Dalle cellule riprogrammate al primo embrione sintetico

Dalle cellule riprogrammate al primo embrione sintetico

Due studi indipendenti hanno ottenuto il primo blastoide, simile alla blastocisti, stadio iniziale dell’embrione. Un risultato possibile grazie a una scoperta da Nobel che permette alle cellule di “viaggiare nel tempo”

di Caterina Demma

Quante volte abbiamo detto: “Come vorrei tornare indietro!” I viaggi nel tempo avvengono solo nei nostri sogni, nella realtà questo privilegio non ci è concesso. Diverso è il destino delle cellule che possono essere riprogrammate e ritornare “bambine”. Grazie alle cellule riprogrammate sono stati realizzati i primi embrioni sintetici.

In passato i primi modelli in vitro erano costituiti da cellule staminali murine, fino a ora non era stato possibile ottenere blastocisti, cioè lo stadio raggiunto dall’embrione dopo 5 o 6 giorni di sviluppo, simili a quelle umane. Due studi pubblicati su Nature mostrano i progressi chiave che hanno portato a questo risultato.

Nel primo studio, condotto da Leqian Yu dell’Università del Texas; sono state impiegate cellule staminali pluripotenti indotte o cellule staminali embrionali derivanti da blastocisti. Invece, nel secondo studio Xiaodong Liu del Monash University ha utilizzato cellule epiteliali adulte riprogrammate, chiamate fibroblasti, per formare una popolazione cellulare mista.

Le cellule sono state seminate in piastre di coltura 3D e sono state trattate con fattori di crescita necessari per lo sviluppo della blastocisti. In entrambi i casi, vengono descritti per la prima volta blastoidi umani ottenuti dopo 6-8 giorni che hanno una forma simile a quella delle blastocisti. Come è stato possibile? Grazie all’ottimizzazione dei protocolli di coltura e all’utilizzo di cellule in grado di “viaggiare nel tempo”.

Spostiamoci quindi in un passato molto recente, e in particolare nel 2012, quando John Gurdon e Shinya Yamanaka vinsero il Nobel per la Medicina per aver scoperto che le cellule mature possono essere riprogrammate per diventare pluripotenti. Ma facciamo un ulteriore passo indietro: da dove sono partiti i loro studi? Da molto lontano, ci viene da dire. Infatti, nel 1978 Gurdon ha scoperto che una cellula adulta può perdere la sua identità ed essere riprogrammata per specializzarsi in un tipo di cellula completamente diverso.

Gurdon ha iniziato i suoi studi sulla riprogrammazione cellulare negli anni Cinquanta e ha intuito che in particolari condizioni la cellula può ritornare “bambina” anche quando è ormai adulta e specializzata. Ha dimostrato questa sua intuizione con un esperimento in cui ha sostituito il nucleo di una cellula uovo immatura di rana con il nucleo di una cellula intestinale adulta. La cellula uovo si è sviluppata ed è diventata un girino.

Esperimento di John Gurdon
StaR Stoccolmaaroma
Esperimento di John Gurdon

A quarant’anni dalle ricerche di Gurdon, nel 2006, il giapponese Yamanaka ha messo a punto una tecnica che ha permesso di riprogrammare le cellule adulte e già differenziate. Ha utilizzato 24 geni che sono in grado di trasformare la cellula adulta in una cellula “bambina”, chiamata cellula staminale pluripotente indotta o iPS. Questa scoperta ha reso possibili nuove opportunità di diagnosi e cura.

Infatti, anche i primi embrioni umani artificiali rappresentano un decisivo passo avanti e permetteranno di studiare le fasi iniziali dello sviluppo dell’embrione. Grazie a questi studi sarà possibile prevenire episodi di aborto e difetti genetici alla nascita. Inoltre costituiranno un valido aiuto per migliorare le tecnologie di riproduzione assistita. In ogni viaggio, che sia nello spazio o nel tempo come nel nostro caso, non mancano problemi da risolvere; nel caso specifico si tratta di questioni bioetiche. Come possono essere classificati i blastoidi e soprattutto regolamentati da un punto di vista etico? Prima che la ricerca vada avanti sarà necessario trovare le risposte a queste domande. Rigenerati da questo viaggio nel tempo ci auguriamo di poterne fare presto un altro per ritornar bambini grazie alle cellule. Anzi, embrioni!

Immagini: Wikimedia commons