Daniela Bargellini Rhodes

Daniela Bargellini Rhodes

di Emilio Giovenale   
Dalla storia della vita di Daniela Rhodes si potrebbe ricavare un film! Ma soprattutto dai suoi racconti, così come ce li ha esposti lei durante una lunga intervista sul suo lavoro e sul premio WLA recentemente assegnatole, si potrebbero ricavare degli insegnamenti utili per migliorare il mondo in cui viviamo.

Le origini italiane

Daniela Rhodes nasce nel 1946, col cognome Bargellini, in un paesino di poche centinaia di anime, sulle montagne vicino Pistoia. È una figlia del dopoguerra, e ha un papà partigiano che ha combattuto sui monti. Ci racconta di aver trascorso la sua infanzia in Italia, fino alla quinta elementare ed è lei stessa a ricordare che a quei tempi l’obbligo scolastico esisteva solo per le elementari. Poi c’è l’evento che cambierà probabilmente il suo destino: la famiglia emigra in Svezia, dove lei avrà invece l’opportunità di continuare gli studi.

“I think I was fortunate, and I would not be a scientist
if my parents have not emigrated.”

La formazione in Svezia

La Svezia in quegli anni era un’utopia socialista, ed offriva a tutti e gratuitamente un sistema educativo di prim’ordine. Viveva in una piccola città industriale, ma c’erano mille opportunità. Lei stessa ricorda che, oltre a una biblioteca per ragazzi, ce n’era addirittura una dedicata ai bambini più piccoli. Nei suoi ricordi c’è anche l’accoglienza calorosa riservata agli immigrati: “voi arricchite la nostra cultura” le dicevano gli svedesi…

La giovane Daniela amava l’arte… era la sua passione, ma nel contempo ogni anno vinceva il premio per la matematica della sua scuola. Per cui alla fine del liceo si prende un anno sabbatico per recarsi a Cambridge. Qui lavora facendo le pulizie in ospedale per pagarsi le spese e frequentare corsi di inglese… e incontra il suo futuro marito! 
A questo punto decide di dare una organizzazione alla sua vita, torna in Svezia e prende una laurea in ingegneria chimica, prima di tornare di nuovo in Inghilterra per sposarsi.

“my husband happened to live in Cambridge, and I wonder what I would have done, had he lived in… somewhere, not in an academic town”

La ricerca di lavoro a Cambridge

Siamo nel 1969, Daniela e il marito hanno entrambi 23 anni, e lui sta studiando, per cui Daniela sta cercando un lavoro, quando legge un annuncio relativo a un posto come assistente di ricerca

In quel periodo a Cambridge operava un grande centro di ricerca, il Laboratorio di Biologia Molecolare (LMB), messo in piedi da un geniale ricercatore Austriaco, immigrato in Inghilterra: Max Perutz (premio Nobel nel 1962). Si reca quindi nel centro per un colloquio di lavoro con Aaron Klug (premio Nobel per la chimica nel 1982). Lei non sapeva neppure lontanamente cosa fosse la biologia molecolare.

Si era informata prendendo in prestito un libro nella biblioteca, e aveva trovato il nome A. Klug, ma non aveva associato le cose, per cui non aveva capito che chi la stava esaminando fosse “quel” A. Klug! Era il suo primo colloquio di lavoro, dato che si era appena laureata. Klug le chiede cosa avesse fatto all’università, i suoi voti, e poi le chiede quale fosse l’argomento più interessante, tra quelli che aveva studiato. E Daniela gli risponde “chimica fisica” … il tutto senza sapere che Klug fosse un fisico. E così Klug le dice che può prendere servizio la settimana successiva.

Il paradiso della ricerca

Nel giro di un mese dal suo arrivo a Cambridge Daniela Rhodes aveva trovato il suo lavoro come assistente di ricerca (una figura simile al nostro tecnico laureato). E lo aveva trovato in un posto che poteva essere considerato un paradiso per la ricerca. Max Perutz aveva intuito la formula per rendere un centro di ricerca efficiente al massimo: politica delle porte aperte, parità tra tutti: conta il lavoro fatto, non i titoli! Informazione condivisa a tutti i livelli e approccio inclusivo per tutti, coi i capi che si sporcano le mani in laboratorio senza sfruttare il lavoro dei sottoposti… perché non ci sono sottoposti, solo colleghi, e i rapporti gerarchici si basano sulla reciproca stima e sul piacere di lavorare insieme su argomenti scientifici di punta.

L’inizio di una brillante ricercatrice

All’inizio non sa da dove cominciare, ma la politica “porte aperte” del centro la aiuta: chiede consigli e istruzioni ai colleghi ed in breve tempo entra a far parte di quella macchina meravigliosa progettata per produrre ricerca di altissimo livello. Basti dire che nel suo corridoio avevano la stanza 3 futuri premi Nobel!

Ed è in questo contesto che, negli anni ’70, porta a termine quelle ricerche che oggi le sono valse il premio WLA, e le svolge quando ancora era inquadrata come assistente di ricerca, ma questo non le impedisce di pubblicare, da sola e in gruppo con premi Nobel, di andare a conferenze per accorgersi che il lavoro che stava svolgendo fosse lavoro di frontiera. Lei ritiene di avere avuto fortuna, perché il fatto che il suo mentore fosse un vulcano di idee, ma vivesse lontano dal laboratorio, di fatto faceva si che lei diventasse le mani del suo insegnante! E di cose ne deve avere imparate tante, visto il suo contributo enorme alla ricerca nel campo della biologia molecolare!

“Aaron was a small man, but his shadow was enormous, but I didn’t care whether people thought it was my work or his ideas, I just enjoyed and I continued talking to him when I was independent, simply because he was the most interesting person to talk to.”

E per comunicare col capo c’erano due regole: mai fingere di aver capito, perché se ne sarebbe accorto, e comunicare inviandogli delle note scritte ed attendere… Quando lui fosse stato pronto sarebbe venuto il laboratorio, si sarebbe seduto, avrebbe spiegato ed avrebbero discusso delle questioni sollevate.

L’anno d’oro di Daniela Rhodes

Il 1976 è stato un anno d’oro: in laboratorio Daniela realizza il lavoro che le porterà il premio e mette alla luce un figlio. La responsabilità di un bambino la fa pensare per la prima volta alle prospettive di carriera, che fino ad allora non erano la sua priorità, visto quanto le piaceva il suo lavoro. E così in una di queste note a Klug chiede: “che ne pensi se prendessi un dottorato?”. Non solo la risposta è positiva, ma addirittura il capo del centro, Max Perutz (che conosceva bene Daniela Rhodes, dato che anche lui lavorava con lei) dice: “Se devi prendere un dottorato, lo devi fare a Cambridge, e paghiamo noi!”.

Quindi Daniela prende il dottorato mentre continua a fare il suo lavoro di assistente di ricerca, la assistente di ricerca più pagata del centro, perché aveva risultati lavorativi eccezionali, e lo conclude in tempo record, nonostante un bimbo da accudire, grazie alla precedente esperienza di laboratorio. E subito dopo il dottorato ottiene immediatamente una posizione di ricercatrice senior, grazie anche alle politiche meritocratiche e poco burocratiche del LMB: senza troppe formalità viene valutata da una commissione di 6 o 7 eminenti scienziati e giudicata adeguata alla posizione.

All’LMB ricoprirà ruoli importanti, essendo anche di riferimento per i giovani, a cui dispensa preziosi consigli su come porsi di fronte alla scienza.

L’avventura a Singapore

Nel 2011 inizia una nuova avventura alla Nanyang Technological University (NTU) di Singapore, dove opera come professore, cui aggiungerà anche, nel 2012, l’incarico da professore per la  Lee Kong Chian School of Medicine. Nel 2014 diventerà direttore del neocostituito  Nanyang Institute of Structural Biology, e lavorerà a Singapore fino al 2020.

Ci racconta purtroppo che il momento magico della ricerca a Singapore, favorita dal presidente Tony Tan, che prima di diventare Presidente della Repubblica era un fisico, si stava esaurendo.

La visione del presidente aveva rivoluzionato il sistema educativo, investendo enormemente nell’istruzione, come chiave per il progresso della nazione. E questo aveva dato frutti meravigliosi, portando le università del paese a scalare i ranking mondiali con velocità impressionante. Aveva inoltre fondato il National Institute of Education, che formava i migliori insegnanti del mondo, con metodi e tecnologie all’avanguardia.

Ora però I burocrati e gli amministrativi stanno iniziando a prendere il controllo, e a imporre una visione utilitaristica a breve termine della scienza.

Daniela si ribella all’idea di dover rispondere ad un burocrate amministrativo delle sue scelte in campo scientifico, e trova inaccettabile sentirsi dire: “ti abbiamo finanziato per 15 milioni, è ora che inizino ad entrare dei soldi…”

“scientists can question me, you know, committees,
but not the finance manager!”

Il ritorno in Italia

Per questo lascia, e decide di ritirarsi nella pace della sua terra di nascita, dove, come lei stessa dice, da pensionati si vive benissimo!

Ed è qui che nel 2023 la raggiunge la notizia del premio WLA, probabilmente il più prestigioso premio scientifico dopo il Nobel, perché assegnato da una commissione di premi Nobel!

Nel frattempo ha mantenuto i rapporti scientifici ultradecennali che aveva con “Sapienza” e con la professoressa Isabella Saggio, e nel tempo libero collabora con la CGIL facendo divulgazione scientifica su una delle pubblicazioni del sindacato. Evidentemente lo spirito partigiano del padre ha dato i suoi frutti anche nella figlia!

Emilio Giovenale, fisico, ricercatore ENEA e divulgatore della scienza

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