Come nasce un prione?
Uno studio dell’Imperial college di Londra rivela uno dei meccanismi alla base della trasformazione di una nostra proteina in un nemico letale: il prione, scoperto dal premio Nobel S. Prusiner nel 1997
C’era una volta un prione: questo è l’inizio di una brutta storia. Una storia tanto brutta da far spavento, perché racconta delle encefalopatie spongiformi trasmissibili: malattie neurodegenerative contagiose e letali, senza cura e senza spiegazione.
Tutto ha inizio quando la proteina PrPC, normalmente espressa sulla superficie dei neuroni, si trasforma, cambia conformazione e diventa PrPSC: il prione, l’agente eziologico di queste malattie. Il processo e le cause che portano a questa alterazione rimangono ancora oggi per lo più ignoti; per la prima volta però, un gruppo di ricercatori dell’Imperial college di Londra è riuscito a identificare e caratterizzare uno dei meccanismi chiave a monte di questa trasformazione.
Nonostante la struttura della proteina prionica sana e della sua versione patologica siano note, la conformazione intermedia – indizio essenziale del meccanismo di conversione – rimaneva un mistero. Per facilitarne lo studio, il gruppo di ricerca si è concentrato su una variante mutata, ritrovata in una forma di encefalopatia ereditaria particolarmente aggressiva. La forma mutata, infatti, ha una maggiore tendenza a convertirsi in prione e questo ha permesso ai ricercatori di isolare e caratterizzare, con più facilità, questa misteriosa forma intermedia. Tramite tecniche di risonanza magnetica nucleare e analisi computazionali, lo studio della nuova struttura ha evidenziato il ruolo chiave dell’interazione tra due particolari regioni della proteina (S1-H1-S2 e H2-H3). Il distacco di questi due subdomini proteici, altrimenti associati nella proteina sana, è probabilmente il primo passo verso la transizione nella forma patologica ed è stato ritrovato anche in altre forme di PrPSC prioniche.
La maggiore tendenza alla formazione di prioni della variante mutata risiederebbe nell’assenza di una specifica interazione intramolecolare, ovvero nella mancanza di un legame debole tra due amminoacidi interni alla proteina. Tale interazione scomparsa è una dei quattro “guardiani” della corretta conformazione, che normalmente bloccano la proteina in una struttura fissa e corretta. L’assenza di questa interazione invece la rilassa, permettendo il distacco dei due subdomini e il ripiegamento errato nella versione prionica.
Comprendere questo meccanismo è fondamentale per sopprimere i danni causati dai prioni. Infatti, quando la conformazione nativa di PrPC viene modificata nella sua controparte patogenica, inizia ad aggregarsi e a formare placche amiloidi insolubili che si accumulano sia dentro che intorno ai neuroni. Questi depositi causano disfunzione e degenerazione neuronale, creando delle lesioni della sostanza grigia del cervello, il quale assume l’aspetto di una spugna (spongiforme). Tali alterazioni sono accompagnate da una progressiva demenza cognitiva, spesso atassia cerebellare (disturbi del movimento) e, in poco tempo, l’inevitabile morte del paziente. Il crescente peggioramento delle condizioni deriva dalla capacità dei prioni di autopropagarsi e infettare altre cellule. Tramite una reazione a catena, ogni prione fa da stampo a un altro, inducendo il ripiegamento errato di proteine altrimenti sane e accumulandosi esponenzialmente nelle placche.
La formazione degli aggregati amiloidi può essere prevenuta, dunque, impedendo che il prione si generi, prendendo di mira le regioni interessate dai cambiamenti che trainano la trasformazione, impedendo ai subdomini di separsi. In collaborazione con l’università di Zurigo, l’Imperial college ha effettuato un esperimento per provare concettualmente quest’idea. Sono stati sviluppati anticorpi monoclonali in grado di sopprimere con successo la formazione delle placche amiloidi, mantenendo i subdomini in questione adesi e garantendo la stabilità strutturale alla proteina sana.
Queste scoperte danno forse una svolta alla trama della nostra storia e fanno sperare per un ancora lontano ma possibile lieto fine.
Credit immagine in evidenza: {Wikimedia Commons}
Commenti recenti