Corano Blue
Arianna D’Ottone, Professoressa associata di Lingua e Letteratura araba presso il Dipartimento “Istituto Italiano di Studi Orientali – ISO” della Sapienza Università di Roma ed esperta di manoscritti, ci racconta la storia dell’arabizzazione e dell’islamizzazione nel continente africano. Ma anche della sua esperienza in Mali e dei manoscritti antichi che ha potuto consultare e che racchiudono informazioni importanti sulla storia di tutti noi
Ci può parlare della cultura arabo-islamica nel continente africano? Come e quando si è diffusa?
Le prime ondate di conquista del Nordafrica in epoca islamica si verificano già alla metà del I/inizio II secolo dell’Egira/AH (metà VII/inizio VIII secolo AD). Una conquista molto rapida, quella dell’Islam, sia verso i territori orientali sia verso il Nordafrica, che si estenderà anche in Spagna (92 AH/AD 711) dove poi si instaurerà l’Emirato Omayyade indipendente (138-316/AD 756-929). Arabizzazione e islamizzazione sono fenomeni diversi ma spesso congiunti, seppur non sempre cronologicamente sincronici, perché l’arabo è la lingua dell’Islam: infatti il Corano si legge e si apprende in arabo, a differenza della Bibbia che invece è stata quasi da subito tradotta in tante e diverse lingue. I processi di arabizzazione e islamizzazione, in Nord Africa, si sono inizialmente confrontati con la presenza di una popolazione di lingua latina, e religione cristiana, o berbera che rappresentavano probabilmente la maggioranza ancora alla fine del III AH/AD IX secolo. Ancora, si consideri che secoli dopo, all’epoca della Settima Crociata anche nota come Crociata di San Luigi (metà XIII secolo), la popolazione cristiana di Tunisi era tutta di origine europea.
Parlando in particolare del continente africano, la diffusione dell’Islam ha avuto una storia un po’ a parte. Per esempio, in Mali dal X secolo si è iniziato a praticare l’Islam, che conviveva allora con altre religioni locali. È solo dalla fine del XVIII-inizio XIX secolo che l’Islam si è diffuso profondamente nel territorio. In questo processo, la struttura del Mali, come ad esempio i mezzi di comunicazione pubblica, ha favorito la diffusione dell’Islam che è così diventata la religione più importante del Paese.
L’arabo nordafricano si differenzia in qualche modo?
Con “arabo nordafricano” si intende, da un punto di vista linguistico, sia l’arabo parlato attualmente nelle regioni nordafricane – Marocco, Algeria, Tunisia, Libia – sia quello parlato nel passato in Andalusia, Sicilia, Malta, Nord dell’Egitto. Questa vasta area geografica, alla quale corrisponde un’ampiezza cronologica relativamente significativa, si caratterizza per la presenza, tra gli altri, di elementi del sostrato berbero che lo distinguono in modo piuttosto netto dall’arabo orientale. Nelle varietà nord-africane vi sono inoltre differenze nella fonologia e morfologia che le caratterizzano e distinguono da altre varietà di arabo.
Lei ha tenuto un corso in Mali. Ci può raccontare come è stato e di cosa si è occupata?
È stata un’esperienza molto bella in collaborazione con MINUSMA (United Nations Multidimensional Integrated Stabilization Mission in Mali, NdR), la missione dell’ONU in Mali, e il Centre for the Study of Manuscript Cultures (CSMC), centro di eccellenza dell’Università di Amburgo. In Mali ho tenuto un corso intensivo di Paleografia araba e Codicologia – materie che insegno alla Sapienza: un corso unico nel suo genere in Italia. Presso l’Institut des hautes études et de recherche islamiques Ahmed Baba abbiamo lavorato sui manoscritti delle biblioteche di Timbuctu che è stato possibile consultare nella biblioteca dell’Institut di Bamako, la capitale del Mali. Il corso era destinato a formare i formatori, quindi rivolto a persone adulte – tra cui il direttore della biblioteca – che avevano conoscenze pregresse, con l’intento di insegnare loro a dare un nuovo sguardo ai manoscritti e a come poterli studiare da un punto di vista scientifico. Lo studio paleografico dei manoscritti arabi richiede uno sguardo che vada al di là della bellezza – pur innegabile – della tradizione calligrafica, al fine di comprendere le caratteristiche della scrittura e inserirle in un contesto storico e culturale ampio. Inoltre, per esempio nei manoscritti, abbiamo posto l’attenzione sull’analisi della carta e su come essa si descrive. Numerose sono state le filigrane europee, e specialmente italiane, che abbiamo incontrato tra i fogli dei manoscritti maliani. La maggior parte dei quali tramanda testi in lingua e scrittura araba; tuttavia, alcuni erano in scrittura araba ma in lingue africane. Quindi per leggerli non è sufficiente conoscere l’arabo, ma è necessario conoscere l’alfabeto arabo e la lingua (ovvero: le lingue) local-e/i. Questi manoscritti, definiti ʿajamī, sono casi di allografia nei quali l’alfabeto arabo è impiegato per scrivere delle lingue africane e richiedono competenze linguistiche specifiche (https://www.csmc.uni-hamburg.de/ajami-lab/manuscripts.html)
Dove si trovano altri manoscritti importanti?
Le biblioteche e i musei del Nordafrica ne conservano tanti. Uno molto importante, il cosiddetto Corano blu, è conservato, nel suo nucleo più consistente, a Kairouan, in Tunisia (fogli singoli di questo prezioso codice sono attualmente in varie collezioni europee ed extra-europee). Si tratta di una testimonianza dell’Islam in Nordafrica, anche se probabilmente è arrivato a Kairouan in tempi antichi e non è stato prodotto lì. Gli studiosi si sono molto interrogati sulla scelta e il significato del colore- blu indaco intenso – e sull’origine del manoscritto. È un Corano che ha inoltre influenzato la produzione manoscritta occidentale: esiste infatti una famosa Bibbia, conservata in una biblioteca di Cava de’ Tirreni, contenente fogli blu ricavati probabilmente da quello che era rimasto della produzione del Corano blu come ho avuto modo di suggerire in una conferenza all’università di Lille l’anno scorso.
Tutto è connesso: la storia, le migrazioni passate, presenti e future ce lo suggeriscono. Cosa ne pensa?
Direi proprio che è così. E questo rappresenta una nota dolente in Italia, che sembra non riuscire a valorizzare la ricchezza di un passato multilingue, multigrafico e multireligioso. Le frontiere, specialmente quelle culturali – per non dire disciplinari, accademiche – ci sono oggi proprio dove meno le si aspetta, e certo non fanno bene alla ricerca. Subito dopo l’Unità si è cercato di includere il passato arabo-islamico nella storia del paese: penso per esempio al contributo – ma altri se ne potrebbero citare – dell’orientalista Ignazio Guidi nel primo volume dell’Archivio della Regia Società romana di Storia Patria1 (1878), intitolato: La descrizione di Roma nei geografi arabi. In fondo, se uno pensa alla Sicilia, alla Calabria, alla Puglia, ma anche al Lazio, al Veneto e alla Lombardia, abbiamo tantissime collezioni arabo-islamiche conservate in istituzioni pubbliche. Tuttavia, da un certo punto in poi qualcosa è cambiato. In Italia si è preferito a livello storico e storiografico identificarsi con delle ascendenze nordiche, i Normanni, e con un’eredità giudeo-cristiana, dimenticando il nostro passato arabo-islamico.
C’è una componente di bellezza che si mantiene la scrittura araba rispetto alla nostra?
In Italia la calligrafia, la bella scrittura, non si insegna più dagli anni ‘50. Quindi è chiaro che c’è una perdita di bellezza della scrittura. Nel mondo arabo l’arte calligrafica è ancora ben radicata nelle società e valica i confini linguistici del mondo arabo per essere apprezzata – talora come simbolo – anche da non arabofoni.
Quando nasce l’interesse della Sapienza verso le civiltà dell’Asia e dell’Africa?
Nasce dalla costituzione della Scuola Orientale agli inizi del Novecento – 1903/1904 – prima di tutta una serie di interessi coloniali. Questa era una scuola molto importante, fra le cui personalità ricordo Celestino Schiaparelli, il primo Professore di arabo della Sapienza dopo l’Unità d’Italia. Ha preso la cattedra nel 1878 ed ha insegnato fino al 1916. A Celestino Schiaparelli dobbiamo l’edizione dei versi arabi del poeta siciliano Ibn Hamdīs (1897) e la pubblicazione dell’importante lessico arabo-latino noto come: Vocabulista in arabico. Schiaparelli è un cognome legato a una famiglia che ha fatto tante cose. Il cugino Ernesto Schiaparelli è il fondatore del Museo Egizio di Torino ed egittologo noto per aver scoperto tra le altre la tomba di Nefertari; il fratello di Celestino, Giovanni Schiaparelli, è colui che ha individuato le macchie rosse su Marte e a cui è stato dedicato l’Osservatorio astronomico di Milano. E infine mi piace ricordare la figlia di Celestino, Elsa Schiaparelli, stilista di grande fama – che ha collaborato per le sue creazioni con Salvator Dal. La Maison Schiaparelli si trova oggi a place Vendôme, a Parigi.
Che libro o film consiglierebbe sul tema arabo?
Personalmente, ho apprezzato Caramel, una commedia sulle donne di una regista libanese, Nadine Labaki, che è stata molto premiata in Francia, perché trovo che abbia uno sguardo sulle donne molto interessante, senza confini. Ma non posso non menzionare l’italiano: Il Consiglio d’Egitto, ispirato dall’omonimo romanzo di Leonardo Sciascia, che racconta le vicende dell’abate maltese Giuseppe Vella: geniale falsario di manoscritti e monete. Per curiosità, perché ispirato ad un testo (una riḥla: racconto di viaggio) arabo medievale, segnalo The 13th Warrior – in italiano: Mangiatori di morte che traduce il titolo del romanzo di M. Crichton: Eaters of the Dead: The manuscript of Ibn Fadlan Relating His Experiences in the Northmen in A.D. 922. I contatti tra mondo arabo e Nord Europa – per il tramite dei Bulgari del Volga e dei Khazari – sono attestate dai tesori vichinghi che contengono più del 90% del gettito delle zecche orientali del mondo arabo-islamico.
Per quanto riguarda la lettura, il libro dal titolo inglese Among Arabic Manuscripts, ma originariamente in russo, dello studioso Ignatij Kračkovskij (1883-1951) è un libro senza tempo perché racconta degli scenari di ricerca e di studio che continuano a essere suggestivi e legati mutatis mutandis alla mia personale esperienza di lavoro e ricerca in biblioteche e musei.
Arianna D’Ottone, Professoressa associata di Lingua e Letteratura araba presso il Dipartimento “Istituto Italiano di Studi Orientali – ISO” della Sapienza Università di Roma
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