La dieta giusta? Chiedilo all’intestino
Un nuovo modello matematico è in grado di prevedere variazioni nella composizione batterica intestinale in risposta alla dieta e le conseguenze della stessa sulla salute, in particolare nella prevenzione di alcune patologie.
L’intestino lo sa. Sa se quel che mangiamo ci fa bene, o se quella dieta che promette miracoli ci sta danneggiando. Reagisce al nostro stile di vita coltivando e cambiando di continuo la flora batterica, il microbiota. Lo sa, e qualche volta alla fine ci presenta il conto. Un nuovo modello matematico sviluppato alla Chalmers University of Technology in Svezia, però, sarebbe in grado di seguire l’evoluzione dei batteri nell’intestino in risposta a specifici fattori – interni ed esterni – e di correlarla alla salute dell’individuo. Lo studio è pubblicato su Pnas.
Il microbiota umano è l’insieme di tutti i microrganismi – circa 38mila miliardi, per lo più concentrati nell’intestino – che vivono in simbiosi con il nostro corpo. Si acquisisce alla nascita e quando siamo in salute vive in equilibrio con noi, supportando il metabolismo, il sistema immunitario e contrastando agenti patogeni. La correlazione fra questo mondo intestino, insorgenza di malattie – come obesità, diabete di tipo 2 e disfunzioni immunitarie – e longevità è stata indagata per la prima volta da Ilya Metchnikov, premio Nobel per la medicina nel 1908 per la scoperta della fagocitosi. Metchnikov aveva trovato nell’assunzione di acidi e fermenti lattici tipica della dieta caucasica un fattore determinante per rallentare l’invecchiamento.
Il microbiota può variare rapidamente e radicalmente con le condizioni esterne, e prevederne l’evoluzione significa, in primis, saper calcolare l’effetto dell’aggiunta di nuovi batteri o del cambiamento della dieta. La dieta è infatti fondamentale nello sviluppo del paesaggio microbico, in particolare nella fase di colonizzazione durante la prima infanzia e nella stabilizzazione a lungo termine in età adulta. A influenzare la possibilità di sopravvivenza e crescita di nuovi batteri poi, c’è la loro interazione reciproca e quella con l’ospite – noi.
“Il nostro modello è unico perché tiene conto di tutte queste variabili. Combina i dati sui singoli batteri e su come interagiscono. Include anche dati su come il cibo viaggia attraverso il tratto gastrointestinale e influenza i batteri che incontra – cosa che possiamo verificare esaminando campioni di sangue e guardando i metaboliti, i prodotti finali formati dai batteri quando scompongono diversi tipi di cibo”, spiega Jens Nielsen, professore di biologia dei sistemi a Chalmers e autore dello studio.
Grazie a un approccio multiscala, il Computing the Dynamics of microbiota (Cody) – questo il nome del codice – consente di quantificare le variazioni spazio-temporali dei profili di abbondanza dei batteri. La sua efficacia è stata testata confrontando le simulazioni con i dati di due studi clinici: lo sviluppo dinamico del microbiota di un gruppo di bambini svedesi durante la prima infanzia – dalla fase neonatale alla prima colonizzazione col latte materno – e fino al passaggio al cibo solido a 12 mesi; e la mutazione a breve termine del microbiota in risposta a un regime dietetico, in cui adulti obesi con steatosi epatica hanno eliminato i carboidrati per 14 giorni. Il modello è riuscito a prevedere le variazioni spazio-temporali dei batteri in vivo e dei metaboliti, e la composizione del microbiota nelle feci.
“I risultati sono molto incoraggianti, e potrebbero consentire la progettazione di un sistema molto complesso” continua Nielsen. Per semplicità, infatti, i test clinici hanno coinvolto un ridotto numero di specie batteriche. “Il nostro modello potrebbe essere utilizzato per creare diete sane personalizzate, prevedendo come l’aggiunta di batteri specifici e probiotici impatta la salute di un paziente”
Non solo la prevenzione di “malattie metaboliche del progresso” – ma anche il trattamento del cancro mediante immunoterapia potrebbe beneficiare di questo approccio: alcuni pazienti reagiscono bene, altri meno, e la causa potrebbe risiedere proprio nella presenza, nei primi, di alcuni batteri specifici, che Cody potrebbe identificare.
Commenti recenti