conseguenti alle attività di veglia.
Grazie ai risultati conseguiti, nuovi orizzonti si aprono circa specifici trattamenti delle alterazioni del sonno: non soltanto nei soggetti anziani o in quelli affetti da Alzheimer, ma soprattutto nel caso del decadimento cognitivo lieve, che in molti casi rappresenta l’anticamera dell’Alzheimer stesso.
Fonte immagini: pixabay
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