biopotenziamento morale
Biopotenziamento morale ossia promuovere una moralità più altruista e giusta attraverso la ricerca farmacologica e biomedica
Nell’era contemporanea, i significativi progressi nell’ambito dei potenziamenti biomedici, capaci di apportare notevoli modifiche al livello del cervello e del corpo umano, stanno suscitando un crescente interesse riguardo alla possibilità di attuare un potenziamento bio-tecnologico volto a rendere gli individui moralmente migliori. Questa prospettiva sorge in risposta all’evidente stato di bisogno in cui versa l’umanità nel periodo storico attuale, in cui la sopravvivenza dell’essere umano è seriamente minacciata dai conflitti armati e dalla crisi climatica. Tali risvolti, verificatisi a causa dell’inarrestabile incremento delle capacità cognitive umane, hanno evidenziato un divario notevole, in termini di progresso, tra lo sviluppo tecnologico e le nostre competenze morali.
Dinanzi alle sfide etiche che si delineano con la rapida evoluzione della scienza e della tecnologia, l’individuo si trova privo dei mezzi adeguati ad affrontarle. Le tradizionali pratiche di potenziamento morale, come l’educazione e i meccanismi sociali di cooperazione e socializzazione, non sono state in grado e non lo saranno neanche in futuro, di impedire i disastri prodotti dall’abuso tecnologico. In questo scenario, emerge l’importanza di concepire un progetto finalizzato a promuovere una moralità più altruista e più giusta, al fine di preservare l’umanità di fronte alle attuali minacce globali.
Per conseguire tale scopo, è imprescindibile orientare la ricerca attuale, soprattutto nel settore farmacologico e biomedico, verso nuovi obiettivi. In proposito, da diversi anni, numerosi studi evidenziano come la manipolazione di specifiche componenti biologiche umane possa migliorare alcune capacità morali, come il senso di giustizia, l’altruismo, la fiducia e la cooperazione, e, allo stesso tempo, limitare determinate risposte emotive, quali l’aggressività e l’odio, che sono spesso responsabili di comportamenti immorali. In questo contesto, si conserva principalmente una prospettiva teorica, dato che, ad eccezione di alcune iniziative farmacologiche, attualmente mancano tecnologie per il potenziamento morale, e le prospettive di uno sviluppo futuro in tale settore risultano notevolmente limitate.
Questo concetto è ben chiaro anche a Ingmar Persson e Julian Savulescu, noti sostenitori del potenziamento morale, i quali, tuttavia, negli ultimi anni hanno presentato varie opere di ricerca incentrate sugli interventi farmacologici e sulle loro implicazioni morali sugli individui. In questi studi è dimostrato che l’impiego di specifici farmaci possa essere mirato a modificare i comportamenti e le carenti disposizioni psicologiche derivanti da quella moralità di senso comune che adottiamo quotidianamente all’interno dell’agire. Quest’ultima, essendo influenzata dall’azione di alcuni pregiudizi che operano a livello inconscio, guida il comportamento dell’individuo senza che quest’ultimo possa accorgersene e modificare la sua condotta.
Tra gli atteggiamenti morali ispirati ad una moralità di senso comune possiamo classificare una certa difficoltà nel provare empatia e solidarietà per coloro che non sono nostri consanguinei o che non fanno parte del nostro gruppo di pari. In questo senso l’altro, l’estraneo, il diverso, classificandosi come una potenziale minaccia alla sopravvivenza, non desta in noi sentimenti di preoccupazione e di compassione.
Questi atteggiamenti portano inevitabilmente a sviluppare una certa “miopia” a livello personale che tende ad impedire la cooperazione tra gruppi portando, molto spesso, a discriminazioni di etnia e di genere. Tali conseguenze possono, però, essere mitigate e corrette attraverso l’utilizzo di specifici farmaci. Tra questi, si possono prendere in considerazione i potenziali benefici derivanti dall’utilizzo del propranololo, degli inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina (SSRI) o dell’ormone e neurotrasmettitore ossitocina. Riguardo a quest’ultimo, sussiste un ampio dibattito sui suoi effetti, poiché non è chiaro se esso conduca a conseguenze moralmente qualificabili come miglioramenti o peggioramenti. Sebbene il rilascio di ossitocina all’interno dell’organismo influenzi positivamente la fiducia, la cooperazione, l’empatia e la generosità, livelli troppo elevati potrebbero promuovere comportamenti prosociali limitati al beneficio del proprio gruppo. L’impiego di questo farmaco, pertanto, può comportare considerevoli implicazioni morali, migliorando da un lato il comportamento e le capacità decisionali degli individui coinvolti, ma dall’altro generando notevoli effetti indesiderati. Questo, indubbiamente, dipende da diversi fattori, inclusi gli atteggiamenti preesistenti del soggetto coinvolto e le circostanze in cui il farmaco viene utilizzato.
In questo contesto, è cruciale orientare la ricerca non solo verso il perfezionamento delle tecniche, ma anche alla consapevolezza che gli sforzi farmacologici e biomedici possono risultare inefficaci senza un’adeguata educazione morale di supporto. Ciò porterà, in futuro, all’inevitabile collaborazione tra mezzi tradizionali, farmacologici e biomedici di potenziamento.
All’interno di questo quadro, particolare attenzione dovrà essere data alla problematica sollevata dal bioeticista John Harris, in merito alla questione della limitazione della libertà ad opera del potenziamento morale biotecnologico. Nella sua prospettiva, scegliere di migliorare il proprio senso morale potrebbe avere come effetto collaterale la riduzione dell’essere umano in uno stato di schiavitù, all’interno del quale non sarebbe preservata la possibilità di scegliere tra condotte morali migliori o peggiori, poiché l’azione sarebbe orientata esclusivamente verso la scelta più giusta.
Nonostante le molteplici sfide connesse a questo tema, è probabile che affrontare i gravi problemi umani richiederà soluzioni altrettanto radicali per garantire la sopravvivenza futura dell’umanità.
Vittoria Lauriola, filosofa morale presso il Dipartimento di Filosofia della Sapienza Università di Roma
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