Cosa pensare di noi
Cosa penseranno di noi i nove scienziati che verranno a conoscere, dal punto di vista scientifico, il Dipartimento di Biologia e Biotecnologie “Charles Darwin”? Intanto gli abbiamo chiesto delle loro scoperte e degli elementi necessari per fare la migliore scienza.
con Javier Pizarro-Cerda, Paola Bovolenta, Witold Filipowicz, Cornelius Gross, Josef Settele, Thomas Kaufman, George Coupland, Chris I. De Zeeuw e Jane Parker
di Mattia La Torre e Diego Parini
Nove ricercatori, nove ambiti di ricerca diversi, Università e Istituti di ricerca da tutto il mondo: Francia, Spagna, Svizzera, Germania, America, Italia, Inghilterra, Olanda. Abbiamo chiesto, in occasione della site visit del Dipartimento di Biologia e Biotecnologie “Charles Darwin”, qual è stata la loro scoperta più entusiasmante e cosa serve per fare la migliore scienza.
Qual è la scoperta più emozionante della sua carriera?
Bovolenta: Difficile sceglierne una, ma da un punto di vista emotivo, è stata sicuramente la scoperta che una proteina sulla quale stavamo lavorando, coinvolta nello sviluppo dell’occhio, fosse anche implicata nella patologia dell’Alzheimer. Avevamo formulato un’ipotesi e quando abbiamo avuto i primi risultati sperimentali è stato un momento emozionante. Lavorare su un’ipotesi e trovare un riscontro nei dati è sempre emozionante, ma, in quel caso e per la prima volta nella mia carriera scientifica, ho sentito che potevo fare qualcosa per gli altri. E più vado avanti più questo desiderio diventa impellente.
Coupland: Questa è una domanda difficile! Insieme al mio gruppo di ricerca, studiamo i meccanismi che regolano lo sviluppo delle piante, dal seme all’individuo adulto. Sapevamo che l’ambiente fosse importante, le piante infatti rilevano e rispondono costantemente ai segnali che provengono dall’esterno. Noi ci siamo concentrati sugli stimoli stagionali e il processo della fioritura. Come le piante percepiscono la differenza tra un lungo giorno di primavera e un breve giorno d’inverno. Abbiamo scoperto che la fioritura viene attivata nelle foglie. Queste sono in grado di rilevare la lunghezza del giorno, attivando al loro interno una cascata di segnalazione che porta poi alla fioritura. Questa, probabilmente, è la nostra scoperta più nota.
De Zeeuw: Oh wow! Questa è difficile perché ce ne sono state diverse, direi che almeno ogni due anni capita di fare una scoperta per la quale mi emoziono. Tuttavia, la mia prima scoperta è stata la più eccitante. Avevo appena iniziato il dottorato di ricerca. In pochi mesi abbiamo sviluppato una tecnologia innovativa in grado di rivelare contemporaneamente il neurotrasmettitore e la fibra neuronale dalla quale questo viene rilasciato. È stata una esperienza intensa soprattutto perché avevo appena iniziato il dottorato e non sapevo cosa mi aspettasse. È stata anche molto importante perché ha permesso di rivelare le connessioni neuronali nel cervello. Dopo questa iniziale scoperta, abbiamo esplorati altri campi – fisiologia, elettrofisiologia e studi comportamentali. Attualmente lavoro sul cervelletto. Abbiamo scoperto come è possibile acquisire nuove capacità motorie grazie a questo “piccolo cervello” che si trova nella parte posteriore del cervello. Chi gioca a tennis, suona, danza, o abbia una qualsiasi abilità motoria, usa il suo cervelletto per imparare a farlo!
Filipowicz: Ho lavorato in molti campi di ricerca – enzimologia dell’RNA, splicing, trascrizione, piccoli RNA – quindi avrei difficoltà a scegliere solo una scoperta. Ma posso restringere il mio entusiasmo descrivendone brevemente tre ottenute in tre diversi campi. La prima risale agli anni Ottanta, quando abbiamo scoperto nel lievito le ligasi coinvolti nel meccanismo della RNA ligation, nello splicing dell’RNA transfer (tRNA). È stato un lavoro entusiasmante perché abbiamo descritto un nuovo tipo di legame fosfodiestere. Successivamente, estendendo questi studi alle cellule delle piante e quelle dei mammiferi, abbiamo capito che i meccanismi molecolari sono diversi nei diversi regni. Queste scoperte risalgono alla mia attività di ricerca fatta in Polonia – ndr Filipowicz è di origine polacca. Quando mi sono trasferito in Svizzera, dove attualmente lavoro, circa 34 anni fa, ho iniziato a lavorare sulla trascrizione. Una scoperta davvero inaspettata è stata l’aver identificato la specificità di legame dei promotori delle polimerasi Pol II e Pol III nelle piante. L’unica distinzione tra i promotori riconosciuti da Pol II o Pol III è una differenza di un giro di elica del DNAin uno spazio compreso fra due elementi identici, per cui inserendo o eliminando un solo giro di elica si può cambiare la specificità verso una delle due polimerasi. Abbiamo anche scoperto che questa differenza è frutto dell’evoluzione. L’ultima scoperta, la più recente, è legata ad una delle decisioni cruciali della mia vita che ho fatto circa 20 anni fa, ovvero iniziare a lavorare sull’interferenza a RNA e sui micro-RNA (miRNA). Abbiamo fatto importanti scoperte sul meccanismo di scissione dell’RNA a doppio filamento operato dalla proteina DICER. Abbiamo definito qual è il meccanismo della repressione della traduzione, e inoltre abbiamo scoperto che nel cervello il turnover dei miRNA è molto più veloce che in altri tessuti. Tutte queste scoperte sono state ottenute quasi per caso … mi piacciono sempre queste scoperte inaspettate … perché se sei preparato per quello che scoprirai, o se vuoi scoprire qualcosa di specifico, non ti imbatterai in qualcosa di veramente interessante.
Gross: Questa è una buona domanda, ovviamente ci sono diverse scoperte che mi hanno entusiasmato. Ma la scoperta che è stata più sorprendente ed è stata accompagnata da molta eccitazione riguarda la microglia. Le cellule della microglia sono cellule non neuronali, che durante lo sviluppo migrano per stabilirsi nel cervello. Sono le uniche cellule nel cervello che sono sempre in movimento. Quello che abbiamo scoperto è che hanno un ruolo nel processo di fagocitosi, nell’eliminazione e modificazione delle sinapsi. Questa era già un’ipotesi di cui si discuteva nell’ambiente scientifico, ma non c’erano ancora i dati. Noi volevamo manipolare i neuroni, e nessuno aveva manipolato la microglia per ottenere un effetto sui neuroni. Era un progetto seguito da una dottoranda molto brava, non il suo progetto principale, anzi avevamo anche qualche dubbio sul successo.Ma quando abbiamo tolto un recettore sulla microglia e abbiamo visto che c’era un effetto secondario sui neuroni è stato molto entusiasmante. Ovviamente è diventato il suo progetto principale.
Kaufman: Ne ho in mente due. La prima risale agli anni Ottanta, quando il mio “padre accademico”, Edward Lewis – che vinse il premio Nobel per la medicina nel 1995 – lavorava sul complesso bithorax, che controlla l’identità delle strutture nella parte posteriore della mosca (D. melanogaster). Quei geni che nelle mosche mutanti trasformano i bilancieri in ali o generano gambe sull’addome. In quel periodo ero concentrato sulla genetica e sulla biologia dello sviluppo delle mosche, e ho scoperto che esiste un altro complesso, antennapedia, che controlla l’identità segmentale nella metà anteriore della mosca. Uno dei geni più importanti di quel complesso è antennapedia la cui mutazione trasforma le antenne sulla testa della mosca in zampe. Un altro gene del complesso, proboscopedia, nel cui mutante la proboscide, parte della bocca della mosca, si trasforma in gambe. Ricordo quella giornata di laboratorio: ero tutto solo e avevo fatto gli incroci e segnato le mosche. Improvvisamente mi sono reso conto che c’era un gruppo di geni che funzionava, come bithorax, nella parte anteriore dell’animale. Mi sono emozionato molto e ho iniziato a saltare in giro. Poi ho chiamato un collega Rob Denell, eravamo studenti insieme, e ci siamo proposti di fare una grande analisi genetica del complesso dell’antennapedia. Ci sono pochi momenti nella carriera scientifica in cui realizzi di aver fatto una scoperta importante, e quando ne ottieni uno dovresti goderne. Ricordo, era come se avessi assunto droga, ero così eccitato… L’altra scoperta è stata conseguenza della prima: abbiamo clonato i geni nel complesso antennapedia. Con l’analisi di quei geni abbiamo scoperto che c’era una sequenza di DNA in ognuna nelle parti codificanti delle proteine dei geni omeotici nel complesso antennapedia che è conservato tra tutti i geni omeotici. Alcuni postdoc del laboratorio di Walter Gehring a Basilea, quasi nello stesso periodo, sono arrivati alle stesse conclusioni. È stato piuttosto eccitante, perché abbiamo anche scoperto che la sequenza è conservata in tutti i regni animali. Penso che la scoperta del complesso omeotico e dell’omeobox, abbiano causato una “evoluzione” piuttosto significativa nella nostra comprensione dell’evoluzione. Poiché si scoprì che l’evoluzione non è l’invenzione di nuovi geni, ma è la ri-orchestrazione dello stesso insieme di geni.
Parker: “Gosh” (ndr Perbacco). Molto probabilmente le scoperte più interessanti nelle quali siamo stati coinvolti riguardano la definizione della struttura di alcune proteine o complessi. La prima è stata la struttura di un complesso essenziale per le vie di segnalazione dell’immunità delle piante, che ha gettato le basi per la comprensione dei meccanismi dell’immunità innata delle piante. Era il 2013 ed era il complesso EDS1/SAG101-PAD4 che abbiamo risolto insieme a un collega dell’Università di Colonia Karsten Niefind. La seconda è racchiusa in due lavori che abbiamo appena pubblicato insieme al gruppo di Jijie Chai, superbo chimico strutturale delle proteine. Combinando le analisi strutturali di Jijie alla nostra controparte genetica, abbiamo identificato dei piccoli messaggeri secondari che connettono i recettori che riconoscono le molecole patogene alla via di segnalazione a valle nell’immunità delle piante. La chimica strutturale è fondamentale per comprendere i dadi e i bulloni di un sistema e il lavoro strutturale di Jijie, l’ha mostrato in modo così squisito che sono ancora entusiasta.
Pizarro-Cerda: Mi occupo di microbiologia dei patogeni e l’interazione immunologica dei patogeni batterici con le cellule. Una scoperta che mi piace raccontare riguarda un progetto in cui avevamo una nostra ipotesi costruita sulla base delle conoscenze che avevamo. Stavamo studiando una molecola di un batterio, Listeria monocytogenes, già descritta come emolizzante, ovvero in grado di rompere le cellule ospiti, specifica della Listeria più patogenica. Stavamo cercando di capire perché questi batteri fossero così patogenici e il ruolo di questa molecola. Quindi abbiamo iniziato a lavorare sull’interazione batteri-cellule e non vedevamo alcun fenotipo. Niente funzionava e per mesi ci siamo detti: “cosa sta succedendo nel nostro esperimento? Niente funziona”. Dopo di che, ci siamo resi conto che questa molecola forse apparteneva a una famiglia di antibiotici. E ci siamo chiesti se questa molecola avesse una funzione non di emolisi, se fosse invece importante per l’interazione tra i batteri. Quindi, abbiamo accettato che dovevamo cambiare ipotesi e guardare verso altre direzioni. Da lì in poi, tutto ha iniziato a funzionare. Alla fine, abbiamo scoperto che questa molecola era principalmente un antibiotico in grado di modulare il microbiota. Solo la popolazione di Listeria che secerne questa molecola è in grado di creare spazio nel microbiota e di attraversare la barriera intestinale generando un’infezione critica.
Mi piace molto questa storia, perché è come credo sia necessario affrontare la scienza. Devi essere aperto e umile, ascoltare cosa ti stanno dicendo i tuoi risultati e non insistere sul voler confermare la tua ipotesi. Devi ammettere che puoi sbagliare. Questo può portarti verso nuove entusiasmanti direzioni.
Settele: Oh!La scoperta più eccitante è stata probabilmente l’apparizione di una specie di farfalla apparentemente rara proprio dietro l’angolo, nel luogo dove vivevo. L’ho scoperto a 25 anni, era sempre stata lì e non l’avevo mai vista. L’averla trovata poi in quel particolare luogo, un ambiente piuttosto noioso vicino all’aeroporto, è stata di per sé una scoperta. Non proprio un’area in cui ti aspetteresti una conservazione naturale. Una scoperta entusiasmante e, tra le altre, ormai da decenni studio anche questa specie.
Secondo lei qual è la ricetta per ottenere la migliore scienza?
Bovolenta: Ci vuole dedizione, passione e un buon gruppo di ricerca multidisciplinare. Per esempio, un gruppo composto da matematici, fisici e chimici oppure da chimici e biologi o da biologi e medici. Senza dubbio, purtroppo, la nota dolente sono sempre i soldi. Non si può fare buona ricerca senza una buona infrastruttura, senza le tecnologie all’avanguardia, e per questo sono necessari investimenti. Soprattutto in questo momento credo che un’altra cosa molto importante sia saper trasmettere ai più giovani l’importanza della ricerca, l’importanza di dedicarsi alla ricerca. Io sono ormai tanti anni che mi dedico alla ricerca di base e noto come sia sempre più difficile coinvolgere i più giovani in questa professione. Sempre meno studenti vedono la ricerca come sbocco professionale.
Coupland: In biologia devi selezionare una materia interessante. Perché in biologia si possono fare molte cose, ma alcune sono biologicamente più interessanti di altre. In qualche modo devi selezionare un problema che ti motiva e che può anche interessare molte persone. Poi servono bravi colleghi, e inoltre il problema deve essere risolvibile. Hai bisogno che quel problema sia interessante ma trattabile. In biologia ci sono molti argomenti interessanti e importanti, ma se non hai la tecnologia o i metodi per risolverli allora non puoi fare progressi. L’arte sta nell’individuare un problema interessante che è, in quel momento, risolvibile.
De Zeeuw: Essere curiosi. È sufficiente porsi semplici domande: come appare il cervello? Come funziona? Com’è che riesco a dormire e perché dormo? Com’è possibile che guardando il tuo viso per la prima volta riesco a imprimerlo, in pochi secondi, nella memoria, in modo tale che rincontrandoti domani saprei riconoscerti? È incredibile quanto velocemente possiamo acquisire informazioni, quanto efficientemente possiamo elaborarle e quanto bene possiamo usarle. Il bello del cervello è che puoi fare tantissime cose con un solo organo: imparare a suonare il violino, camminare, coordinare la respirazione, parlare… tutte queste cose in un chilo e mezzo di gel nel tuo cranio, è sbalorditivo.
Filipowicz: È molto importante seguire l’intuizione o la serendipità, perché se ti attenessi scrupolosamente a una specifica area potresti perderti molte cose. La scienza che fai, quella che trovi più eccitante, è una missione, è un hobby. Ho sempre sostenuto che faccio il mio lavoro per hobby, un hobby per il quale vengo anche pagato – un accordo fantastico. Ci sono due tipi di scienziati. Uno comprende quegli scienziati che dedicano la loro intera vita scientifica a una singola proteina o a un singolo enzima, e vanno sempre più in profondità, e capiscono il meccanismo dei singoli amminoacidi. Io non potrei lavorare in questo modo, di solito mi annoio dopo cinque o dieci anni con qualcosa che sto studiando da troppo tempo. Trovo anche un vero piacere leggere di una nuova area, perché in questo modo ne posso avere una visione originale. Alcuni ritengono che cambiare argomento troppo spesso sia sbagliato perché in questo modo non si può diventare famosi associando il tuo nome a una reazione o a un problema specifico. Ma a me non interessa, ho sempre bisogno di nuovi stimoli. Questo è ciò che credo: dovresti seguire il tuo intuito e avere il coraggio di cambiare argomento quando senti che è arrivato il momento.
Gross: Una cosa molto importante, che si impara nel tempo, è dubitare del risultato dell’esperimento, perché di solito non è quello che ti aspettavi. Gli scienziati più bravi sono quelli che mettono in dubbio i risultati: quando vedono qualcosa di anomalo, si chiedono il perché. Il 90 per cento degli esperimenti falliscono perché non trovi niente, non c’è il segnale, il segnale è sporco, ma un bravo scienziato riesce a vedere qualcosa anche in questi risultati sbagliati. Devi essere persistente, devi sempre metterti in dubbio, avere la voglia e la curiosità di ottenere una risposta, perché è certamente più facile mettere da parte un esperimento e rifarlo o addirittura smettere con quell’approccio. Devi porti domande ed essere aperto a nuove spiegazioni. Questo è difficile perché c’è una conoscenza generale abbastanza condivisa, ma c’è bisogno di qualcuno che sia sempre pronto a vedere le cose in modo diverso.
Kaufman: Devi lavorare sodo. Devi leggere la letteratura, avere buoni colleghi e buoni collaboratori, non puoi fare tutto da solo. Isaac Newton lavorava da solo in campagna, ma non siamo tutti così brillanti. È sempre proficuo avere buoni colleghi e buoni studenti. La scienza è uno sforzo collaborativo, soprattutto al giorno d’oggi, perché non puoi fare tutto da solo. La tecnologia è sempre più complessa, devi collaborare con ingegneri, chimici… La bioinformatica è diventata molto importante.
Parker: Penso che la ricerca scientifica sia cambiata molto da quando ho iniziato. Prima, potevi forse sentirti realizzato senza confrontarti con altri colleghi. Ora, penso sia quasi impossibile senza collaborazione e la collaborazione rende tutto più interessante. Ad esempio, nel nostro lavoro, sono un genetista, eseguo dissezioni genetiche, creo mutanti e osservo i fenotipi, ma combinarli con la chimica strutturale ha un enorme valore aggiunto. È fondamentale essere aperti a nuove collaborazioni, soprattutto se c’è qualcosa in particolare che non si può fare da soli.
Pizarro: Gli ingredienti sono molti: anzitutto, la qualità dei ricercatori e quella della loro interazione nel gruppo di lavoro. La scienza è infatti un lavoro di squadra portato avanti da molti ricercatori in un laboratorio all’interno di un dipartimento di un’università, e spesso con colleghi che lavorano all’estero. La qualità dell’interazione nel team è quindi una questione fondamentale. Questa interazione, basata su una comunicazione aperta, deve avere come obiettivo quello di costruire insieme un progetto, non di competere. L’ambiente dove si fa ricerca, poi, per esempio istituzioni come la Sapienza, dove si respira un ottimo clima per lavorare, è fondamentale per fare scienza. Nel mio caso, lavoro all’istituto Pasteur di Parigi, e devo dire che è anch’esso un ottimo ambiente per fare scienza. Qui ci sono molte possibilità di interazione con persone di diversa estrazione; quindi, posso confrontarmi molto spesso con i miei colleghi di biologia cellulare, oppure con chi si occupa di biofisica, chimica, matematica. È fantastico poter sviluppare la propria ricerca in collaborazione con team complementari provenienti da un ambiente multidisciplinare.
Settele: Prima di tutto l’entusiasmo, è fondamentale. Poi la continuità e la credibilità: credere in cose credibili. Quest’ultimo aspetto è qualcosa di molto importante perché ti permette di distinguere i fatti reali dalle fake news e tutto questo genere di cose. Bisogna studiare molto per capire la differenza tra realtà e finzione. Inoltre, anche avere molta pazienza è importante, ma l’entusiasmo è fondamentale: se non amate il vostro oggetto di studio sarà difficile andare avanti e ottenere risultati.
Paola Bovolenta, Neurobiologa e Direttore del Development and Differentiation Department at the Center for Molecular Biology Severo Ochoa, CSIC-UAM di Madrid, Spagna
George Coupland, Botanico e Direttore del Max Planck Institute for Plant Breeding Research di Colonia, Germania
Chris I. De Zeeuw, Medico e Direttore del Dipartimento di Neuroscienze presso il Erasmus University Medical Center di Rotterdam, Olanda
Witold Filipowicz, Biochimico presso il Friedrich Miescher Institute for Biomedical Research di Basilea, Svizzera
Cornelius Gross, Biologo e Direttore ad interim del European Molecular Biology Laboratory (EMBL) di Roma, Italia
Thomas Kaufman, Genetista presso l’Indiana University, Stati Uniti
Jane Parker, Botanica presso il Department of Plant Microbe Interactions of Max Planck Institute for Plant Breeding Research di Colonia, Germania
Javier Pizarro-Cerda, Immunologo e Direttore del Yersinia Research Unit del Department of Microbiology dell’Institut Pasteur di Parigi, Francia
Josef Settele, Biologo e Direttore del Department of Conservation Biology and Social-Ecological Systems Helmholtz-Centre for Environmental Research di Lipsia, Germania
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