David H. Hubel, il Nobel della coscienza visiva
Nel 1981 viene assegnato il Nobel per la medicina a David H. Hubel, il neurofisiologo che cambiò il modo di vedere il mondo. Insieme a Torsten Wiesel, studiò i processi mentali che sono alla base dell’esperienza visiva, assegnando il compito principale all’esperienza
Ci sono immagini che ingannano la nostra percezione visiva, come il vaso di Rubin. La famosa figura bidimensionale è infatti interpretabile in due modi diversi: un calice su sfondo uniforme o due profili in silhouette. Un fenomeno ben noto, detto illusione ottica, su cui ha fatto luce David H. Hubel, neurofisiologo canadese insignito del premio Nobel per la medicina nel 1981. Gli studi di Hubel, in particolare, ci spiegano il modo in cui il cervello compone le informazioni provenienti dalla retina per creare l’immagine che noi abbiamo del mondo. Hubel condivide il premio con Torsten Nils Wiesel, il suo collega più fedele, e con Roger Sperry, per i suoi studi sulle funzioni superiori dei due emisferi cerebrali.
Fra le esperienze sensoriali, la percezione visiva è senza dubbio quella dominante, ma il distretto fisiologico che ne regola l’elaborazione, la corteccia visiva, era fino a quel momento un terreno non ancora battuto. Hubel e Wiesel si avvicinano alla corteccia visiva “come esploratori di un mondo nuovo”, come dichiarato da Hubel stesso nel libro Brain and Visual Perception, che racconta i loro venticinque anni di ricerche.
L’“esplorazione” inizia nel 1954, quando la Guerra in Corea interrompe il suo primo anno di neurologia alla Johns Hopkins e lo scienziato viene arruolato come medico all’Istituto di ricerca militare della Walter Reed. Lì inizia a registrare l’attività delle cellule visive di gatti svegli e dormienti. “Ci è voluto più di un anno”, dichiara nella sua autobiografia, “ma alla fine è stato emozionante registrare l’attività cellulare di gatti che si guardavano intorno e facevano le fusa”. Quattro anni dopo, in un laboratorio sotterraneo della Johns Hopkins, dove fa ritorno per un anno, conosce Torsten Wiesel, un neuroscienziato votato agli studi del sistema visivo, con il quale instaura un’intensa e proficua collaborazione. L’artefice dell’incontro è Stephen Kuffler, neurobiologo ritenuto il padre delle neuroscienze moderne, a quel tempo responsabile del laboratorio.
L’anno successivo l’intero gruppo di ricercatori coordinato da Kuffler si stabilisce alla Harvard Medical School, dove Hubel rimarrà per il resto della sua carriera. Dopo una lunga serie di tentativi fallimentari, i risultati scientifici della coppia ricompensano la lunga attesa; i due scienziati dimostrano che i gatti con un occhio cucito dopo la nascita diventano ciechi, e quindi che la privazione della vista durante lo sviluppo postnatale altera in modo irreversibile la capacità di elaborare le immagini. Il fenomeno viene osservato anche nei bambini con disturbi visivi, come la cataratta congenita. Neanche la stimolazione diretta da parte della luce si rivela, per Hubel e Wiesel, uno strumento sufficiente a garantire una completa esperienza visiva.
Questi pionieristici risultati svelano alla comunità scientifica un modo nuovo di intendere le esperienze sensoriali: è necessario che, dopo la nascita, in una finestra temporale molto ristretta, l’occhio sia direttamente stimolato dalle immagini e dai profili dell’ambiente circostante. È quindi l’esperienza a modificare i circuiti cerebrali. Fino a quel momento, si riteneva che la corteccia cerebrale fosse una sorta di schermo cinematografico, che rispondesse alle esperienze visive semplicemente “proiettando” ciò che era davanti ai nostri occhi. Le scoperte di Hubel e Wiesel le assegnano invece un compito più raffinato e creativo: come con una scatola di mattoncini Lego, gli stimoli visivi vengono destrutturati e in seguito ricomposti e rielaborati in relazione all’esperienza della corteccia, oggi definita plasticità.
“I nomi di Hubel e Wiesel sono incastonati nel Pantheon delle collaborazioni creative nelle scienze biologiche, come Hodgkin e Huxley, Watson e Crick, Brown e Goldstein”, ha dichiarato Eric R. Kandel, premio Nobel per la medicina, celebrando il cinquantesimo anniversario della loro prima pubblicazione.“In ognuno di questi casi i partner hanno unito le forze portando competenze uniche alla loro collaborazione e producendo un nuovo livello di scienza e una nuova famiglia di intuizioni”.
Le conseguenze di queste indagini scientifiche permeano perfino il pensiero filosofico, come disquisito da Karl Popper nel suo L’io e il suo cervello. Il filosofo austriaco traccia un parallelismo fra la coscienza e la neurobiologia, e utilizza gli studi di Hubel per paragonare la ricostruzione delle immagini al modo in cui si forma il linguaggio o, addirittura, il pensiero. Dopo l’abbandono degli studi di ricerca, Hubel continua a tenere seminari per gli studenti di Harvard, usando spesso immagini di illusioni ottiche che, come un connettore, coniugano la scienza del sistema visivo al fascino della percezione.
Muore il 22 settembre 2013, a 87 anni. Le sue scoperte sulla corteccia visiva lasciano alla comunità scientifica le basi per grandi progressi medici, tra i quali emergono le nuove linee guida per correggere i deficit visivi dei bambini o le modalità di intervento precoce per lo strabismo.
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