Convergenza evolutiva: non è solo questione di dieta
Un gruppo di ricercatori del Dipartimento di Biologia e Biotecnologie “Charles Darwin” di Sapienza ha pubblicato sulla rivista Evolution uno studio sul fenomeno per cui specie animali diverse finiscono per somigliarsi pur non avendo parentela in comune. È emerso che ciò si verifica a causa di interazioni complesse tra morfologia, ecologia e biomeccanica
Barbara Orrico
Hanno stesso nome, sembianze simili e si nutrono entrambi di bambù, ma sono due specie diverse, non imparentate tra di loro: il panda gigante, che tutti conosciamo, è legato alla famiglia degli orsi mentre il panda rosso, o panda minore, a quella dei procioni. Questi due animali rappresentano il classico esempio di quella che viene definitiva convergenza evolutiva: fenomeno per cui specie differenti, che vivono e si sono adattate ad ambienti simili, evolvono caratteristiche morfologiche e funzionali analoghe che li portano a somigliarsi pur non avendo parentela in comune.
Sul tema, una delle questioni più dibattute tra gli studiosi è legata alla necessità di individuare in modo preciso i tratti maggiormente predisposti a convergere tra le specie e le relative cause. Numerose le ipotesi ancora inesplorate, non solo ecologiche, ma anche comportamentali e filogenetiche. Il fattore che più frequentemente si presume abbia prodotto convergenza morfologica nei carnivori, e più specificamente nel loro complesso cranio-mandibolare, è la dieta.
A fare chiarezza è il gruppo di ricerca del Dipartimento di Biologia e Biotecnologie “Charles Darwin” di Sapienza che, in collaborazione con il Museo di Zoologia dell’Ateneo, l’Università John Moores di Liverpool e l’Università di Napoli Federico II, ha presentato la più importante valutazione quantitativa mai realizzata sulla convergenza evolutiva cranio-mandibolare nell’ordine Carnivora dei mammiferi.
Grazie allo studio, pubblicato sulla rivista Evolution, i ricercatori hanno scoperto che raramente solo l’alimentazione può bastare a rendere somiglianti i tratti fisici di animali appartenenti a famiglie diverse e che entrano in gioco anche fattori come ambiente, fisiologia, abitudini e comportamenti.
“Lo studio ha interessato il gruppo di mammiferi dei Carnivora che oggi include 300 specie diverse, la cui dieta si basa non solo sul consumo di carne, ma anche di vegetali e altro”, spiega a Star Davide Tamagnini, del Dipartimento di Biologia e Biotecnologie Charles Darwin, primo autore dello studio. “Il nostro obiettivo era quello di capire meglio se il fenomeno della convergenza evolutiva fosse frequente in Carnivora come lontre, panda, orsi, foche, felini e tanti altri animali, raccogliendo foto di crani e mandibole e confrontandone la forma”.
I ricercatori hanno avviato due fasi di confronto. Nel primo round hanno raggruppato quasi 200 specie in categorie di dieta, divise tra onnivori, erbivori, insettivori e altro, di taglia diversa, provenienti da habitat e aree geografiche differenti. Nella seconda fase, invece, sono state messe a confronto sia coppie di specie accomunate da somiglianze ecologiche molto strette (dieta, comportamenti, locomozione) ma presenti in zone del mondo diverse (come il procione in America e il cane procione in Asia), sia coppie di animali simili per dieta, habitat e zona geografica ma di taglia diversa (come il panda gigante e il panda rosso o minore).
“I risultati ottenuti vanno a confutare quasi tutti gli studi precedentemente condotti perché ci dicono che nei gruppi vasti, ovvero quelli del primo round di confronti, che includono molteplici specie con la stessa dieta, non vi è stata alcuna convergenza evolutiva: i crani e le mandibole confrontati non sono simili tra loro. Quindi, specie tra loro scarsamente imparentate difficilmente acquisiranno nel tempo una somiglianza fisica solo per uno stimolo derivante dalla dieta”, spiega ancora Tamagnini. “Abbiamo trovato la convergenza, invece, in animali accomunati non solo dal tipo di alimentazione ma anche da altro. È quindi probabile che una somiglianza ecologica più marcata, come quella di avere un habitat simile, sia uno stimolo abbastanza forte da produrre convergenza evolutiva, rendendo tra loro somiglianti animali non imparentati”.
La conclusione a cui è giunto il gruppo di ricerca di Sapienza è che il fenomeno della convergenza, dunque, è meno frequente di quanto atteso e tale risultato è probabilmente dovuto a interazioni complesse tra morfologia, ecologia e biomeccanica. La scoperta potrà aiutare a fare chiarezza, tra le altre cose, nel lavoro dei paleoecologi sullo studio e la ricostruzione delle condizioni ambientali in cui hanno vissuto animali e piante fossili in diverse aree geografiche.
Per la prima volta, inoltre, i confronti tra le specie sono stati realizzati usando tecniche computerizzate (phylogenetic comparative method): una grossa innovazione se si considera che gli studi di convergenza evolutiva fino ad oggi disponibili erano basati su valutazioni soggettive, in gran parte approssimative, che non hanno consentito di comprendere a fondo la frequenza del fenomeno.
Immagine in evidenza: Davide Tamagnini
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