Diversità e contaminazioni in musica
Di Emilio Giovenale
La diversità in natura è un parametro che arricchisce l’ecosistema ed aumenta le possibilità di selezione evolutiva vantaggiosa. I geni che mutano, si mescolano e danno origine a caratteri nuovi sono la base dell’evoluzione. Vorrei fare qui un parallelo con quello che succede quando, invece dei geni, in musica si mescolano stili e modalità espressive, che costituiscono in qualche modo il DNA, l’ossatura di base della musica.
Tutto parte da Bach…
Se parliamo di struttura della musica non si può prescindere in alcun modo dalla figura di Johan Sebastian Bach. Colui che, nel 1700, ha raccolto l’esperienza della musica polifonica del Quattrocento e del Cinquecento, della musica corale, della musica strumentale italiana (da Frescobaldi a Vivaldi) e francese, costruendo una impalcatura tecnica e teorica su cui si baserà tutta la musica classica successiva. Il suo “Clavicembalo ben temperato” costituisce una base teorica che costituirà le fondamenta per i musicisti successivi, così come “L’arte della fuga” sarà un modello per il contrappunto. Nelle opere di Mozart, Beethoven e Brahms si trovano chiare le influenze di Bach e anche in autori che sembrano assai distanti, come Chopin, una più attenta analisi dei brani rivela che la lezione di Bach, pur reinterpretata, ha dato i suoi frutti.
Tuttavia queste influenze possono essere viste come delle semplici evoluzioni dello stile musicale, lineari nella loro successione temporale. Quello che invece si manifesta come una vera e propria rivoluzione è l’influenza che Bach, e la musica classica in genere, hanno avuto su linguaggi musicali radicalmente diversi, come il Jazz o il Rock.
Musica colta vs musica popolare
Fino agli anni Sessanta del secolo scorso esisteva una barriera insormontabile tra i diversi linguaggi musicali esistenti: la musica classica era la “musica colta”, l’unica considerata una vera espressione artistica. Il Jazz occupava una nicchia ecologico-musicale, come evoluzione/fusione tra spiritual e black blues. Negli anni ’50 negli Stati Uniti esplode il rock’n’roll, con Elvis Presley, che influenzerà tutto il mondo della musica giovanile, fino al fenomeno Beatles. Nel frattempo però iniziavano ad apparire sulla scena della musica Pop/rock giovani musicisti che avevano alle spalle solidi studi di musica classica, e che quindi potevano fare da ponte tra le diverse espressioni musicali.
E così vediamo entrare nella musica rock anche strumenti che sembravano essere patrimonio esclusivo della musica classica: il Flauto di Ian Anderson (Jethro Tull), il violino di Mario Pagani (PFM), la viola di David Cross (King Crimson), il violoncello di Kerri Minear (Gentle Giant) e l’oboe di Andy Mackay (Roxy Music).
Ma il musicista che più di ogni altro ha saputo creare la perfetta contaminazione tra classica, jazz e rock, e sicuramente Keith Emerson.
Keith Emerson
Fondatore del gruppo “The Nice”, tra il 1967 e il 1970 Keith Emerson crea di fatto un nuovo stile musicale, il cosiddetto “progressive rock” o rock sinfonico. L’opera si potrà dire completata con la fondazione, nel 1970, del supergruppo Emerson, Lake e Palmer, dove il tastierista costituisce la colonna dorsale del gruppo, anche da un punto di vista creativo.
La sua solidissima tecnica pianistica, unita alla conoscenza del jazz e ad una creatività vulcanica gli ha permesso di creare una perfetta miscela che dalla diversità dei generi trae ispirazione per un mix di enorme valore artistico, abbattendo le barriere con la cosiddetta “musica colta”.
Già con i Nice il brano Brandenburger è una trasposizione in chiave rock del Concerto Brandeburghese n. 3 in Sol maggiore di Bach, e rivela la capacità di improvvisare, con uno stile personalissimo, sulle note di un classico della musica bachiana
Gli Emerson Lake and Palmer
Dopo la fondazione degli E.L.P., il successo planetario dei primi due album, dove sono già chiarissimi i riferimenti alla musica classica, permetterà al gruppo di imporre alla casa discografica Atlantic Records un progetto a dir poco rivoluzionario: riscrivere in chiave rock un capolavoro della musica classica. Si tratta di “Quadri da una esposizione” di Modest Petrovič Musorgskij, geniale compositore russo, che lo aveva composto nel tentativo di unire in un unico linguaggio l’arte figurativa con l’arte musicale, costruendo un ponte che permetta di scambiare emozioni e sensazioni, seppure con linguaggi differenti.
Gli E.L.P. quindi tentano un doppio salto, unendo insieme classica, rock e arte figurativa, mutuando alcuni dei brani dell’opera originale, e riscrivendone ex novo altri, mantenendo però uno stile omogeneo che informa l’intera opera. Il risultato è un piccolo capolavoro, che riscuoterà un enorme successo di pubblico, insospettabile per un brano del genere, con stazioni radio che avranno il coraggio di trasmettere tutta la suite per intero (oltre 30 minuti), con reazioni entusiaste di pubblico e critica.
Qui trovate ulteriori approfondimenti su quest’opera
Elencare tutte le citazioni della musica di Keith Emerson è impresa titanica, (ma se proprio volete trovate qui un elenco, ma vorrei citare la splendida “Fugue” nell’album Trilogy
E non solo Bach era l’ispiratore: ad esempio nella intro di “Love at first sight” dall’album Love Beach troviamo lo studio n. 1 in Do maggiore di Chopin
I favolosi anni ’70
E con la nascita del progressive rock assistiamo al fiorire di citazioni, rivisitazioni e contaminazioni della musica classica: tornando ai già citati Jethro Tull ricordiamo Bourée, riarrangiamento di Ian Anderson della Suite in mi minore per liuto n° 1 BWV 996 di J.S. Bach.
E come dimenticare i Queen, che con Bohemian Rhapsody invadono prepotentemente il campo della musica lirica? Ma la lista sarebbe lunghissima e problemi di spazio ci impediscono di essere esaustivi.
Negli stessi anni anche il Jazz subisce il fascino della musica classica e si assiste a tentativi di contaminazione che avranno un buon successo, specie quando non si tratta di semplici trasposizioni, ma di composizioni originali che mescolano i due diversi stili musicali. Tra i tanti musicisti che hanno saputo coniugare Jazz e classica, voglio ricordare il jazzista francese Claude Bolling, con il suo “Concerto for Classical Guitar and Jazz Piano”. Vi propongo qui “Invention” un brano che inizia in maniera “classica” per poi trasformarsi, circa al minuto 1:30 in qualcosa di differente, dimostrando che le strutture espressive della musica classica e di quella jazz sono le stesse. Però tutto l’album merita di essere ascoltato.
Il fenomeno Gershwin
Un discorso a parte in questo contesto richiederebbe il contributo di George Gershwin, un compositore a metà strada tra musica popolare, jazz e musica classica, che ci ha regalato capolavori come “Rhapsody in Blue” e “Porgy and Bess”. La sua musica poneva le radici nella musica popolare americana, con ispirazioni legate alla musica nera e al jazz, ma aspirava ad emulare i modelli della musica colta europea, che riconosceva in lui una enorme ispirazione e una capacità melodica eccezionale. Anche i suoi critici, come Bernstein, che ne individuavano i limiti di formazione per poter scrivere pezzi formalmente aderenti ai canoni della musica classica, ne riconoscevano al tempo stesso l’enorme talento nella scrittura musicale.
“Trovo che i temi, o i motivi, siano splendidi, pieni di ispirazione, doni di Dio veri e propri […] Ma non basta mettere insieme quattro motivi e chiamare il pezzo una composizione. Ciò che ha di buono però è tanto buono da risultare, semplicemente, irresistibile.”
L. Bernstein
Gershwin era consapevole di quelli che erano i suoi limiti di formazione per potersi affermare come compositore di musica classica, e per questo aveva chiesto a Ravel di dargli lezioni di composizione, ma è significativa la risposta dell’amico compositore: “Perché vuoi essere un Ravel di serie B quando puoi essere un ottimo Gershwin di serie A ?”… a testimoniare come la diversità in musica sia un valore aggiunto.
Per un approfondimento su Gershwin consiglio la lettura del notevole articolo sul blog di Sandro Dandria
Dagli anni ’80 a oggi
Andando agli anni ’80 non possiamo ignorare fenomeni come quelli del gruppo musicale angloaustraliano degli “Sky”, di cui vi proponiamo qui una rivisitazione in chiave pop-rock della toccata e fuga in re minore di Bach.
Chi ha vissuto la musica degli anni ’90 ricorderà poi il successo dei “Rondò Veneziano”, fondati dal compositore e direttore d’orchestra Gian Piero Reverberi, insieme a Freddy Naggiar, che ha avuto il merito di portare Vivaldi e la musica barocca in forma moderna, contribuendo a diffonderne il gusto, ammiccando ad uno stile semplice e orecchiabile, di facile presa per il pubblico.
Arrivando ai giorni nostri, Eminem in “Brainless” mette in loop un frase tratta dalla “Toccata e Fuga in Re minore di Bach” usandola come base per il brano stesso. E Lady Gaga, nella intro del famoso brano “Bad Romance” esordisce con una citazione del “Preludio e Fuga in Si minore di Bach”.
Una cosa è certa: gli esempi citati ci dimostrano che la mescolanza dei “geni” musicali ha portato a creare opere di indubbio valore artistico, che in alcuni casi superano anche quelle che la tradizionale evoluzione della musica ci ha proposto come modelli di musica contemporanea. Ci si può chiedere chi sia il vero erede della musica classica, ma la risposta sta nell’ipotesi che abbiamo fatto all’inizio: la diversità è una ricchezza, e la musica classica oggi può essere declinata in modalità differenti, ognuna con le sue caratteristiche e le sue peculiarità, ognuna fruibile da gruppi di ascoltatori con radici culturali differenti, ma non per questo incompatibili.
Emilio Giovenale, fisico, ricercatore ENEA e comunicatore della scienza.
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